Pochi, ben seguiti ed entusiasti

“Biotecnologie è una bella scelta perché apre gli occhi su come funzionano gli organismi viventi. Nel settore agroalimentare, in particolare, i professori sono molto proiettati nel lavoro, danno un’impronta di applicabilità alle cose che studiamo”, afferma Riccardo Aiese Cigliano, studente del primo anno della Specialistica del Corso di Laurea in Scienze Biotecnologiche per l’Agroindustria.
“Quando si parla di biotecnologia – continua Riccardo – si pensa solo agli organismi geneticamente modificati, all’ingegneria genetica, molecolare, non ci si rende conto che ci sono altre applicazioni possibili. Questo spinge l’opinione pubblica ad essere contraria all’apertura di aziende biotech”.
L’obiettivo di questi studi non si riduce, infatti, alla creazione di organismi geneticamente modificati poiché biotecnologie significa, nella sua accezione più generale, usare dei microrganismi per ottenere un prodotto. Gli esempi più elementari di questo processo sono la lievitazione del pane o la fermentazione dello yogurt. E le stesse tecnologie più innovative, cioè quelle che sfruttano l’ingegneria genetica, sono spesso impiegate per perfezionare le procedure tradizionali.
Al Corso di Laurea di Portici si studiano le applicazioni del biotech per il miglioramento delle piante coltivate non solo a scopo alimentare, medico e farmaceutico ma anche ornamentale.
“Vorrei riuscire a creare un’impresa per la coltura in vitro di specie ornamentali, in particolare di orchidee, perché quello floreale è un mercato molto sviluppato in Campania – sostiene Riccardo – oppure aprire un’azienda agricola per la produzione di piante combustibili destinate alla produzione energetica. I fondi europei sono uno stimolo per iniziare un’attività del genere; subito dopo la Specialistica ce ne interesseremo”.
“Sarebbe bello lavorare su piante come il kenaf che come combustibile può essere un’ottima fonte di energia alternativa – interloquisce Aurora Parlati, anche lei al I anno della Specialistica – Io, inoltre, sono sommelier e mi piacerebbe, per esempio, selezionare un particolare lievito che possa dare delle caratteristiche organolettiche per migliorare un determinato vino”.
Ad avviso di Aurora il campo alimentare e quello del fidorisanamento, ossia del risanamento ambientale grazie alle piante, sono i due campi più interessanti e più richiesti. “E’ straordinaria la capacità che hanno alcune piante di degradare le sostanze tossiche presenti nel terreno”, spiega la studentessa.
Un suo collega Sebastiano Iodice ritiene, tuttavia, difficilmente realizzabile l’idea di aprire una piccola azienda che si occupi di ricerca biotecnologica perché occorrerebbe un grossissimo investimento iniziale. “Dopo la Laurea conto di tentare un Dottorato di ricerca o iscrivermi ad un Master per specializzarmi in un ambito particolare” dice Sebastiano e Riccardo lo segue a ruota: “Il mio sogno sarebbe fare il professore universitario ma mi rendo conto che la gavetta è lunga e difficile”. 
Se Riccardo riuscisse a realizzare il suo sogno, vorrebbe diventare un docente carismatico come il professor Vincenzo De Simone o il professor Edgardo Filippone. “Il professor De Simone mi ha affascinato perché è bravissimo a spiegare cose che non sono semplici da capire – dichiara il ragazzo – E’ un professore che fa venir voglia di far bene, di recepire tutto quello che cerca di comunicarti”. “Il professor Filippone oltre alla ricerca ha numerosissimi interessi – afferma Sebastiano – si occupa di astronomia, del coro polifonico dell’Università, è il segretario della SIGA (la Società Italiana di Genetica Agraria), ha un’esperienza vastissima ed ha studiato molti anni negli Stati Uniti ”
Si dicono quindi entusiasti della scelta del Corso di Laurea in Biotecnologie, perché, rispetto ad altri affini, per esempio Biologia, “è meno dispersivo, più applicativo, più pratico.” “E poi – interviene Aurora – “si è formata una classe molto affiatata ed il fatto che siamo pochi è un grande vantaggio. I professori ci seguono, sono sempre disponibili per chiarimenti o per spostare le date d’esame. Indubbiamente, il futuro è incerto, ma durante il percorso di studi è difficile che ti perdi perché i professori ti sorvegliano quotidianamente, sono attenti a vedere se studi giorno per giorno”. 
“Per riuscire bene all’Università – conferma Riccardo – è importante formare un gruppo di persone con cui condividere le esperienze. Studiamo insieme, ci sproniamo a vicenda, ci facciamo forza l’un l’altro.” Anche la frequenza ai corsi conta molto: “I professori cercano molto spesso uno scambio di idee, ci coinvolgono nelle applicazioni pratiche, ci chiedono come si possano sfruttare le conoscenze che ci trasmettono. Perciò seguire diventa davvero stimolante.”
Gli studenti di Biotecnologie Agro-Alimentari sono pochi e ben seguiti, una ventina per classe. Anche se c’è il numero chiuso, il tetto massimo di 60 ammessi non è stato mai raggiunto. E dei 20 che hanno appena terminato la Triennale solo 4 sono i fuoricorso.
Biologia molecolare e Chimica organica sono a parere unanime gli esami più tosti ma al tempo stesso i più interessanti. Sono esami molto vasti che diventano complessi per chi non ha avuto buone basi al liceo. 
I futuri biotecnologi concordano sul fatto che nonostante questo Corso di Laurea dia una buona formazione, entrare nella ricerca pubblica è difficilissimo e le poche aziende private spesso non valutano adeguatamente le differenze tra i biotecnologi e coloro che provengono dai vecchi Corsi di Laurea. “La figura professionale del biotecnologo non è stata ancora ben inquadrata dalle aziende,  perciò forse essere un biologo specializzato in Biotecnologie sarebbe stato diverso – sostiene Sebastiano – Tuttavia sembra che le cose stiano cambiando”.
“C’è un problema legato alla percezione della biotecnologia in generale da parte della società europea – si lamenta Riccardo – e poi c’è un’ulteriore difficoltà ad intraprendere la professione perché non esiste un Ordine dei biotecnologi”.
Le aziende biotecnologiche in Italia, inoltre, sono pochissime e tutte concentrate al nord. “Sarei disposta ad un’esperienza lavorativa all’estero, magari in Olanda o negli Usa che sono i principali centri per la ricerca biotecnologica – dichiara Aurora – ma che duri solo pochi anni, non vorrei rimanere all’estero per tutta la vita”.
Ci si può immettere sul mercato subito dopo la triennale? Chiediamo a Riccardo. “Ci ho pensato ma la preparazione che hai dopo 3 anni non è ancora sufficiente per inserirti nel campo del lavoro. Meglio investire altri due anni, avere un titolo per così dire “finito” ed essere competitivi. Gli studenti del Nuovo Ordinamento già avvertono che la propria preparazione non è all’altezza di quella dei colleghi del Vecchio Ordinamento, perciò non possono proprio permettersi di non completare i cinque anni per competere con loro”.
Il primo semestre di studio prevede le materie di base, nel secondo si cominciano le applicazioni pratiche. “So che a Biotecnologie mediche gli studenti vedono i laboratori tardi perché sono troppi, invece noi vi andiamo già dal I anno e dal II siamo in laboratorio tutti i pomeriggi – sottolinea fiero Riccardo – Mi piacerebbe, però, se concentrassero tutti i corsi della Facoltà in un’unica struttura. Sarebbe interessante organizzare seminari trasversali di biotecnologie mediche, farmaceutiche e vegetali per avere una panoramica più ampia”.
Manuela Pitterà
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