Il prof. Iacopo Grassi, docente di Microeconomia e Complementi di Microeconomia a Scienze Politiche, nella sezione avvisi della sua pagina ufficiale pubblica ed aggiorna costantemente i risultati degli esami che sostengono gli studenti. Nel rispetto della privacy, ovviamente, quindi senza indicare nomi e cognomi, ma con precisione e puntualità. Ecco, per esempio, l’ultima nota del genere, che riguarda l’appello di settembre ed è introdotta dalla frase “I fatti separati dalle opinioni”: studenti prenotati: 56; studenti presenti: 42; studenti ritirati durante lo scritto: 2; studenti non ammessi: 7; studenti promossi: 33; distribuzione voti: 18-20: 13; 21-23: 9; 24-27: 9; 28-30: 2; voto medio: 22.2.
Professore, perché ha adottato questa strategia e per quale motivo ha scritto quella frase come preambolo all’elenco dei voti?
“L’esame di Microeconomia è circondato da leggende e dicerie. Fake news, per usare un termine inglese che oggi va tanto di moda. La diceria è che ci sia ogni volta un numero spropositato di esaminandi bocciati e che – come corollario – chi voglia sperare di passare l’esame deve seguire lezioni private. Indico ad ogni sessione i risultati conseguiti all’esame dagli studenti per dimostrare, dati alla mano, che non è così. Per questo ho scritto la frase relativa ai fatti separati dalle opinioni. Parlano i numeri e raccontano una verità oggettiva, diversa da quella che si propaga di bocca in bocca tra i ragazzi”.
Non vorrà negare che Microeconomia è un esame molto impegnativo?
“È un esame da 15 crediti e per di più è collocato al primo anno, che è quello dell’impatto degli studenti con la nuova realtà universitaria. È normale che sia un esame impegnativo. Tra l’altro, il programma è molto ampio ed infatti altrove è diviso in Microeconomia 1 e Microeconomia 2. Ciò detto, non è certamente un esame impossibile da superare ed io non sono un professore che si diverte sadicamente a bocciare. Lo dimostrano i numeri relativi agli studenti promossi”.
Come si svolge la prova?
“È un esame fondamentalmente scritto. Tendenzialmente gli studenti hanno un voto allo scritto e poi, a seconda delle sessioni, si fa una piccola prova orale di discussione dello scritto. Nello scritto non propongo solo esercizi. Può capitare, per esempio, che sottoponga agli esaminandi un articolo di giornale da interpretare e commentare utilizzando modelli economici. Lo faccio affinché capiscano che Microeconomia è un esame strettamente connesso alla realtà e che i concetti, i teoremi e gli esercizi aiutano ad interpretare il mondo nel quale viviamo. È il bello di questa disciplina e per questo ne sono innamorato”.
Lei prima accennava alla vastità del programma. Perché non dividere l’esame in due?
“Non sono scelte che dipendono da me”.
Come va affrontata la disciplina per prepararsi bene?
“Frequentare le lezioni – otto o dieci ore a settimana – e studiare volta per volta, come a scuola, è il segreto. Non è un esame che si possa preparare in poco tempo e partendo da zero, perché la mole degli argomenti annichilisce chi non ha sufficiente tempo a disposizione. Consiglio inoltre vivamente agli studenti di utilizzare l’orario di ricevimento per chiedere chiarimenti sugli argomenti e sugli esercizi che risultano di difficile comprensione ed esecuzione. Non molti sfruttano questa opportunità ed è un peccato”.
Professore, perché ha adottato questa strategia e per quale motivo ha scritto quella frase come preambolo all’elenco dei voti?
“L’esame di Microeconomia è circondato da leggende e dicerie. Fake news, per usare un termine inglese che oggi va tanto di moda. La diceria è che ci sia ogni volta un numero spropositato di esaminandi bocciati e che – come corollario – chi voglia sperare di passare l’esame deve seguire lezioni private. Indico ad ogni sessione i risultati conseguiti all’esame dagli studenti per dimostrare, dati alla mano, che non è così. Per questo ho scritto la frase relativa ai fatti separati dalle opinioni. Parlano i numeri e raccontano una verità oggettiva, diversa da quella che si propaga di bocca in bocca tra i ragazzi”.
Non vorrà negare che Microeconomia è un esame molto impegnativo?
“È un esame da 15 crediti e per di più è collocato al primo anno, che è quello dell’impatto degli studenti con la nuova realtà universitaria. È normale che sia un esame impegnativo. Tra l’altro, il programma è molto ampio ed infatti altrove è diviso in Microeconomia 1 e Microeconomia 2. Ciò detto, non è certamente un esame impossibile da superare ed io non sono un professore che si diverte sadicamente a bocciare. Lo dimostrano i numeri relativi agli studenti promossi”.
Come si svolge la prova?
“È un esame fondamentalmente scritto. Tendenzialmente gli studenti hanno un voto allo scritto e poi, a seconda delle sessioni, si fa una piccola prova orale di discussione dello scritto. Nello scritto non propongo solo esercizi. Può capitare, per esempio, che sottoponga agli esaminandi un articolo di giornale da interpretare e commentare utilizzando modelli economici. Lo faccio affinché capiscano che Microeconomia è un esame strettamente connesso alla realtà e che i concetti, i teoremi e gli esercizi aiutano ad interpretare il mondo nel quale viviamo. È il bello di questa disciplina e per questo ne sono innamorato”.
Lei prima accennava alla vastità del programma. Perché non dividere l’esame in due?
“Non sono scelte che dipendono da me”.
Come va affrontata la disciplina per prepararsi bene?
“Frequentare le lezioni – otto o dieci ore a settimana – e studiare volta per volta, come a scuola, è il segreto. Non è un esame che si possa preparare in poco tempo e partendo da zero, perché la mole degli argomenti annichilisce chi non ha sufficiente tempo a disposizione. Consiglio inoltre vivamente agli studenti di utilizzare l’orario di ricevimento per chiedere chiarimenti sugli argomenti e sugli esercizi che risultano di difficile comprensione ed esecuzione. Non molti sfruttano questa opportunità ed è un peccato”.