Ore 9.00. Aula 342 di Lettere. Il Prof. Matteo Palumbo inaugura il corso semestrale sull’Orlando Furioso al secondo anno della laurea specialistica in Italianistica della Federico II. Il Prof. arriva puntuale e comincia ad introdurre il genere cavalleresco mentre i ritardatari si affrettano a prendere posto. Palumbo li conosce ad uno ad uno ed intervalla la spiegazione sul poema epico a commenti giocosi sui ragazzi che giungono trafelati. “Se non arriva Ilaria, non posso cominciare…” scherza il Prof. all’apparire della ragazza sulla soglia. “Dai sempre fastidio…” è il buongiorno divertito che rivolge ad un altro studente quando dopo poco la porta si riapre.
I ragazzi entrano e si sistemano interrompendolo continuamente ma il Prof., paziente, raccoglie i fili del discorso ed afferma che lo scompiglio è un’ottima metafora per descrivere ciò che accade nel poema di Ariosto, poiché chiunque volesse sintetizzarne la vicenda si perderebbe per la complessità della trama. “Un professore di un mio caro amico – racconta Palumbo – apriva il Furioso, faceva leggere un’ottava e chiedeva agli studenti di spiegare a qual punto della vicenda fossero giunti. E’ una delle cose più difficili che si possano fare. Orientarsi è una delle imprese più disperate perché il testo nasce da divagazioni”.
Ariosto sapeva che bisogna costruire una storia che abbia suspense per attirare l’attenzione dei lettori, ed il Professore sembra metterne a frutto immediatamente l’insegnamento quando, per stimolare la curiosità dei ragazzi, accenna all’intenzione di saccheggiare insieme gli appunti di Calvino sul Furioso ed al progetto di proiettare all’Università lo spettacolo di Ronconi sull’opera presa in esame al corso. Per rendere i versi del poeta più familiari fa persino ricorso ad un personaggio dello sceneggiato televisivo La Squadra che cita di frequente la sapienza dell’ottava ariostesca.
Gli studenti sono sorpresi e conquistati mentre il Professore prosegue a braccio sull’impossibilità dei cavalieri corazzati di resistere all’amore. “Amor omnia vincit”: proprio come nella lettura del poema, durante la lezione si viene affascinati dalla “maniera di organizzare il racconto che non segue solo i fatti ma tiene ad amor aperte le porte”.
I ragazzi entrano e si sistemano interrompendolo continuamente ma il Prof., paziente, raccoglie i fili del discorso ed afferma che lo scompiglio è un’ottima metafora per descrivere ciò che accade nel poema di Ariosto, poiché chiunque volesse sintetizzarne la vicenda si perderebbe per la complessità della trama. “Un professore di un mio caro amico – racconta Palumbo – apriva il Furioso, faceva leggere un’ottava e chiedeva agli studenti di spiegare a qual punto della vicenda fossero giunti. E’ una delle cose più difficili che si possano fare. Orientarsi è una delle imprese più disperate perché il testo nasce da divagazioni”.
Ariosto sapeva che bisogna costruire una storia che abbia suspense per attirare l’attenzione dei lettori, ed il Professore sembra metterne a frutto immediatamente l’insegnamento quando, per stimolare la curiosità dei ragazzi, accenna all’intenzione di saccheggiare insieme gli appunti di Calvino sul Furioso ed al progetto di proiettare all’Università lo spettacolo di Ronconi sull’opera presa in esame al corso. Per rendere i versi del poeta più familiari fa persino ricorso ad un personaggio dello sceneggiato televisivo La Squadra che cita di frequente la sapienza dell’ottava ariostesca.
Gli studenti sono sorpresi e conquistati mentre il Professore prosegue a braccio sull’impossibilità dei cavalieri corazzati di resistere all’amore. “Amor omnia vincit”: proprio come nella lettura del poema, durante la lezione si viene affascinati dalla “maniera di organizzare il racconto che non segue solo i fatti ma tiene ad amor aperte le porte”.
Gli studenti:
“spiega da Dio”
“spiega da Dio”
E’ la sincera passione per i grandi classici il segreto del fascino di uno dei professori più amati della Facoltà di Lettere. Il coro di elogi degli allievi del corso è unanime. Gli fanno eco anche le voci dei suoi studenti della triennale di Lettere Classiche. “E’ chiaro e pure gentile!”, “Spiega da Dio!”, “Si vede che è materia sua!”: così Annalisa Esposito, Cristina Capriglione, Marcella Marchese, Leo Cammarano, Maria Pasquarella e Carmela Pisaniello fanno a gara per dire la loro sul professore che “è riuscito a far diventare entusiasmante persino la lettura di testi cupi come le tragedie di Alfieri”.
Quale è il trucco per mantenere viva la curiosità ed il piacere degli ascoltatori? – chiediamo a Palumbo a fine lezione. “Faccio cose in cui mi diverto. Seguo un percorso intellettuale su cui davvero sto riflettendo. Se funziona per me, ha senso anche per gli ascoltatori”.
Mettendosi in gioco riesce senz’altro a creare un feeling con gli studenti, tuttavia rimane una curiosità: all’esame aprirà il Furioso per chiedere “dove siamo?”. Palumbo sorride e si definisce il collaudatore di ciò che gli studenti hanno imparato. “Intendo l’esame come la fase conclusiva di un’esperienza di studio – aggiunge – e, dunque, sottoporrò agli studenti alcuni passi su cui ci siamo soffermati ma di fronte ai quali potranno muoversi con libertà”.
Palumbo ricorda quale precisione di dati veniva richiesta agli esaminandi di Letteratura Italiana dal Prof. Battaglia, di cui è orgoglioso di essere stato uno degli ultimi allievi alla Federico II. “Era un gran signore, una persona rassicurante, ma l’esame era molto duro. Lo sostenni con lui ed andò bene, il Professore mi lodò ma quando vidi che scriveva un 28 sul libretto, me ne andai deluso. Solo in treno mi accorsi di aver sbirciato la data: era il 28 ottobre!”.
Gli occhi si illuminano ripercorrendo l’avventura intellettuale iniziata con una tesi su Svevo con il professor Battaglia e proseguita con l’esaltante collaborazione con il professor Mazzacurati. L’entusiasmo è ancora tale che “non riesco mai a fare due volte la stessa lezione sullo stesso argomento – ammette Palumbo- E’ proprio la mutevolezza del punto di vista che mantiene fervida la riscoperta di un tema.”
Ma come fa a condensare programmi tanto ampi in poche ore?
“Evito la sintesi e, partendo da un testo, da un problema, provo a rendere pertinenti le informazioni”.
Non si rischia così di dare per scontato che i ragazzi conoscano già il contesto di riferimento?
“Cerco di rendere vive le nozioni facendo percepire come esse siano necessarie per la comprensione e le problematizzo calandole in un’esperienza di lettura”.
In che modo occorre allora selezionare i dati da memorizzare?
“Il manuale deve essere adoperato come una griglia, come un orario ferroviario per raccogliere le informazioni. Il mio compito è fungere da stimolo per ampliare la preparazione verso più direzioni. Il rischio nei moduli del nuovo ordinamento è quello di una preparazione usa e getta, invece che una costruzione fatta di pietre su pietre che devono essere metabolizzate”.
Si può dunque anche insegnare ad insegnare?
“Me lo sono chiesto più volte, anche in quanto responsabile della Sicsi, ma non so se esiste una metodica. Si può, però, mostrare come davanti ad una realtà testuale si possa ricavare tutto ciò che rende l’esperienza di chi legge un’esperienza ricca”.
Chi ci sta davanti non è un vaso da colmare – sottolinea Palumbo – ma un riflettore che in mezzo alle cose deve saper scegliere, sapersi orientare.
Vivere un’esperienza intellettuale, affrontare un tema nella pratica dialettica, fornire un esempio di insegnamento – conclude il professore – è forse il modo più efficace di trasmettere una didattica non separabile dai contenuti. “E le testimonianze di coloro che hanno seguito questo esempio mi suggeriscono che funzioni…”
Manuela Pitterà
Quale è il trucco per mantenere viva la curiosità ed il piacere degli ascoltatori? – chiediamo a Palumbo a fine lezione. “Faccio cose in cui mi diverto. Seguo un percorso intellettuale su cui davvero sto riflettendo. Se funziona per me, ha senso anche per gli ascoltatori”.
Mettendosi in gioco riesce senz’altro a creare un feeling con gli studenti, tuttavia rimane una curiosità: all’esame aprirà il Furioso per chiedere “dove siamo?”. Palumbo sorride e si definisce il collaudatore di ciò che gli studenti hanno imparato. “Intendo l’esame come la fase conclusiva di un’esperienza di studio – aggiunge – e, dunque, sottoporrò agli studenti alcuni passi su cui ci siamo soffermati ma di fronte ai quali potranno muoversi con libertà”.
Palumbo ricorda quale precisione di dati veniva richiesta agli esaminandi di Letteratura Italiana dal Prof. Battaglia, di cui è orgoglioso di essere stato uno degli ultimi allievi alla Federico II. “Era un gran signore, una persona rassicurante, ma l’esame era molto duro. Lo sostenni con lui ed andò bene, il Professore mi lodò ma quando vidi che scriveva un 28 sul libretto, me ne andai deluso. Solo in treno mi accorsi di aver sbirciato la data: era il 28 ottobre!”.
Gli occhi si illuminano ripercorrendo l’avventura intellettuale iniziata con una tesi su Svevo con il professor Battaglia e proseguita con l’esaltante collaborazione con il professor Mazzacurati. L’entusiasmo è ancora tale che “non riesco mai a fare due volte la stessa lezione sullo stesso argomento – ammette Palumbo- E’ proprio la mutevolezza del punto di vista che mantiene fervida la riscoperta di un tema.”
Ma come fa a condensare programmi tanto ampi in poche ore?
“Evito la sintesi e, partendo da un testo, da un problema, provo a rendere pertinenti le informazioni”.
Non si rischia così di dare per scontato che i ragazzi conoscano già il contesto di riferimento?
“Cerco di rendere vive le nozioni facendo percepire come esse siano necessarie per la comprensione e le problematizzo calandole in un’esperienza di lettura”.
In che modo occorre allora selezionare i dati da memorizzare?
“Il manuale deve essere adoperato come una griglia, come un orario ferroviario per raccogliere le informazioni. Il mio compito è fungere da stimolo per ampliare la preparazione verso più direzioni. Il rischio nei moduli del nuovo ordinamento è quello di una preparazione usa e getta, invece che una costruzione fatta di pietre su pietre che devono essere metabolizzate”.
Si può dunque anche insegnare ad insegnare?
“Me lo sono chiesto più volte, anche in quanto responsabile della Sicsi, ma non so se esiste una metodica. Si può, però, mostrare come davanti ad una realtà testuale si possa ricavare tutto ciò che rende l’esperienza di chi legge un’esperienza ricca”.
Chi ci sta davanti non è un vaso da colmare – sottolinea Palumbo – ma un riflettore che in mezzo alle cose deve saper scegliere, sapersi orientare.
Vivere un’esperienza intellettuale, affrontare un tema nella pratica dialettica, fornire un esempio di insegnamento – conclude il professore – è forse il modo più efficace di trasmettere una didattica non separabile dai contenuti. “E le testimonianze di coloro che hanno seguito questo esempio mi suggeriscono che funzioni…”
Manuela Pitterà