E’ giunta l’ora di spezzare la monotonia dell’alimentazione degli astronauti in orbita. Oltre ai soliti liofilizzati, presto potranno gustare anche insalate fresche. E’ uno degli obiettivi della ricerca condotta dal gruppo di lavoro guidato dalla prof. Giovanna Aronne, docente di Botanica Applicata presso il Corso di Laurea in Produzioni Vegetali della Facoltà di Agraria. Uno studio innovativo sullo sviluppo dei germogli di soia nello spazio, volto non solo a capire se possono divenire cibo fresco da consumare in orbita, ma anche a valutare l’effetto della microgravità sulle caratteristiche anatomiche, morfologiche e funzionali delle piantine. Dopo circa un anno e mezzo, si è arrivati alla fase cruciale del programma di ricerca: il 31 maggio partirà dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan, il razzo Soyuz che lancerà nello spazio il satellite FOTON M2, a bordo del quale verranno condotti 39 esperimenti in tutto, tra quelli biologici, di fisica, fluidodinamica, scienze dei materiali. Voluto dall’ESA, Agenzia Spaziale Europea, il programma coinvolge diversi Paesi, tra cui Francia, Germania e Olanda. Il team italiano è composto da ricercatori di Agraria e ingegneri: Veronica De Micco, dottore di ricerca in Botanica Applicata e Principal Investigator del progetto; Michele Scala, dottorando in Tecnologie delle Produzioni Vegetali; Raimondo Fortezza, docente di Impianti e sperimentazione aerospaziale a Ingegneria; Marco Haladich, neoingegnere aerospaziale; Pasquale Eduardo, studente di Ingegneria Elettronica. La prof. Aronne, coordinatrice del gruppo, dice: “si è creata tra tutti noi la sinergia giusta, abbiamo avuto modo di arricchirci imparando l’uno dall’altro”. Solo Veronica De Micco, in qualità di Principal Investigator, partirà per Baikonur, tutti gli altri la raggiungeranno in Olanda all’ESA per la fase dei controlli sui germinelli tornati sulla terra. Spiega la prof. Aronne: “per noi il lavoro vero e proprio inizierà con il ritorno dei germogli, che verranno presi, misurati, sezionati, colorati, osservati, fotografati e sottoposti ad analisi di immagini e statistiche. Ci aspettano sei mesi di duro lavoro”. La professoressa precisa che il carattere innovativo del progetto non sta tanto nel fatto di far germogliare i semi nello spazio (“non è la prima volta”), quanto nel tipo di indagine che si intende condurre, incentrata sull’osservazione dell’apparato vascolare e dell’accumulo nelle piante di fenoli in funzione dei raggi ultravioletti. “La possibilità di far crescere sulle piattaforme spaziali germogli freschi per insalate rispecchia soltanto l’aspetto immediatamente applicativo della ricerca”, dice, “in realtà essa ha motivazioni più profonde, si vuole dare delle risposte ad alcune domande riguardanti fenomeni biologici non ancora chiari alla comunità scientifica internazionale”. (Sara Pepe)