Esami, esami, esami. Il calendario prevede nominalmente due sessioni ma, di fatto, la finestra compresa tra la fine di gennaio e la metà di febbraio è unica, perché gli studenti possono partecipare ad uno solo dei due appelli previsti da ciascuna materia (ma non da tutte, sottolineano). Chi viene bocciato o rifiuta il voto torna ad aprile. Inoltre, molti appelli si svolgono a ridosso dei corsi e il tempo a disposizione per riorganizzare idee e materiale si riduce enormemente. Lo fa notare Alessandro Fazzi, studente al terzo anno di Economia delle Imprese Finanziarie: “È così dal primo anno, quando abbiamo sostenuto l’esame di Matematica due giorni dopo la fine del corso”. Come il suo collega Gennaro Esposito: “si sostiene che dobbiamo studiare durante i corsi, ed è giusto. Ma un giorno o due sono pochi per ripetere un intero programma”. Gli fa eco la compagna di studi Assunta Pannelle: “Siamo un po’ fuori corso, perché, nonostante la nostra Facoltà abbia un buon calendario d’esami, con diverse sessioni, gestire i corsi è complicato. Se devi recuperarne uno, occorre sempre escluderne un altro, perché gli orari si sovrappongono. Così ci si trova sempre ad inseguire le attività”. “Quando ci siamo iscritte, cinque anni fa, in Facoltà si stava meglio: le aule erano più agibili, non faceva freddo, l’orario di lezione era migliore, meno pesante. Abbiamo visto peggiorare le cose, anno dopo anno. Ed ora faremo lezione fino al giorno prima dell’esame”, raccontano Ramona Luce e Carmen Mercogliano, studentesse fuori corso di Economia Aziendale. “Sicuramente il calendario non ci agevola, perché non consente di ripetere più volte il programma e assimilare quanto spiegato”, afferma Maria Rosaria Di Sarno, matricola ad Economia Aziendale che si appresta ad affrontare Economia Aziendale e Ragioneria, esame “molto interessante, con un bel programma, ma fino al giorno prima dell’esame studieremo nuovi casi. Inoltre, il professore ci raccomanda sempre di leggere la stampa economica e di essere preparati sull’attualità, perché solo così potremo rapportare alla realtà quello che studiamo. Ma, con il poco tempo a disposizione, occuparci di tutte queste altre cose diventa complicato”. Eppure è l’unica disciplina del primo anno a prevedere una prova intercorso. “A novembre il professore ci ha anche chiesto quale fosse, quella mattina, il valore dello spread”, ricorda Rossella De Maria, anche lei al primo anno di Economia Aziendale. Poi sottolinea: “la prova intercorso è, al tempo stesso, una condanna ed un’agevolazione. Alleggerisce di metà programma, attribuisce un voto che rientrerà nella media e ti fa conoscere dai docenti. La parte di programma successiva, però, è più impegnativa. Non a caso una volta il programma era articolato in due esami separati. Dunque, mantenere un buon voto è più difficile”. “Se potessimo avanzare una proposta, ci piacerebbe non avere due settimane di pausa a novembre, che per noi è inutile perché non abbiamo esami da sostenere, e terminare prima le lezioni in modo da avere più tempo per studiare e ripetere”, dicono Clio Benusiglio e Riccardo Capozzi, al primo anno di Economia Aziendale. Luisa Baiano e Claudio Giordano, al primo anno di Economia, sono un po’ delusi dal clima universitario: “Al liceo abbiamo avuto un’esperienza presso un college di Londra, dove abbiamo respirato un’atmosfera diversa. Intorno a noi, nel campus, si svolgevano tante attività e iniziative culturali extra curriculari e tutti ci invitavano o ci incoraggiavano a partecipare. Pensavamo che l’università fosse una sorta di comunità da vivere e siamo arrivati con l’idea di trascorrervi tutto il giorno. Invece, ad eccezione di un incontro organizzato dall’associazione AIESEC, non siamo stati coinvolti in niente. Sicuramente non abbiamo cercato assiduamente, ma l’impressione è che siamo molto indietro. Anche se volessimo formare un gruppo di studio, non sapremmo dove andare, perché gli spazi non sono sufficienti”.
Simona Pasquale
Simona Pasquale