Lezione di musica e di vita con il percussionista Ciccio Merolla

L’aula SG1 di Patologia Generale è gremita di studenti che la forma ad anfiteatro non riesce a contenere. Sono in trepidante attesa del percussionista-rapper Ciccio Merolla. L’incontro del 10 novembre è stato organizzato dai professori Giovanni Delrio, docente di Biologia, e Sergio Minucci, docente di Biologia Molecolare e Genetica. Gli studenti sono stanchi dopo una giornata di corsi, testimoniata dalla lavagna piena di formule chimiche, ma felici per il momento di svago loro concesso. Appena arriva l’artista i loro occhi curiosi ed eccitati seguono ogni suo movimento. “Io vado ovunque mi possa esprimere musicalmente. Ogni posto è prezioso per far comprendere che la musica non è soltanto un commercio privo di cuore, ma un’occasione per toccare l’anima delle persone, per guarirle dalle malattie. Quale posto migliore di un’aula della Facoltà di Medicina per lanciare questo messaggio?”, afferma Merolla, talentuoso musicista che ha suonato con i grandi nomi della scena partenopea: Bennato, Senese, Zurzolo, Gragnaniello. Il percussionista, prestatosi gratuitamente a dar prova delle sue doti, parla con franchezza ed umiltà del percorso che lo ha condotto a diventare uno stimato artista. Parte dall’infanzia: “oggi è il mio compleanno e sono felice di festeggiarlo qui. Per me che sono uno scugnizzo dei Quartieri Spagnoli, trovarmi all’Università è un’emozione forte. Mia madre ha pianto per la commozione quando ha saputo che avrei suonato durante una lezione di Medicina. Il mio percorso non è stato facile, perché la realtà da cui provengo non lo è. A sette anni già lavoravo in un bar, portavo i caffè. Di sera con i miei amici andavamo a “sfottere” degli studenti universitari che si riunivano in Piazza Plebiscito con chitarre e bonghi. Affascinato dal suono delle percussioni, chiesi ai ragazzi di farmi provare a suonare. Loro accettarono purché fossi controllato. Si accorsero subito che, per quanto piccolo e inesperto, suonavo benissimo”. Del resto il ritmo nel sangue l’aveva sentito fin dai tre anni, quando batteva le pentole con le posate. “Cominciai a suonare con gli studenti anche senza i miei amici e loro erano più aperti e ben disposti nei miei confronti, quindi io desideravo mostrargli il lato migliore di me”. Conclude il racconto della sua infanzia con un insegnamento: “non bisogna mai ghettizzare, ma guardarsi negli occhi e capire la persona che si ha davanti, altrimenti  si perde la possibilità di arricchirsi, di scoprire il talento del singolo individuo per migliorarsi ogni giorno di più”.
Merolla parla anche del suo avvicinamento alla filosofia buddista, che gli ha conferito una sensibilità maggiore e una maggiore conoscenza di se stesso. “Quando mi proposero di suonare percussioni arabe con Tullio De Piscopo ero emozionatissimo, perché era stato sempre un sogno per me. In quel periodo iniziai a frequentare un amico che mi avvicinò alla filosofia buddista che si basa sulla ricerca del buono nelle persone. Iniziai ad applicarla e mi accorsi di cose che prima non vedevo. Vidi un ragazzo di mia conoscenza, killer di professione, che allattava un cucciolo di cane orfano di madre, per paura che morisse. Ora sono vent’anni che pratico il buddismo e ciò mi ha permesso un miglioramento continuo, mi ha dato armonia e mi ha concesso di arrivare al cuore delle persone. Solo mettendo in discussione se stessi, si può essere ben disposti verso gli altri”.
Dopo aver introdotto le esperienze che l’hanno portato alla conoscenza profonda della musica, presenta poi lo strumento che si appresta a suonare. “Questo è l’hang, un antico strumento africano. Veniva utilizzato nel 1800 dagli uomini marocchini per alleviare i dolori del parto alle loro mogli, accompagnandolo con il suono. Appena ho avuto l’opportunità di conoscerlo, me ne sono innamorato e da allora non ho smesso più di suonarlo”. Il percussionista dà inizio alla sua esibizione, seguita dagli occhi esterrefatti degli studenti. Lo strumento emette suoni diversi a seconda del punto in cui si tocca. Il suono è sempre più incalzante e i ragazzi sempre più rapiti. Alla fine della performance tutti si alzano in piedi e ringraziano con un lungo applauso l’artista, il quale si commuove per il calore dimostratogli. Poi il saluto con una strofa della canzone “Guerra”, tratta dal suo ultimo album Fratammè. La guerra è vista come uno stato interiore che infetta ogni nostra azione, in cui ognuno è nemico di se stesso e vive la vita come un campo di battaglia.
Allegra Taglialatela
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