“Se uno legge una poesia, o vede un quadro, sta fermo: invece è impossibile comprendere l’architettura se non si cammina. In questo modo semplice e profondo Ugo Gregoretti, regista, giornalista e drammaturgo, invitato da me, qui all’Università, raccontava l’architettura. E così si svolge il suo apprendistato, come esercizio dell’osservazione per educarsi alla comprensione dello spazio, della sua misura e della sua forma”. La prof.ssa Valeria Pezza, docente di Progettazione e tra qualche settimana Presidente del Corso di Studi in Architettura (eletta circa un mese fa, ufficialmente entrerà in carica entro luglio), è un architetto formato alla scuola della progettazione legata allo studio e alla conoscenza della città come architettura. Napoletana, laurea alla Federico II con il professore Uberto Siola, ha insegnato poi per molti anni a Pescara.
Professoressa, quale ritiene che sia la priorità da perseguire nel corso del mandato che sta per cominciare?
“Secondo me è essenziale che Architettura riesca a tenere alto il livello dell’offerta formativa. Siamo sempre più sottoposti ad un meccanismo di razionalizzazione dell’intero campo dell’università, che al momento porta via una quantità incredibile di tempo in burocrazia. È un problema serio e rischia di interferire con la funzione primaria di una buona didattica che ciascun docente deve svolgere in un Corso di studi. Spero che, a regime, si trovi un equilibrio”.
Anche alla luce di quel che ha appena detto, perché ha accettato l’impegno della Presidenza?
“Uno di noi doveva pur farlo: penso che faccia parte dei nostri compiti”.
Quale caratteristica, secondo lei, deve necessariamente avere un ragazzo che intenda immatricolarsi ad Architettura?
“Deve essere spinto da un interesse autentico per la materia e il suo mestiere, piuttosto che dall’ansia di certezza di un impiego, un posto fisso di lavoro. Architettura, come il resto della Università, non è una scuola di formazione professionale. Buoni studi di base, anche in Architettura, consentono, dopo la laurea, di essere più attrezzati per affrontare gli scenari, in continuo mutamento”.
Uno dei grossi scogli che, non da ora, ostacolano il percorso universitario degli studenti di Architettura è quello delle materie scientifiche. Ritiene che sia possibile, senza pregiudicare il livello dell’offerta formativa, trovare una qualche soluzione?
“Vero, è un problema costante. C’era anche quando frequentavo Palazzo Gravina da studentessa. Certamente, arrivano spesso ad Architettura ragazze e ragazzi con basi scarse, idee confuse nelle materie scientifiche e privi dell’esercizio sistematico della riflessione. È un dato che chiama in causa la scuola secondaria e ricade su di noi. A maggior ragione, per costoro, una disciplina che non si sforzi di ricostituire il nesso tra i problemi e le loro soluzioni o svolga un insegnamento del tutto autonomo dalla costruzione può risultare vessatorio”.
Cosa intende con autonomo?
“Ricordo belle discussioni con il grande Salvatore di Pasquale su una pratica delle Scienze delle costruzioni che sembra non estratta, ma del tutto astratta dalle costruzioni. In sostanza, gli studenti rischiano di perdere di vista il reale e complesso apporto logico, scientifico e strutturale che le discipline svolgono nell’architettura, che non è una addizione di saperi, ma una loro sintesi, a livello superiore”.
Come si può modificare questa situazione?
“È una questione che affronteremo nell’ambito dei diversi Corsi di studio del nuovo Dipartimento di Architettura. Si possono sicuramente individuare correttivi”.
Quali?
“Non sono ancora entrata nel merito, ma forse si può anche provare ad articolare l’offerta formativa in modo che gli studenti possano percorrere passi più graduali e più connessi all’architettura, alla sua comprensione scientifica e alla sua sperimentazione progettuale”.
Fabrizio Geremicca
Professoressa, quale ritiene che sia la priorità da perseguire nel corso del mandato che sta per cominciare?
“Secondo me è essenziale che Architettura riesca a tenere alto il livello dell’offerta formativa. Siamo sempre più sottoposti ad un meccanismo di razionalizzazione dell’intero campo dell’università, che al momento porta via una quantità incredibile di tempo in burocrazia. È un problema serio e rischia di interferire con la funzione primaria di una buona didattica che ciascun docente deve svolgere in un Corso di studi. Spero che, a regime, si trovi un equilibrio”.
Anche alla luce di quel che ha appena detto, perché ha accettato l’impegno della Presidenza?
“Uno di noi doveva pur farlo: penso che faccia parte dei nostri compiti”.
Quale caratteristica, secondo lei, deve necessariamente avere un ragazzo che intenda immatricolarsi ad Architettura?
“Deve essere spinto da un interesse autentico per la materia e il suo mestiere, piuttosto che dall’ansia di certezza di un impiego, un posto fisso di lavoro. Architettura, come il resto della Università, non è una scuola di formazione professionale. Buoni studi di base, anche in Architettura, consentono, dopo la laurea, di essere più attrezzati per affrontare gli scenari, in continuo mutamento”.
Uno dei grossi scogli che, non da ora, ostacolano il percorso universitario degli studenti di Architettura è quello delle materie scientifiche. Ritiene che sia possibile, senza pregiudicare il livello dell’offerta formativa, trovare una qualche soluzione?
“Vero, è un problema costante. C’era anche quando frequentavo Palazzo Gravina da studentessa. Certamente, arrivano spesso ad Architettura ragazze e ragazzi con basi scarse, idee confuse nelle materie scientifiche e privi dell’esercizio sistematico della riflessione. È un dato che chiama in causa la scuola secondaria e ricade su di noi. A maggior ragione, per costoro, una disciplina che non si sforzi di ricostituire il nesso tra i problemi e le loro soluzioni o svolga un insegnamento del tutto autonomo dalla costruzione può risultare vessatorio”.
Cosa intende con autonomo?
“Ricordo belle discussioni con il grande Salvatore di Pasquale su una pratica delle Scienze delle costruzioni che sembra non estratta, ma del tutto astratta dalle costruzioni. In sostanza, gli studenti rischiano di perdere di vista il reale e complesso apporto logico, scientifico e strutturale che le discipline svolgono nell’architettura, che non è una addizione di saperi, ma una loro sintesi, a livello superiore”.
Come si può modificare questa situazione?
“È una questione che affronteremo nell’ambito dei diversi Corsi di studio del nuovo Dipartimento di Architettura. Si possono sicuramente individuare correttivi”.
Quali?
“Non sono ancora entrata nel merito, ma forse si può anche provare ad articolare l’offerta formativa in modo che gli studenti possano percorrere passi più graduali e più connessi all’architettura, alla sua comprensione scientifica e alla sua sperimentazione progettuale”.
Fabrizio Geremicca