Si è parlato di Maghreb e delle rivolte degli ultimi mesi, de “La rivoluzione ai tempi di internet”. Era proprio questo, infatti, il titolo della giornata di studi promossa dall’Orientale, per mercoledì 30 marzo. I lavori hanno avuto luogo a Palazzo Du Mesnil, con la sala praticamente piena durante l’intera giornata, tra studenti, ricercatori, dottorandi, ma anche tantissimi docenti. Tanti nomi importanti, non solo dal punto di vista accademico, per quanto riguarda i relatori: anche giornalisti, scrittori, antropologi, che hanno saputo allargare l’orizzonte della discussione a 360 gradi. Le parole d’ordine, soprattutto durante la prima fase di discussione, sono state quelle di internet, con i suoi social network, a cominciare dagli ormai irrinunciabili Facebook e Twitter, e del ruolo che questi hanno avuto e hanno nel corso delle sommosse che stanno coinvolgendo il mondo arabo. O ancora quelle del giornalismo partecipativo, il cosiddetto citizen journalism, e dell’importante ruolo delle televisioni satellitari come il colosso dell’informazione araba Al Jazeera. Enrico De Angelis, ad esempio, napoletano che all’università di Bologna insegna le relazioni tra mass media e politica, si è soffermato sulla particolarità, proprio in questo senso, della situazione siriana: “In Siria la comunicazione politica è molto statica, c’è un grandissimo controllo sia per quanto riguarda la sfera pubblica che il privato. Un ruolo particolare in questo caso è stato proprio quello rivestito da Al Jazeera, dal momento che il movimento siriano è cominciato quando alcuni ragazzi hanno riportato alcuni slogan caratteristici delle sommosse in Egitto, slogan che avevano visto attraverso gli schermi della tv araba. In questa seconda fase, ovviamente, internet sta giocando un ruolo importante, ma più a livello costruttivo, con il desiderio da parte delle persone di unirsi per mettere in piedi qualcosa”. Molto interessante l’intervento di Mansour Ghaki, docente di Civiltà preislamiche dell’Africa del Nord a L’Orientale, che ha parlato della stretta relazione tra l’immagine, la rete e le rivolte in Tunisia, mostrando alcune immagini che sono diventate emblematiche negli ultimi mesi.
La proposta:
un centro
studi arabo-islamici
un centro
studi arabo-islamici
Il dibattito, al termine di questa prima fase di lavori, ha avuto molti contributi, a cominciare dalla proposta “di far nascere un centro di studi arabo-islamici, che possa essere in grado di tenere sempre sotto osservazione i cambiamenti che interessano questa zona del mondo a noi così vicina, e che sembrano essere destinati ad andare avanti ancora per molto tempo”. Il prof. Agostino Cilardo, Preside della Facoltà di Studi arabo-islamici e del Mediterraneo, ha raccolto la palla al balzo: “È una proposta interessante a cui già pensavamo da qualche tempo, tanto più che con i nuovi indirizzi universitari spariranno purtroppo tanti riferimenti istituzionali per quest’ambito e quindi si renderà necessario far qualcosa per salvaguardare questo genere di studi”.
La seconda fase della giornata è stata oggetto in particolar modo di un’analisi sul rapporto tra democrazia e paesi arabi. “Molti uomini, anche illustri, della cultura e della politica occidentale – ha riflettuto Amara Lakhous, scrittore e antropologo – utilizzano come argomentazione strumentale una presunta insofferenza da parte degli arabi ai regimi di governo democratico. Usano questo genere di argomento, si nascondono dietro il pericolo del terrorismo e dell’estremismo religioso, ma dimenticano che per esempio in Egitto il parlamento esiste dal 1866. Più o meno dai tempi in cui è nato quello italiano!”. Il concetto più interessante venuto fuori durante la discussione è come in occidente si sia avuta una percezione falsata di quello che stava accadendo in nord Africa, attraverso una presentazione degli eventi come estemporanei, qualcosa considerata assolutamente inattesa e imprevedibile. “Le avvisaglie invece c’erano tutte”, ha spiegato Gennaro Gervasio, dell’Università di Sidney, in collegamento via Skype, tanto per rimanere in tema di internet. “Si sono ascoltati tanti luoghi comuni, per esempio sull’Egitto, posto dove la gente è calma e tranquilla e non si sarebbe mai ribellata al regime. Beh, basta leggere un po’ di cronaca e di storia degli ultimi anni per capire che non è così. Quello che era necessario, per una sollevazione popolare, era che crollasse il muro di paura, che è effettivamente venuto giù dopo la rivolta tunisina, quando la gente ha capito che una speranza di cambiamento c’era”. Anche gli studenti hanno partecipato con le proprie riflessioni: “É quel genere di problematica che in Europa viene presentata sotto un’ottica falsata. Tunisia, Egitto e ancor di più Siria e Libia: ad ascoltare il sistema mediatico, la stampa, la televisione, ma anche internet, sembrava che quello che stava accadendo in nord Africa stesse avvenendo per magia, da un momento all’altro, mentre ora scopriamo che non è affatto così”. Anna Bozzo, dell’Università capitolina di “Roma Tre”, ha risposto proprio a questo proposito: “Infatti era tutto piuttosto prevedibile, a farci un po’ d’attenzione”. Gli elementi, che oggi sono visibili, che hanno portato a un progressivo cambiamento nella coscienza civile delle popolazioni arabe: “la crescita culturale, dovuta alla scolarizzazione; l’identificazione con i diritti umani universali, e allo stesso tempo un’altra, forse mai prima d’ora avvenuta, da parte dei cittadini con il proprio stato-nazione, piuttosto che con lo stato arabo”.
La seconda fase della giornata è stata oggetto in particolar modo di un’analisi sul rapporto tra democrazia e paesi arabi. “Molti uomini, anche illustri, della cultura e della politica occidentale – ha riflettuto Amara Lakhous, scrittore e antropologo – utilizzano come argomentazione strumentale una presunta insofferenza da parte degli arabi ai regimi di governo democratico. Usano questo genere di argomento, si nascondono dietro il pericolo del terrorismo e dell’estremismo religioso, ma dimenticano che per esempio in Egitto il parlamento esiste dal 1866. Più o meno dai tempi in cui è nato quello italiano!”. Il concetto più interessante venuto fuori durante la discussione è come in occidente si sia avuta una percezione falsata di quello che stava accadendo in nord Africa, attraverso una presentazione degli eventi come estemporanei, qualcosa considerata assolutamente inattesa e imprevedibile. “Le avvisaglie invece c’erano tutte”, ha spiegato Gennaro Gervasio, dell’Università di Sidney, in collegamento via Skype, tanto per rimanere in tema di internet. “Si sono ascoltati tanti luoghi comuni, per esempio sull’Egitto, posto dove la gente è calma e tranquilla e non si sarebbe mai ribellata al regime. Beh, basta leggere un po’ di cronaca e di storia degli ultimi anni per capire che non è così. Quello che era necessario, per una sollevazione popolare, era che crollasse il muro di paura, che è effettivamente venuto giù dopo la rivolta tunisina, quando la gente ha capito che una speranza di cambiamento c’era”. Anche gli studenti hanno partecipato con le proprie riflessioni: “É quel genere di problematica che in Europa viene presentata sotto un’ottica falsata. Tunisia, Egitto e ancor di più Siria e Libia: ad ascoltare il sistema mediatico, la stampa, la televisione, ma anche internet, sembrava che quello che stava accadendo in nord Africa stesse avvenendo per magia, da un momento all’altro, mentre ora scopriamo che non è affatto così”. Anna Bozzo, dell’Università capitolina di “Roma Tre”, ha risposto proprio a questo proposito: “Infatti era tutto piuttosto prevedibile, a farci un po’ d’attenzione”. Gli elementi, che oggi sono visibili, che hanno portato a un progressivo cambiamento nella coscienza civile delle popolazioni arabe: “la crescita culturale, dovuta alla scolarizzazione; l’identificazione con i diritti umani universali, e allo stesso tempo un’altra, forse mai prima d’ora avvenuta, da parte dei cittadini con il proprio stato-nazione, piuttosto che con lo stato arabo”.
Migrazione e
aspirazione alla
democrazia
aspirazione alla
democrazia
Si è poi discusso sul rapporto tra i regimi autoritari e le nascenti questioni sociali nei paesi interessati dalle rivolte. Si è parlato del ruolo della donna, delle ragioni storiche per cui i regimi del nord Africa sono in difficoltà, e, con il prof. Alessandro Triulzi dell’Orientale, dei flussi migratori: “Ogni migrazione è collegata a un desiderio di emancipazione, che in questo momento è una aspirazione alla democrazia. In occidente, però, si tende a rispondere attraverso l’innalzamento di muri, figurati e materiali, come quello che divide gli Stati Uniti dal Messico”. Non si poteva, infine, ignorare quanto appena accaduto in Siria, proprio nel pomeriggio di mercoledì, a seguito del discorso alla nazione tenuto dal leader Bashar Al Asad. “Le parole di Bashar erano attesissime – ha raccontato Lorenzo Trombetta, studioso del mondo arabo e giornalista dell’Ansa – Ma non si è andato oltre una promessa di aumenti salariali e sussidi sociali. Nessuna apertura è arrivata sulla legge d’eccezione, che è in piedi dal ’63. Uno dei dissidenti mi ha detto oggi: ‘Il regime è come un bicchiere di vetro, se si cerca di riformarlo, si rompe’. È per questo che piuttosto che rischiare un suicidio, probabilmente si agirà solo attraverso la repressione: insomma una situazione delicata”. Anche questo è la rivoluzione ai tempi di internet.
Riccardo Rosa
Riccardo Rosa