Zoologo e medico veterinario: due figure professionali strettamente collegate tra loro per la salvaguardia della fauna selvatica. La collaborazione tra un ornitologo e un veterinario può essere decisiva per salvare la vita ad alcune specie di uccelli rapaci. Tenendo conto del fatto che ce ne sono diversi a rischio di estinzione. In Campania l’unico centro che si occupa del recupero della fauna selvatica si trova presso l’Ospedale Veterinario ex Frullone. La convenzione con la Facoltà di Medicina Veterinaria della Federico II ha permesso, oltre alle usuali attività di tirocinio per gli studenti degli ultimi anni, la realizzazione di un seminario su questo tema, nell’ambito del corso di Sistematica delle Specie non Convenzionali (Modulo 8), la cui frequenza darà diritto a 0,2 credito. Il prof. Angelo Genovese, docente del corso, ha introdotto i relatori spiegando l’importanza della presenza nel nostro territorio di un centro come questo: “Il numero dei ricoveri aumenta di continuo e c’è bisogno di un sapere più ampio, che non sia soltanto clinico. Perciò è importante che questo genere di collaborazioni assuma una valenza sempre maggiore”. Presente al seminario anche il Preside Luigi Zicarelli, che ha espresso soddisfazione per il lavoro del Centro: “In questo periodo particolare, in cui la nostra Facoltà rischia di scomparire a vantaggio degli Atenei del nord, è un’iniziativa che si presenta come un fiore nel deserto. Nella nostra regione non esistono altri esempi in tal senso, sia a livello pubblico che privato”. In seguito alla chiusura dei centri di recupero per la fauna selvatica di Lipu e WWF, infatti, il Frullone rimane un caso isolato.
Il prof. Maurizio Fraissinet ha illustrato agli oltre cinquanta studenti presenti (del Modulo 8, ma non solo) le tecniche di riabilitazione, partendo dalla presentazione delle categorie di rapaci che si trovano o potrebbero trovarsi a ricevere assistenza all’interno della struttura. Falconiformi (che comprendono l’aquila, il falco pescatore, la poiana, lo sparviero, il nibbio) e Strigiformi (come il barbagianni, la civetta, il gufo): sono questi i due maggiori gruppi, che corrispondono rispettivamente ai rapaci diurni e a quelli notturni. “Una delle specie che rischia di estinguersi è il nibbio – ha detto il prof. Fraissinet – per un motivo paradossale: la scomparsa delle discariche pubbliche e l’introduzione dell’energia eolica. Questi volatili, infatti, nel corso degli anni si sono adattati a cibarsi dei rifiuti e attualmente una delle maggiori cause di morte è il rimanere impigliati nelle pale eoliche”.
Uno dei principali pazienti che arrivano al Frullone è la poiana: si tratta di un esemplare dalle grandi ali e quindi più facilmente alla portata dei cacciatori. La prima causa di ferimento, infatti, è l’arma da fuoco; a seguire, avvelenamento e collisione (ad esempio contro i fili della corrente elettrica). Specialmente a partire dal mese di settembre, ovvero dall’apertura della caccia. “In estate si raggiunge il picco dei ricoveri – ha precisato il docente – E’ interessante notare quanto sia aumentato il numero dei cittadini che porta qui i piccoli pazienti. Questo è il sintomo di una nuova mentalità: mentre in passato chi trovava un barbagianni lo inchiodava alla porta perché scacciasse il malocchio. In questo senso, si capisce come la cooperazione tra zoologi e veterinari sia un campo in netta espansione”. Non esiste più, dunque, la mancanza di salvaguardia nei confronti della fauna selvatica: legalmente, chi la viola in qualche modo è responsabile di furto aggravato ai danni dello Stato. Il professore ha mostrato anche delle diapositive, dando un esempio di come l’unione dei saperi di ornitologo e veterinario possa determinare l’età dell’animale, tramite l’osservazione del piumaggio.
“L’Ospedale è attivo dal 19 marzo 2008 – spiega il dott. Pasquale Raia che ha fornito dei dati relativi all’attività del Centro – e dispone di un servizio attivo 24 ore su 24. L’80% degli animali viene portato qui dagli uomini del Corpo Forestale dello Stato, ma ci sono due ambulanze sul territorio che prelevano i numerosi randagi presenti per consegnarli a noi. In seguito, vengono riabilitati e messi nuovamente in libertà. Il 40% dei pazienti guarisce completamente e rimane qui per un periodo di circa venticinque giorni”.
Al termine della discussione i due relatori hanno dato la possibilità di assistere alla marcatura di due poiane, che sono poi state messe in libertà dopo la riabilitazione. Si tratta di un sistema che attraverso l’inanellamento riesce a controllare la vita dell’animale una volta rilasciato in natura.
Anna Maria Possidente
Il prof. Maurizio Fraissinet ha illustrato agli oltre cinquanta studenti presenti (del Modulo 8, ma non solo) le tecniche di riabilitazione, partendo dalla presentazione delle categorie di rapaci che si trovano o potrebbero trovarsi a ricevere assistenza all’interno della struttura. Falconiformi (che comprendono l’aquila, il falco pescatore, la poiana, lo sparviero, il nibbio) e Strigiformi (come il barbagianni, la civetta, il gufo): sono questi i due maggiori gruppi, che corrispondono rispettivamente ai rapaci diurni e a quelli notturni. “Una delle specie che rischia di estinguersi è il nibbio – ha detto il prof. Fraissinet – per un motivo paradossale: la scomparsa delle discariche pubbliche e l’introduzione dell’energia eolica. Questi volatili, infatti, nel corso degli anni si sono adattati a cibarsi dei rifiuti e attualmente una delle maggiori cause di morte è il rimanere impigliati nelle pale eoliche”.
Uno dei principali pazienti che arrivano al Frullone è la poiana: si tratta di un esemplare dalle grandi ali e quindi più facilmente alla portata dei cacciatori. La prima causa di ferimento, infatti, è l’arma da fuoco; a seguire, avvelenamento e collisione (ad esempio contro i fili della corrente elettrica). Specialmente a partire dal mese di settembre, ovvero dall’apertura della caccia. “In estate si raggiunge il picco dei ricoveri – ha precisato il docente – E’ interessante notare quanto sia aumentato il numero dei cittadini che porta qui i piccoli pazienti. Questo è il sintomo di una nuova mentalità: mentre in passato chi trovava un barbagianni lo inchiodava alla porta perché scacciasse il malocchio. In questo senso, si capisce come la cooperazione tra zoologi e veterinari sia un campo in netta espansione”. Non esiste più, dunque, la mancanza di salvaguardia nei confronti della fauna selvatica: legalmente, chi la viola in qualche modo è responsabile di furto aggravato ai danni dello Stato. Il professore ha mostrato anche delle diapositive, dando un esempio di come l’unione dei saperi di ornitologo e veterinario possa determinare l’età dell’animale, tramite l’osservazione del piumaggio.
“L’Ospedale è attivo dal 19 marzo 2008 – spiega il dott. Pasquale Raia che ha fornito dei dati relativi all’attività del Centro – e dispone di un servizio attivo 24 ore su 24. L’80% degli animali viene portato qui dagli uomini del Corpo Forestale dello Stato, ma ci sono due ambulanze sul territorio che prelevano i numerosi randagi presenti per consegnarli a noi. In seguito, vengono riabilitati e messi nuovamente in libertà. Il 40% dei pazienti guarisce completamente e rimane qui per un periodo di circa venticinque giorni”.
Al termine della discussione i due relatori hanno dato la possibilità di assistere alla marcatura di due poiane, che sono poi state messe in libertà dopo la riabilitazione. Si tratta di un sistema che attraverso l’inanellamento riesce a controllare la vita dell’animale una volta rilasciato in natura.
Anna Maria Possidente