La recente mobilitazione del mondo universitario per contrastare il DDL Moratti sulla riforma universitaria ha avuto tra i suoi obiettivi l’approvazione di provvedimenti di sblocco delle assunzioni e il bando di posti per l’arruolamento di giovani docenti.
E tutti sono d’accordo che chi ha a cuore il futuro del Paese nel campo della ricerca scientifica e tecnologica è proprio sui giovani che deve fare assegnamento.
Grazie a questa mobilitazione si è riusciti ad ottenere in sede di legge finanziaria alla Camera un sub emendamento di sblocco delle assunzioni all’Università, in contrapposizione al blocco previsto in altri settori del pubblico impiego.
Ma non basta. Occorre infatti continuare la mobilitazione per impedire che il rinnovo del blocco possa essere oggetto di ulteriore discussione in Senato ove, in assenza di istanze unanimemente rappresentative del sistema universitario, potrebbero prevalere altri interessi.
Una prima riflessione va fatta sull’investimento già effettuato in questi anni nel dottorato di ricerca da parte del Ministero dell’Università e sul destino di tanti di questi dottori che, pur consapevoli dei sacrifici che comporta la permanenza nella struttura universitaria italiana, tuttavia sperano in un’assunzione per soddisfare le proprie esigenze di cultura e per migliorare e far migliorare le conoscenze della comunità scientifica alla quale sentono di appartenere.
Né ci si può limitare a rendere portatori di queste istanze così pregnanti solo il Consiglio Universitario Nazionale (CUN) (in regime di prorogatio) e il Collegio dei Rettori (CRUI) nei quali Organi sono prevalenti interessi più generali non sempre condivisi dai più giovani.
Il caso richiede che sull’argomento “stato giuridico” dei giovani ricercatori si abbia la partecipazione oltre che della Comunità universitaria, di quella professionale e imprenditoriale in quanto alla ricerca è collegato l’intero sviluppo del Paese.
Una organizzazione efficiente per risollevare le sorti della ricerca scientifica e tecnologica può essere riassunta in tre punti:
reclutamento tramite i concorsi nazionali con commissioni sorteggiate (non elette);
garanzia sul futuro per conseguire serenità nel lavoro anche attraverso una retribuzione uguale a quella europea (con impegno a tempo pieno).
valutazione dell’attività del ricercatore alla scadenza di cinque anni dalla data di immissione in ruolo, con eventuale proroga di altri tre anni qualora non sia stata raggiunta l’idoneità al passaggio al ruolo successivo di professore associato.
In caso di non idoneità, passaggio di diritto al ruolo della scuola superiore.
Se la procedura del DDL rappresenta la disattesa della partecipazione alle decisioni del mondo accademico e del mondo professionale, esiste un modo per rendere viceversa molto chiaro il pensiero della Comunità accademica e professionale. Limitandosi per ora allo stato giuridico dei ricercatori basta pensare ad un referendum attraverso il quale si possa esprimere un parere di assenso o di diniego su tre tematiche: reclutamento, carriera e retribuzione, valutazione dell’attività svolta.
Le schede referendarie andrebbero distribuite a tutto il personale docente in ruolo nell’Università e negli Enti di ricerca, ai Consigli degli Ordini professionali, ai Consigli delle Associazioni Imprenditoriali, affidando lo svolgimento delle operazioni di scrutinio a commissioni appositamente elette a cura dell’Università.
Il parere espresso dal referendum dovrà essere cogente (e non consultivo) in sede legislativa.
In merito poi alla successiva carriera dei giovani e quindi allo stato giuridico degli altri soggetti (attori) dell’attività di ricerca per i due ruoli di professore di 2a fascia (associato) e di 1a fascia (ordinario) la distribuzione di impegno e di retribuzione tra tempo pieno e tempo definito andrebbe (come avviene all’estero) mantenuta e ancor più differenziata rispetto alla situazione attuale.
Anzi sarebbe da prevedere un avanzamento di carriera più rapido per i professori a tempo pieno aventi responsabilità istituzionali di maggiore impegno (Presidi, Presidenti di classe di laurea, direttori di gruppi di ricerca a livello internazionale).
Circa le procedure concorsuali sarebbe da respingere qualsiasi strada di commissione nominata per elezione sostituendo a tale procedura la nomina della commissione giudicatrice per sorteggio. Il bando del concorso sarebbe da effettuare al momento in cui, per ogni raggruppamento concorsuale, si consegua un numero complessivo prefissato di posti. Numero risultante dalle richieste di ciascuna Università o Ente di ricerca in base alle disponibilità economiche dei singoli richiedenti.
E tutti sono d’accordo che chi ha a cuore il futuro del Paese nel campo della ricerca scientifica e tecnologica è proprio sui giovani che deve fare assegnamento.
Grazie a questa mobilitazione si è riusciti ad ottenere in sede di legge finanziaria alla Camera un sub emendamento di sblocco delle assunzioni all’Università, in contrapposizione al blocco previsto in altri settori del pubblico impiego.
Ma non basta. Occorre infatti continuare la mobilitazione per impedire che il rinnovo del blocco possa essere oggetto di ulteriore discussione in Senato ove, in assenza di istanze unanimemente rappresentative del sistema universitario, potrebbero prevalere altri interessi.
Una prima riflessione va fatta sull’investimento già effettuato in questi anni nel dottorato di ricerca da parte del Ministero dell’Università e sul destino di tanti di questi dottori che, pur consapevoli dei sacrifici che comporta la permanenza nella struttura universitaria italiana, tuttavia sperano in un’assunzione per soddisfare le proprie esigenze di cultura e per migliorare e far migliorare le conoscenze della comunità scientifica alla quale sentono di appartenere.
Né ci si può limitare a rendere portatori di queste istanze così pregnanti solo il Consiglio Universitario Nazionale (CUN) (in regime di prorogatio) e il Collegio dei Rettori (CRUI) nei quali Organi sono prevalenti interessi più generali non sempre condivisi dai più giovani.
Il caso richiede che sull’argomento “stato giuridico” dei giovani ricercatori si abbia la partecipazione oltre che della Comunità universitaria, di quella professionale e imprenditoriale in quanto alla ricerca è collegato l’intero sviluppo del Paese.
Una organizzazione efficiente per risollevare le sorti della ricerca scientifica e tecnologica può essere riassunta in tre punti:
reclutamento tramite i concorsi nazionali con commissioni sorteggiate (non elette);
garanzia sul futuro per conseguire serenità nel lavoro anche attraverso una retribuzione uguale a quella europea (con impegno a tempo pieno).
valutazione dell’attività del ricercatore alla scadenza di cinque anni dalla data di immissione in ruolo, con eventuale proroga di altri tre anni qualora non sia stata raggiunta l’idoneità al passaggio al ruolo successivo di professore associato.
In caso di non idoneità, passaggio di diritto al ruolo della scuola superiore.
Se la procedura del DDL rappresenta la disattesa della partecipazione alle decisioni del mondo accademico e del mondo professionale, esiste un modo per rendere viceversa molto chiaro il pensiero della Comunità accademica e professionale. Limitandosi per ora allo stato giuridico dei ricercatori basta pensare ad un referendum attraverso il quale si possa esprimere un parere di assenso o di diniego su tre tematiche: reclutamento, carriera e retribuzione, valutazione dell’attività svolta.
Le schede referendarie andrebbero distribuite a tutto il personale docente in ruolo nell’Università e negli Enti di ricerca, ai Consigli degli Ordini professionali, ai Consigli delle Associazioni Imprenditoriali, affidando lo svolgimento delle operazioni di scrutinio a commissioni appositamente elette a cura dell’Università.
Il parere espresso dal referendum dovrà essere cogente (e non consultivo) in sede legislativa.
In merito poi alla successiva carriera dei giovani e quindi allo stato giuridico degli altri soggetti (attori) dell’attività di ricerca per i due ruoli di professore di 2a fascia (associato) e di 1a fascia (ordinario) la distribuzione di impegno e di retribuzione tra tempo pieno e tempo definito andrebbe (come avviene all’estero) mantenuta e ancor più differenziata rispetto alla situazione attuale.
Anzi sarebbe da prevedere un avanzamento di carriera più rapido per i professori a tempo pieno aventi responsabilità istituzionali di maggiore impegno (Presidi, Presidenti di classe di laurea, direttori di gruppi di ricerca a livello internazionale).
Circa le procedure concorsuali sarebbe da respingere qualsiasi strada di commissione nominata per elezione sostituendo a tale procedura la nomina della commissione giudicatrice per sorteggio. Il bando del concorso sarebbe da effettuare al momento in cui, per ogni raggruppamento concorsuale, si consegua un numero complessivo prefissato di posti. Numero risultante dalle richieste di ciascuna Università o Ente di ricerca in base alle disponibilità economiche dei singoli richiedenti.