Docente di rilievo all’Orientale, Ateneo di cui era stato Rettore dal 1981 al 1984, il prof. Maurizio Taddei è scomparso ad appena 64 anni lo scorso 5 febbraio. Ne traccia un ricordo l’amico e collega Bruno D’Agostino, docente di Etruscologia ed Archeologia Italica, nonché direttore del Cisa (Centro Interdipartimentale di Servizio di Archeologia)
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Il 5 febbraio è morto Maurizio Taddei: la sua morte prematura e improvvisa colpisce duramente quanti lo conobbero, ed ebbero modo di apprezzare la sua dirittura morale, la libertà del giudizio, il convinto rispetto per ogni altro uomo. In particolare la sua scomparsa colpisce l’Istituto Universitario Orientale, al quale aveva dedicato gran parte della sua attività, come docente, e nei ruoli di responsabilità che aveva via via ricoperto, fino a quello di Rettore Magnifico.
Professore di Archeologia e Storia dell’Arte dell’India, aveva compiuto giovanissimo i suoi primi scavi in Pakistan; in seguito il suo lavoro lo aveva portato nell’Afghanistan, paese al quale era rimasto sempre legato.
Profondo conoscitore di queste regioni, ma anche dell’antichità classica e del Medioevo, il suo interesse principale si era rivolto a ricucire il filo dei rapporti intercorsi, fin dai tempi di Alessandro Magno, tra quest’area e l’Occidente. Storico dell’arte di profonda dottrina, aveva aperto nuove prospettive alla ricerca, nello studio dell’iconografia antica. Per questo motivo il suo corso risulta fondamentale anche per chi si occupava dell’Occidente.
La vastità e la profondità delle sue conoscenze, che spaziavano dall’antichità al mondo contemporaneo, dall’Oriente all’Occidente, dalla storia dell’arte alla politica, non poteva non tradursi in un costante impegno nella politica e nella cultura. Per citare soltanto l’esordio, basta ricordare che nel 1967 fu nel piccolo gruppo di giovani archeologi che, insieme a R. Bianchi Bandinelli, diede vita a una rivista di ricerca e di lotta: Dialoghi di Archeologia. In seguito, il suo impegno proseguì nella società civile e nell’Università.
Ma qui interessa in particolare il suo contributo alla vita dell’Orientale. Insieme a Gherardo Gnoli, a Umberto Scerrato e a pochi altri, egli immaginò la riforma di statuto che trasformò un organismo ormai senza prospettive in un Ateneo moderno. A loro, orientalisti, appariva chiaro che il futuro delle discipline orientali non poteva essere in un remoto Olimpo, ma doveva calarsi in una visione più ampia, che integrasse l’Oriente e l’Occidente. In questa prospettiva, fu fortemente voluta l’apertura agli studi classici, e all’archeologia della Grecia e di Roma.
Altrettanto chiara fu la sua visione del posto che l’Oriente doveva e poteva occupare nella rinascita del centro antico di Napoli. Ebbe a esprimere in varie circostanze la radicata opinione che solo un’istituzione culturale di alto livello, come l’Università, avesse la possibilità e il dovere di recuperare edifici storici altrimenti destinati all’abbandono. Nasce da questa consapevolezza il restauro di Palazzo Corigliano, che G. Gnoli aveva acquisito al patrimonio dell’Orientale, e la scelta che in quel palazzo trovassero posto, insieme, i Dipartimenti dell’Asia, dell’Africa e del Mondo Classico. Questa scelta rendeva inoltre tangibile l’esigenza di cancellare le frontiere, quelle tra le discipline, ma prima ancora quelle tra le culture, che stava alla base della sua concezione, di uomo e di studioso.
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Il 5 febbraio è morto Maurizio Taddei: la sua morte prematura e improvvisa colpisce duramente quanti lo conobbero, ed ebbero modo di apprezzare la sua dirittura morale, la libertà del giudizio, il convinto rispetto per ogni altro uomo. In particolare la sua scomparsa colpisce l’Istituto Universitario Orientale, al quale aveva dedicato gran parte della sua attività, come docente, e nei ruoli di responsabilità che aveva via via ricoperto, fino a quello di Rettore Magnifico.
Professore di Archeologia e Storia dell’Arte dell’India, aveva compiuto giovanissimo i suoi primi scavi in Pakistan; in seguito il suo lavoro lo aveva portato nell’Afghanistan, paese al quale era rimasto sempre legato.
Profondo conoscitore di queste regioni, ma anche dell’antichità classica e del Medioevo, il suo interesse principale si era rivolto a ricucire il filo dei rapporti intercorsi, fin dai tempi di Alessandro Magno, tra quest’area e l’Occidente. Storico dell’arte di profonda dottrina, aveva aperto nuove prospettive alla ricerca, nello studio dell’iconografia antica. Per questo motivo il suo corso risulta fondamentale anche per chi si occupava dell’Occidente.
La vastità e la profondità delle sue conoscenze, che spaziavano dall’antichità al mondo contemporaneo, dall’Oriente all’Occidente, dalla storia dell’arte alla politica, non poteva non tradursi in un costante impegno nella politica e nella cultura. Per citare soltanto l’esordio, basta ricordare che nel 1967 fu nel piccolo gruppo di giovani archeologi che, insieme a R. Bianchi Bandinelli, diede vita a una rivista di ricerca e di lotta: Dialoghi di Archeologia. In seguito, il suo impegno proseguì nella società civile e nell’Università.
Ma qui interessa in particolare il suo contributo alla vita dell’Orientale. Insieme a Gherardo Gnoli, a Umberto Scerrato e a pochi altri, egli immaginò la riforma di statuto che trasformò un organismo ormai senza prospettive in un Ateneo moderno. A loro, orientalisti, appariva chiaro che il futuro delle discipline orientali non poteva essere in un remoto Olimpo, ma doveva calarsi in una visione più ampia, che integrasse l’Oriente e l’Occidente. In questa prospettiva, fu fortemente voluta l’apertura agli studi classici, e all’archeologia della Grecia e di Roma.
Altrettanto chiara fu la sua visione del posto che l’Oriente doveva e poteva occupare nella rinascita del centro antico di Napoli. Ebbe a esprimere in varie circostanze la radicata opinione che solo un’istituzione culturale di alto livello, come l’Università, avesse la possibilità e il dovere di recuperare edifici storici altrimenti destinati all’abbandono. Nasce da questa consapevolezza il restauro di Palazzo Corigliano, che G. Gnoli aveva acquisito al patrimonio dell’Orientale, e la scelta che in quel palazzo trovassero posto, insieme, i Dipartimenti dell’Asia, dell’Africa e del Mondo Classico. Questa scelta rendeva inoltre tangibile l’esigenza di cancellare le frontiere, quelle tra le discipline, ma prima ancora quelle tra le culture, che stava alla base della sua concezione, di uomo e di studioso.
Prof. Bruno D’Agostino