Parterre gremito per la prima proiezione napoletana del film ‘Sulla mia pelle’, presentato alla 75esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e adesso nelle sale, nella serata del 13 settembre presso l’Aula Piovani del Dipartimento di Studi Umanistici in Via Porta di Massa. Organizzato dal collettivo universitario dell’Aula LP-Lettere Precarie, l’evento ha visto la partecipazione di più di 200 persone, molti dei quali giovani studenti, recatisi in sede universitaria fuori orario per assistere al lungometraggio che racconta l’ultima settimana di Stefano Cucchi, dall’arresto per droga fino al decesso nell’ottobre 2009, accaduto in seguito a lesioni inferte durante la custodia cautelare. “La folla qui presente è segno della sempre più evidente necessità di creare occasioni collettive di dialogo per divulgare, condividere e informarsi rispetto ai casi di cronaca che riguardano la tutela del cittadino e la formazione di una coscienza informata sui fatti, in questo caso la ricerca della verità giudiziaria e giustizia per le vittime di abuso d’ufficio e violenze in divisa”, dice lo studente Lorenzo Perrella nel dibattito che anticipa il film. Nonostante i vincoli imposti dalla violazione del diritto d’autore e copyright di materiale protetto, su spinta delle segnalazioni di Netflix e LuckyRed che hanno determinato la censura sui social network degli eventi in tutta Italia, la folla accorsa ha reso necessaria una seconda proiezione per via del numero di coloro rimasti in piedi. “Il caso Cucchi riporta l’attenzione sulle zone d’ombra del procedimento penale, quegli angoli bui in cui la vita umana ha una considerazione diversa e può essere calpestata senza alcun rimorso. Anche nella nostra metropoli questa realtà è evidente: la storia di Stefano, come quella di Davide Bifolco, un semplice ragazzo ucciso da un carabiniere a Rione Traiano nel corso di un inseguimento, la restituiscono con estrema brutalità”, afferma Luigi Romano, dottorando in ‘Diritti umani. Storia, teoria e prassi’ presso il Dipartimento federiciano di Giurisprudenza e responsabile campano dell’Associazione Antigone per i diritti e le garanzie nel sistema penale. La pellicola nasce dall’esigenza di una ricostruzione a tratti documentaristica di una ferita ancora aperta e invita lo spettatore alla riflessione “sulla tenuta del sistema e, di conseguenza, sull’idea di relazioni umane che vogliamo costruire collettivamente. Dobbiamo immergerci nei territori, tra i bisogni reali delle comunità, partire da quei bisogni e non dalle paure, esigere una vita dignitosa per tutti e non maggiore coercizione. Altrimenti continueremo a mettere a bilancio i decorsi patologici dei rapporti di potere”. Nel caso specifico dell’attuale realtà carceraria e del lavoro portato avanti dall’Associazione attiva in tutta Italia, “in molte situazioni abbiamo stimolato gli enti territoriali a riconoscere le cose più elementari, come le cure mediche o il ricongiungimento con le famiglie. Proprio per questo, oltre all’Osservatorio nazionale sulle carceri e quello sulle REMS che comincerà a breve a lavorare in Campania, vorremmo aprire uno sportello legale in uno degli istituti napoletani”. Prende la parola subito dopo il Presidente dell’Associazione Ex D.O.N., impegnata da circa vent’anni per i diritti sociali e civili di detenuti ed ex carcerati. È Pietro Ioia, 59 anni e 22 in carcere, recentemente autore del libro ‘La cella zero. Morte e rinascita di un uomo in gabbia’ (Marotta&Cafiero, 2017), nel quale racconta i retroscena, i soprusi, l’incubo delle violenze nel carcere di Poggioreale, “un mostro di cemento, un ghetto di abbandono in cui le vessazioni – come succedeva in una cella senza numero al piano terra, e per la quale è tuttora in corso un processo contro alcuni agenti penitenziari – sono all’ordine del giorno. ‘Trattamenti contrari al senso di umanità’, ma anche alla rieducazione o al reinserimento in società, che violano di fatto ciò che recita l’art. 27 della nostra Costituzione e per cui vige la legge sul reato di tortura”. Uno strenuo attivismo che affonda le radici nella vita trascorsa nei padiglioni in cui “non si vede mai la luce del sole, in cui potrebbero vivere al massimo 1500 persone e ve ne sono il doppio, dove se avvengono tre suicidi nel giro di 20 giorni nessuno ne parla, dove se esci e vuoi trovarti un lavoro sei bollato per sempre col marchio di criminale e dove, come è successo anche a Stefano, vite umane affidate alla responsabilità degli organi dello Stato si spengono in un silenzio assordante”, quello che, dopo un lungo applauso, accompagna i titoli di coda.
Di sera all’Università per la proiezione del film sul caso Cucchi
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