“Quando mi sono iscritto all’università, ero affascinato dal mito dello studioso che se ne va in giro per il mondo a fare ricerche. Ho scelto Scienze Naturali perché mi sembrava il Corso adatto per evitare un lavoro d’ufficio e svolgere, invece, un’occupazione interessante che mi consentisse di viaggiare ed essere sempre in contatto con le persone”, racconta Giuseppe De Iasi, 29 anni, originario di Avellino, laureato (vecchio ordinamento) a luglio con una tesi sull’analisi ambientale attraverso il confronto tra i sedimenti di due aree diverse. “Mi sono appassionato alla conservazione della natura seguendo le lezioni della prof.ssa Lucia Simone, con la quale ho poi svolto la tesi. Il suo amore per questa disciplina e la sua passione per l’insegnamento mi hanno colpito”. Se l’entusiasmo per il lavoro sul campo gli hanno fatto concludere gli studi a pieni voti e con la lode, la voglia di viaggiare e di conoscere il mondo lo hanno invece spinto a coltivare interessi che gli hanno consentito di intraprendere una professione poco comune. “Mi piace l’inglese, lo studio autonomamente con l’aiuto di due amici americani. Grazie alla conoscenza di questa lingua, ho potuto partecipare, a 23 anni, alle selezioni dell’Alitalia per diventare assistente di volo”. Dopo aver superato le selezioni di lingua, le prove di gruppo, quelle di nuoto, i colloqui attitudinali e i corsi di fisica, sicurezza e pronto soccorso, Giuseppe ha lavorato più di un anno per la compagnia aerea su voli intercontinentali. “Il volo per Toronto è stato il mio battesimo dell’aria, poi sono stato in Brasile, Venezuela, Africa, Stati Uniti ed Europa”.
Dopo questa parentesi, Giuseppe ha deciso di tornare all’università per completare gli studi. “Mi recavo tutti i giorni in dipartimento, anche quando non avevo lezione. Era un’ottima occasione per incontrare gli altri e imparare qualcosa di nuovo chiacchierando e confrontandoci”. La carriera accademica è la sua più grande aspirazione. “Dopo la laurea ho partecipato al concorso di Dottorato, sia a Napoli che ad Isernia. Non è andata bene, ma ho intenzione di riprovarci. Voglio tentare anche all’estero. Per ora sto frequentando la SICSI”. Aggiunge: “l’università è stata una casa per me, non ho mai avuto alcun tipo di problema con i professori, il contatto con loro mi ha fatto venire voglia di stare dall’altra parte e poi c’è la ricerca. Rappresenta tutto quello che cercavo all’inizio: la possibilità di andare sempre un po’ più in là. Conosco le difficoltà che si possono incontrare con un dottorato, soprattutto qui in Italia, dove i fondi per la ricerca sono pochi, ma non voglio arrendermi. Intanto continuo a studiare l’inglese, perché in ambito scientifico è fondamentale”.
La tesi. Giuseppe ha condotto per circa due anni, una ricerca paleoambientale, che ha permesso il confronto tra sedimenti attuali, raccolti nel tratto di costa compreso tra Nisida e Posillipo, e sedimenti antichi, estratti ad Isili, in provincia di Nuoro, in un’area che 12 milioni di anni fa, ospitava un canale sommerso. “I campioni raccolti nel Golfo di Napoli sono composti, in prevalenza, da materiale vulcanico, misto ad alghe, molluschi, bivalvi ed altri organismi”. Dopo essere stati raccolti, i sedimenti, sono stati osservati al microscopio, per verificarne il grado di consumo. “I segni dell’abrasione ci danno informazioni importanti sull’ambiente in cui questi organismi si sono sviluppati, rivelandoci la natura delle correnti alle quali sono stati sottoposti”. In una fase successiva, Giuseppe si è recato in Sardegna per svolgere un ulteriore campionamento. “Qui ho raccolto alcuni campioni di alghe rosse fossili. Ho tagliato una parte di questi sedimenti, li ho levigati e ne ho osservato la superficie al computer, per ricavare indicazioni sull’ambiente di fossilizzazione”. La forma dei fossili è indicativa del tipo di correnti che c’erano nella zona quando questi organismi erano ancora vivi. Correnti rapide e turbolenti, che fanno continuamente rotolare gli organismi, permettono loro di assumere forma sferica. Correnti placide, tipiche delle acque stagnanti, producono invece forme allungate, perché gli organismi crescono, stando sempre poggiati su un lato. “Abbiamo capito che stavamo effettivamente esplorando un antico canale sommerso, in una zona di produzione carbonatica (in cui si produce Carbonato di Calcio, l’elemento principale nelle rocce calcaree), di tipo temperato (in un’epoca in cui le temperature erano di gran lunga superiori a quelle attuali) e biogenica. Le protagoniste di questo processo sono proprio le alghe, che permettono la deposizione dei gusci degli animali sul fondale”. Il collegamento con l’ambiente napoletano è cruciale. “Abbiamo potuto registrare le forti analogie tra i due ambienti. Sulle nostre coste abbiamo rilevato lo stesso processo di produzione carbonatica, in corrispondenza di analoghi fenomeni ondosi. Grazie alle conoscenze acquisite sui fenomeni del passato, sarà possibile studiare e preservare l’ambiente presente, prevedendo i futuri sviluppi del Mediterraneo”.
Simona Pasquale
Dopo questa parentesi, Giuseppe ha deciso di tornare all’università per completare gli studi. “Mi recavo tutti i giorni in dipartimento, anche quando non avevo lezione. Era un’ottima occasione per incontrare gli altri e imparare qualcosa di nuovo chiacchierando e confrontandoci”. La carriera accademica è la sua più grande aspirazione. “Dopo la laurea ho partecipato al concorso di Dottorato, sia a Napoli che ad Isernia. Non è andata bene, ma ho intenzione di riprovarci. Voglio tentare anche all’estero. Per ora sto frequentando la SICSI”. Aggiunge: “l’università è stata una casa per me, non ho mai avuto alcun tipo di problema con i professori, il contatto con loro mi ha fatto venire voglia di stare dall’altra parte e poi c’è la ricerca. Rappresenta tutto quello che cercavo all’inizio: la possibilità di andare sempre un po’ più in là. Conosco le difficoltà che si possono incontrare con un dottorato, soprattutto qui in Italia, dove i fondi per la ricerca sono pochi, ma non voglio arrendermi. Intanto continuo a studiare l’inglese, perché in ambito scientifico è fondamentale”.
La tesi. Giuseppe ha condotto per circa due anni, una ricerca paleoambientale, che ha permesso il confronto tra sedimenti attuali, raccolti nel tratto di costa compreso tra Nisida e Posillipo, e sedimenti antichi, estratti ad Isili, in provincia di Nuoro, in un’area che 12 milioni di anni fa, ospitava un canale sommerso. “I campioni raccolti nel Golfo di Napoli sono composti, in prevalenza, da materiale vulcanico, misto ad alghe, molluschi, bivalvi ed altri organismi”. Dopo essere stati raccolti, i sedimenti, sono stati osservati al microscopio, per verificarne il grado di consumo. “I segni dell’abrasione ci danno informazioni importanti sull’ambiente in cui questi organismi si sono sviluppati, rivelandoci la natura delle correnti alle quali sono stati sottoposti”. In una fase successiva, Giuseppe si è recato in Sardegna per svolgere un ulteriore campionamento. “Qui ho raccolto alcuni campioni di alghe rosse fossili. Ho tagliato una parte di questi sedimenti, li ho levigati e ne ho osservato la superficie al computer, per ricavare indicazioni sull’ambiente di fossilizzazione”. La forma dei fossili è indicativa del tipo di correnti che c’erano nella zona quando questi organismi erano ancora vivi. Correnti rapide e turbolenti, che fanno continuamente rotolare gli organismi, permettono loro di assumere forma sferica. Correnti placide, tipiche delle acque stagnanti, producono invece forme allungate, perché gli organismi crescono, stando sempre poggiati su un lato. “Abbiamo capito che stavamo effettivamente esplorando un antico canale sommerso, in una zona di produzione carbonatica (in cui si produce Carbonato di Calcio, l’elemento principale nelle rocce calcaree), di tipo temperato (in un’epoca in cui le temperature erano di gran lunga superiori a quelle attuali) e biogenica. Le protagoniste di questo processo sono proprio le alghe, che permettono la deposizione dei gusci degli animali sul fondale”. Il collegamento con l’ambiente napoletano è cruciale. “Abbiamo potuto registrare le forti analogie tra i due ambienti. Sulle nostre coste abbiamo rilevato lo stesso processo di produzione carbonatica, in corrispondenza di analoghi fenomeni ondosi. Grazie alle conoscenze acquisite sui fenomeni del passato, sarà possibile studiare e preservare l’ambiente presente, prevedendo i futuri sviluppi del Mediterraneo”.
Simona Pasquale