Lotta alla mafia, strade alternative al processo

Si torna a parlare del fenomeno mafia. Si torna nello scenario più congeniale ai ragazzi, quello universitario, a parlare di un problema, non solo locale o meridionale, e dei “possibili” modi per debellarlo. Questa volta, teatro di questa nuova iniziativa, la Residenza universitaria Monterone di via Crispi che ospita più di 40 studenti fuori sede, gestita dall’IPE, Istituto per le Ricerche e le attività educative. “Lotta alla mafia: quali possibili alternative al processo”: questo il titolo del convegno, organizzato dal Club di Giurisprudenza della Residenza il 12 gennaio, cui hanno partecipato Raffaele Raimondi, Magistrato della Corte Suprema di Cassazione e moderatore della serata, Pierluigi Vigna, già Procuratore Nazionale dell’Antimafia ed Enzo Guidotto, Presidente dell’Osservatorio Veneto sul fenomeno mafioso, intervenuto proprio per indicare ai tanti ospiti presenti non solo le origini storiche di questa piaga, ma anche e, soprattutto, la capillarità e l’estensione nazionale e internazionale, che ha avuto in questi anni. “So che molti di voi si staranno chiedendo perché esiste un Osservatorio sulla mafia in Veneto, ed in verità, questa domanda, sono stato costretto a farmela pure io – afferma Raimondi- Poi, però, mi sono venuti in mente tanti episodi, come la famigerata mafia del Brenta, e tanti altri misfatti che hanno contribuito a potenziare i tentacoli di questa organizzazione malavitosa”. Poi la parola è passata proprio al prof. Guidotto che ha tracciato una lunga parabola sulla mafia. Parla dell’immagine per nulla edificante che l’Italia ha all’estero, proprio grazie alla mafia. Cita dichiarazioni di colleghi, luminari e di alcuni dei principali giornali internazionali, come l’Economist, da sempre molto duro con il nostro paese. Ne esce fuori, un’immagine del bel paese, poco o nulla organizzato per arginare questo triste fenomeno. “La mafia – dice il professore- è un’organizzazione di pochi, che riesce a fare il bello ed il cattivo tempo sugli altri”. Le sue sono parole dure, velate da quel tipico accento siciliano che ricorda le sue origini. Punta l’indice sulla lentezza del sistema giudiziario italiano. “I processi durano anni, e nella maggior parte dei casi, portano alla prescrizione di reati, purtroppo realmente commessi, come nel caso del processo ad Andreotti. Ma questo perché accade? Perché nel nostro paese non si riesce ad avere una giusta e continuativa organizzazione? Semplice – continua il prof. Guidotto- per il continuo e storico legame tra le organizzazioni malavitose, con i pubblici poteri. Ebbene si, è inutile nasconderci dietro un dito, mafia e politica hanno avuto, ed hanno tuttora, intrecci difficili da sciogliere. Legami che risalgano sin dai tempi di Garibaldi e che hanno sempre minato tutte le inchieste”. Parla senza mezzi termini il professore, citando non solo alcune dichiarazioni dell’ex presidente Cossiga, “la mafia è politica”, ma anche i tanti eroi del nostro paese che hanno pagato con la vita la loro battaglia alla mafia, come i giudici Falcone e Borsellino. “Si può fare di più – conclude- Bisogna fare di più”. Subito dopo, è stata la volta del dott. Pierluigi Vigna. “La mafia rappresenta un’arretratezza attiva. Fa leva, infatti, sui fenomeni di degrado che colpiscono il nostro paese. Sui disservizi, sulla disoccupazione, ecc., creando nuove forme di Stato. Spesso, infatti, la stessa mafia assomiglia così tanto allo Stato, da sostituirsi ad esso. In passato si è avvertita la sensazione che il politico stesso, avesse bisogno delle organizzazioni mafiose, almeno fino a quando queste ultime non avanzassero di troppo il loro baricentro. In quel caso, infatti, le due entità entrano in collisione, generando quelle politiche repressive che di tanto in tanto si vedono nel nostro paese”. Anche qui, un chiaro riferimento alle stragi di Capaci e di Via D’Amelio. “Il tema di questo incontro – continua Vigna- è quello di individuare quali possono essere le alternative al processo. Un tema interessante, che meriterebbe molto più spazio. Prima di tutto, iniziamo con il dire che il processo ci vuole, e che deve puntare sempre di più alla verità e alla giustizia. In secondo luogo, poi, credo che si dovrebbero individuare nuove vie, nuove alternative, soprattutto per riconquistare la fiducia delle popolazioni verso le istituzioni. La grande impresa della mafia, infatti, è stata proprio quella di aver spodestato i valori dello Stato dalla mente dei cittadini. Oggi, il 25% della popolazione non si interessa e non ha più fiducia nella politica. A questo punto, però, mi domando, ma se tutti noi parliamo sempre dei collegamenti tra mafia e politica, come potremo mai battere queste piaghe, se continua a crescere questo disinteresse? Bisogna agire ora, bisogna infondere nuova fiducia nella gente. I dati sono allarmanti. Un ragazzo su tre, non ha titolo di studio, la maggioranza è attanagliata dal lavoro sommerso ed è sottopagata. Sono questi i mali da combattere per dare nuove possibili soluzioni al problema mafia. Lotta all’istruzione, alla promozione dello sviluppo, ad un’efficiente burocrazia. Solo così la mafia inizierà a sentirsi con le mani legate”.   
Gianluca Tantillo
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