A conclusione del centenario per le celebrazioni della nascita di Boccaccio, Enzo Moscato, noto drammaturgo, attore e regista teatrale, ha tenuto una lezione il 18 dicembre al Dipartimento di Lettere e Beni culturali dal titolo “Tra il corpo e le voci: Boccaccio e Basile”. Dopo i saluti della prof.ssa Rosanna Cioffi, che ha condiviso con l’attore gli anni della formazione universitaria presso la Facoltà di Lettere della Federico II, spetta al prof. Giancarlo Alfano, docente di Letteratura italiana, introdurre l’ospite e l’argomento del giorno, vale a dire il sottile filo che unisce l’opera di Boccaccio a quella di un altro grande autore del ’500 napoletano, Giambattista Basile. “Boccaccio forse non ha goduto della fortuna che meritava a Napoli perché a lui si è sovrapposto Basile e la sua sperimentazione in lingua napoletana. Non dimentichiamo, infatti, che Dante, Petrarca e Boccaccio erano sperimentatori della loro lingua, quella toscana”, spiega il professore.
La sperimentazione linguistica fa comunque da trait d’union anche con l’attività teatrale di Moscato: “Nel mio caso si è parlato di Babele perché nei miei testi faccio spesso uso di altre lingue, come francese e spagnolo, non perché abbia chissà quale conoscenza di questi idiomi, ma perché ho un grande amore per la ‘phonè’, per il suono delle parole, così come prima di me ha fatto Carmelo Bene”. E proprio da un punto di vista fonetico, la lingua napoletana sembra avere molto da offrire: “Non ho mai scritto di Berlino o New York perché non conosco il suono di quelle città. Quando ho lavorato sulle Baccanti, l’ho fatto omaggiando la realtà fonetica della lingua napoletana, una cosa che ha fatto anche Basile, scegliendo il suono di una lingua che non era quella parlata dai ceti borghesi ma da un contesto più popolare”. Parlare la lingua dei quartieri, dei ceti più bassi, è una vocazione che accomuna ancora una volta lo scrittore a Moscato: “Basile è dalla parte della feccia dell’umanità, che nelle sue storie riesce a trasformare in qualcosa di sublime; anche io guardo alla massa popolare perché sono nato lì, tra i vicoli di via Toledo. Ho sempre scritto sui Quartieri considerando però che quella koinè fosse l’universo, come ha fatto un altro grande drammaturgo, Raffaele Viviani. Eduardo, invece, in un certo senso, ha ripulito la lingua del popolo preferendo quella del ceto medio borghese”. Poco importa se di fronte ad una sintassi così complessa a risentirne sarà la comprensione del testo da parte del pubblico: “Bisogna perdersi nel suono, nella melodia della lingua e non cadere nel trabocchetto del cercare di capire. Il teatro è un luogo di perdita”. Alla luce di questa affermazione, si spiega il successo di uno spettacolo come “Rasoi” sceneggiato da Moscato e Toni Servillo totalmente in lingua napoletana, ma che ha registrato enorme successo in tutto il mondo, da Caracas a Berlino, proprio per questa capacità di perdere e far perdere in sé che contraddistingue la lingua partenopea. Ne dà prova concreta Moscato leggendo un suo pezzo ispirato al Basile, “trompe l’oeil”, dedicato alle “janare” o streghe: una melodia fatta di suoni più che di parole, capace di tenere tutti con il fiato sospeso. Ne sono stati decisamente colpiti gli studenti presenti: “la lezione è stata molto utile anche per la preparazione dell’esame, in quanto il programma è proprio incentrato su Basile e Boccaccio, ma soprattutto è stato un confronto molto interessante tra teatro e letteratura”, spiega Valentina, al primo anno di Filologia moderna. Sofia, iscritta allo stesso Corso, precisa: “mi piace molto questa apertura del Dipartimento all’esterno. Dopo le letture dedicate a Boccaccio lo scorso ottobre, anche questa lezione molto sui generis è stata decisamente interessante”. Nicola Cioppa, terzo anno di Lettere moderne, è dello stesso avviso: “l’incontro con l’arte finora è stato appannaggio solo di Accademie o corsi di Architettura. Credo, invece, sia giusto dare spazio a questo tipo di manifestazioni anche qui, perché abbiamo già delle conoscenze di base tali che ci permettono di comprendere queste integrazioni. Anche il recupero dei testi di Basile operato dal prof. Alfano è qualcosa che mi affascina molto”. La pensa un po’ diversamente Fabio De Gemmis: “senza voler nulla togliere a una lezione interessantissima, ho un’altra idea di arte, un’arte che non sia vincolata solo al suono delle parole ma che si faccia portatrice anche di un valore sociale, come mostra lo stesso Viviani più volte citato”. Sossio, ultimo anno di Filologia moderna, ha seguito l’incontro semplicemente per interesse all’argomento, pur non dovendo sostenere l’esame con il prof. Alfano: “credo che qualcosa si stia muovendo in questo Dipartimento. È chiaro che non ci si potesse aspettare una presenza paragonabile a quella di altri personaggi ospitati dall’ateneo perché il teatro è un medium più particolare e di nicchia. Eppure, nonostante ciò, siamo in molti, anche perché quello della fonologia della lingua è un aspetto che interessa moltissimo un iscritto a Filologia”.
An. Ve.
La sperimentazione linguistica fa comunque da trait d’union anche con l’attività teatrale di Moscato: “Nel mio caso si è parlato di Babele perché nei miei testi faccio spesso uso di altre lingue, come francese e spagnolo, non perché abbia chissà quale conoscenza di questi idiomi, ma perché ho un grande amore per la ‘phonè’, per il suono delle parole, così come prima di me ha fatto Carmelo Bene”. E proprio da un punto di vista fonetico, la lingua napoletana sembra avere molto da offrire: “Non ho mai scritto di Berlino o New York perché non conosco il suono di quelle città. Quando ho lavorato sulle Baccanti, l’ho fatto omaggiando la realtà fonetica della lingua napoletana, una cosa che ha fatto anche Basile, scegliendo il suono di una lingua che non era quella parlata dai ceti borghesi ma da un contesto più popolare”. Parlare la lingua dei quartieri, dei ceti più bassi, è una vocazione che accomuna ancora una volta lo scrittore a Moscato: “Basile è dalla parte della feccia dell’umanità, che nelle sue storie riesce a trasformare in qualcosa di sublime; anche io guardo alla massa popolare perché sono nato lì, tra i vicoli di via Toledo. Ho sempre scritto sui Quartieri considerando però che quella koinè fosse l’universo, come ha fatto un altro grande drammaturgo, Raffaele Viviani. Eduardo, invece, in un certo senso, ha ripulito la lingua del popolo preferendo quella del ceto medio borghese”. Poco importa se di fronte ad una sintassi così complessa a risentirne sarà la comprensione del testo da parte del pubblico: “Bisogna perdersi nel suono, nella melodia della lingua e non cadere nel trabocchetto del cercare di capire. Il teatro è un luogo di perdita”. Alla luce di questa affermazione, si spiega il successo di uno spettacolo come “Rasoi” sceneggiato da Moscato e Toni Servillo totalmente in lingua napoletana, ma che ha registrato enorme successo in tutto il mondo, da Caracas a Berlino, proprio per questa capacità di perdere e far perdere in sé che contraddistingue la lingua partenopea. Ne dà prova concreta Moscato leggendo un suo pezzo ispirato al Basile, “trompe l’oeil”, dedicato alle “janare” o streghe: una melodia fatta di suoni più che di parole, capace di tenere tutti con il fiato sospeso. Ne sono stati decisamente colpiti gli studenti presenti: “la lezione è stata molto utile anche per la preparazione dell’esame, in quanto il programma è proprio incentrato su Basile e Boccaccio, ma soprattutto è stato un confronto molto interessante tra teatro e letteratura”, spiega Valentina, al primo anno di Filologia moderna. Sofia, iscritta allo stesso Corso, precisa: “mi piace molto questa apertura del Dipartimento all’esterno. Dopo le letture dedicate a Boccaccio lo scorso ottobre, anche questa lezione molto sui generis è stata decisamente interessante”. Nicola Cioppa, terzo anno di Lettere moderne, è dello stesso avviso: “l’incontro con l’arte finora è stato appannaggio solo di Accademie o corsi di Architettura. Credo, invece, sia giusto dare spazio a questo tipo di manifestazioni anche qui, perché abbiamo già delle conoscenze di base tali che ci permettono di comprendere queste integrazioni. Anche il recupero dei testi di Basile operato dal prof. Alfano è qualcosa che mi affascina molto”. La pensa un po’ diversamente Fabio De Gemmis: “senza voler nulla togliere a una lezione interessantissima, ho un’altra idea di arte, un’arte che non sia vincolata solo al suono delle parole ma che si faccia portatrice anche di un valore sociale, come mostra lo stesso Viviani più volte citato”. Sossio, ultimo anno di Filologia moderna, ha seguito l’incontro semplicemente per interesse all’argomento, pur non dovendo sostenere l’esame con il prof. Alfano: “credo che qualcosa si stia muovendo in questo Dipartimento. È chiaro che non ci si potesse aspettare una presenza paragonabile a quella di altri personaggi ospitati dall’ateneo perché il teatro è un medium più particolare e di nicchia. Eppure, nonostante ciò, siamo in molti, anche perché quello della fonologia della lingua è un aspetto che interessa moltissimo un iscritto a Filologia”.
An. Ve.