‘Guardare i fiori scendendo da cavallo. Capire la Cina attraverso i suoi media’ è il titolo dell’incontro organizzato dall’Istituto Confucio il 29 aprile nella sede di Palazzo del Mediterraneo de L’Orientale, protagonista la dott.ssa Emma Lupano, giornalista professionista e docente a contratto di Lingua e cultura cinese all’Università degli Studi di Milano. Obiettivo della conferenza: comprendere la situazione attuale della libertà di stampa e di espressione in Cina, attraverso un breve excursus storico della storia della comunicazione negli ultimi trent’anni. A tale scopo, la dott.ssa Lupano ha invitato tutti a “guardare i fiori scendendo da cavallo”, ovvero rivolgere uno sguardo più attento alla realtà cinese. Tutto ciò a partire da un’attenta analisi dei quotidiani dagli anni ’70 in poi. Durante l’era di Mao tutte le testate sono di proprietà statale e vige il controllo totale della comunicazione. Le notizie positive sono le sole destinate ad essere pubblicate sui ‘gonkai’, ovvero testate accessibili a tutti, mentre sui ‘neibu’ appaiono anche le notizie negative riservate ai funzionari del partito ed a tutti coloro che detengono un certo livello di potere. Insomma, il popolo riceve un’informazione attentamente selezionata e ‘filtrata’. Durante la Rivoluzione culturale (1966-1969), si assiste ad una chiusura ulteriore del sistema. Col passare degli anni, però, i quotidiani perdono di credibilità e vengono additati dal pubblico come “falsi, esagerati, vuoti” perché scarsamente aderenti alla realtà dei fatti e tendenti ad esaltare in maniera artificiosa le notizie positive, sempre nell’ottica di diffondere un’ingannevole e rosea lettura della realtà. Nel 1978, arriva una riforma dei media nel tentativo di riguadagnare credibilità, riforma dovuta in gran parte anche al cambiamento del sistema economico dei media stessi. Negli anni ’80 si intravede una possibilità di apertura con la nascita dei primi dibattiti sulla deontologia giornalistica. I giornalisti sentono l’esigenza di sapere quali devono essere i propri limiti, cosa è lecito scrivere e cosa no. Un apparente compromesso è raggiunto negli anni ’90, momento in cui si stabilisce una sorta di patto: i giornalisti vengono lasciati liberi di esprimersi su alcuni temi, mentre altri continuano a restare dei tabù, come la politica, la religione e la pornografia. Il senso di controllo permane ancora forte, dunque, le testate hanno sempre bisogno di una licenza per scrivere, rilasciata da appositi enti, e i padroni della comunicazione stavolta passano a tre: il pubblico, il partito e la pubblicità. Oggigiorno un grande limite del giornalismo cinese resta l’autocensura dei giornalisti stessi. Una testimonianza diretta viene proprio dalla dott.ssa Lupano che racconta la sua esperienza di giornalista occidentale nella redazione di una testata cinese, il People’s Daily, in ‘Ho servito il popolo cinese’. “L’autocensura fa parte automaticamente della scrittura. Appartiene alla cultura cinese, che si esprime in modo indiretto, e gli scrittori hanno affilato nel tempo la capacità di cesellare le parole, di esprimersi in modo obliquo”, afferma la sinologa. In primo luogo, ci si autocensura per tutelare sé stessi, in quanto non sono rari i casi importanti di giornalisti retrocessi, licenziati o peggio per aver divulgato notizie scomode. Su alcuni temi non è permesso a nessuno esprimersi, né sui media tradizionali, né suoi blog, mentre invece sugli argomenti non considerati tabù c’è ancora un buon margine di espressione. Inoltre, sempre secondo la Lupano, pare che sia aumentata la tolleranza nei confronti dei ‘pesci piccoli’, cioè di giornalisti, commentatori e intellettuali che esprimono critiche moderate, mentre non c’è nessuna tolleranza nei confronti dei personaggi più noti e rumorosi. Una valvola di sfogo nel mondo della comunicazione sembrano essere i microblog, che pare permettano ai cinesi di aggirare il sistema di controllo, grazie anche alla loro velocità nel diffondere le notizie. In sostanza, la Cina sembra essere continuamente in bilico tra apertura e chiusura, e gli spiragli di libertà e cambiamento sono solo brevi momenti. A parlare chiaro sono i dati: nel 2010 Reporters sans frontières conta 35 giornalisti cinesi in prigione. Interrogata sul futuro dei media in Cina, la dott.ssa Lupano afferma che, nonostante le aspettative (occidentali) di un’inarrestabile apertura in seguito alla crescita economica, il partito abbia dimostrato di non avere alcuna intenzione ad allentare la stretta. Dall’altro lato, però, la sinologa non è pessimista sulla capacità e sulla voglia dei giornalisti cinesi di inventare sempre nuovi metodi per eludere la censura. “Laggiù, nell’ombra, ci sono davvero tanti professionisti che credono in un giornalismo vero e che provano, nel loro piccolo, a realizzarlo”, conclude. Come informa l’organizzatrice dell’evento, la prof.ssa Maria Cigliano, docente di Lingua Cinese all’Orientale e membro del Consiglio Direttivo dell’Istituto Confucio, sono in programma altre giornate di studio (precisamente dieci in tutto), organizzate sempre dal Club Confucio e ospitate dall’Orientale. Si tratta di “un’occasione unica per ascoltare voci competenti provenienti da altri Centri di cultura, punti di vista diversi sulla realtà cinese contemporanea e temi che spesso non vengono affrontati a lezione”. Gli studenti dell’Orientale possono acquisire 3 crediti per ‘altre attività formative’ qualora seguano il 70% delle conferenze del Club insieme ad un corso dell’Istituto Confucio. Sono invitati a partecipare liberamente tutti gli studenti degli Atenei campani interessati alle tematiche proposte. Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito dell’Istituto Confucio
http://www.confucio.unior.it.
Raffaella Grimaldi
http://www.confucio.unior.it.
Raffaella Grimaldi