Protestano i “docenti precari” della Federico II

Pochi studenti sanno che una parte significativa dei docenti con i quali svolgono gli esami e di cui seguono i corsi sono “precari”. Le docenze a contratto sono state istituite da un decreto ministeriale nel 1998 e con l’attuale sistema didattico (il 3+2 per intenderci) sono diventati quella “terza forza” che ha permesso il funzionamento di una “macchina universitaria” la cui offerta didattica è enormemente cresciuta. Il Miur censisce per l’anno 2004 almeno 25.000 corsi universitari affidati a personale a contratto in Italia. Sebbene una minima parte di questi sia costituita da esperti o professionisti che operano prevalentemente nel privato, e che prestano servizio anche nelle università, la gran parte di questi contratti è affidata a “giovani” (e ormai meno giovani) docenti e ricercatori precari. Docenti la cui retribuzione media è di 2500 euro lordi l’anno per un corso di due moduli all inclusive: lezioni, esami, tesi e tutorato.
Nell’attuale fase di riassetto del quadro normativo e di dichiarata, ancor più che attuata, attenzione all’esigenza di rinnovo della classe docente (e si calcola che nel giro di 10 anni il 40% del corpo docente andrà in pensione) quella che sembra attuarsi è invece la progressiva espulsione dall’università di docenti e ricercatori precari la cui anzianità di servizio, e i cui meriti scientifici e didattici, non hanno trovato ad oggi alcun riconoscimento. Le vie di questa espulsione forzata sono molteplici: il ridursi delle risorse per la ricerca e la didattica; la riduzione di assegni di ricerca e borse di studio; il numero insufficiente dei concorsi ed una legislazione nazionale e regolamenti di Ateneo particolarmente punitivi proprio nei confronti dei docenti a contratto. 
Cacciati,
dopo 7 anni
Il decreto ministeriale del 1998 poneva un limite di sei anni al rinnovo dei contratti per la didattica, pur lasciando agli Atenei il definire le procedure di attuazione e i parametri di interpretazione dei rinnovi. I decreti attuativi della Federico II, nel recepire la legge nazionale, hanno scelto una strada fortemente penalizzante per i docenti precari. In primo luogo, le diverse tipologie contrattuali (A, i contratti per incarichi di insegnamento; B, i contratti per attività didattiche integrative; C quelli per le attività seminariali) sono considerate tutte equipollenti nel computo dei rinnovi, pur prevedendo, ogni anno, un bando di concorso con competenze, carichi di lavoro e compensi differenti. In secondo luogo, per giungere al sesto rinnovo è sufficiente l’avere cumulato sei contratti di docenza anche se non consecutivi. Tutto ciò avviene nonostante la contestatissima riforma Moratti, ora legge dello Stato sebbene inattuata per assenza dei decreti attuativi, abbia reso possibile la pluriennalità dei rinnovi.
Da quest’anno si comincia col falcidiare i più “anziani” tra i circa 1.800 docenti precari della Federico II. E ciò avviene senza alcun riguardo per la qualità e la professionalità del loro impegno, senza alcuna valutazione e senza nessuna considerazione delle esigenze di continuità e qualità didattica che dovrebbero essere il cuore del mandato sociale dell’università. Poiché i corsi dovranno comunque essere affidati ad un docente a contratto, per sostituire persone che da anni sono impegnate nella didattica (e nella ricerca) e che hanno più o meno egregiamente svolto il loro lavoro, saranno forse chiamati giovani dottorandi o dottori di ricerca che didattica non ne hanno mai fatta. Come i loro predecessori avranno tutto il tempo per imparare (sulle spalle degli studenti), e per essere cacciati quando, troppo “vecchi” perché trascorsi i 7 anni, saranno ormai “scaduti”, penalizzati dall’aver svolto attività didattica per un intero settennio e colpevoli di non essere riusciti a valicare la “piccola porta” dei concorsi! 
Retribuzioni lorde,
non oltre i 5.120 euro annui
L’Ateneo napoletano si trova dunque a dissipare le esperienze di quanti hanno dedicato alla ricerca e alla didattica molti dei loro anni. Non riconoscendo più ai docenti precari la professionalità acquisita, la “Federico II” spreca quelle risorse umane che ha contribuito a formare, con un atteggiamento più simile ad un call center che a quello di una vera Università. Questo avviene nonostante proprio a fine luglio sia stato approvato dal nostro ateneo un nuovo regolamento sugli incarichi di docenza che, pur avviando un necessario processo di razionalizzazione delle docenze a contratto, non ha offerto alcuna risposta ai problemi più pressanti per i docenti precari. I titoli di merito di questo regolamento sono certamente importanti: è stato stabilito il principio della retribuzione della docenza su una base oraria e non forfettaria; è stato stabilito un monte ore minimo per la prestazione di docenza (16h) e l’aver stabilito una fascia di retribuzione che stabilisce dei minimi e dei massimi per le diverse tipologie di rapporto (per i contratti A si va dai 35 euro all’ora agli 80 euro). Tuttavia non si è offerta alcuna risposta al problema della non rinnovabilità dei contratti oltre il sesto anno (e perché poi si considera come rinnovo un contratto attribuito con un bando pubblico in cui possono ogni volta concorrere più candidati!!!) e si è, nei fatti, stabilita una retribuzione che nel migliore (e improbabile) dei casi (quello in cui si venga pagati 80 euro per 64 ore) è di 5120 euro lordi l’anno!!! E il computo delle ore conta solamente quelle impiegate per le lezioni, non riconoscendo economicamente il tempo che un docente utilizza per preparare un corso, per svolgere gli esami, per fare tutoraggio agli studenti, per seguire le tesi e le normali attività di ricerca – che pure sono parte e arricchiscono la didattica – di un dipartimento. L’Università certamente “risparmia”, ma risparmia sulle tutele, sulle garanzie, sulle retribuzioni dei docenti precari minando, nel frattempo, la qualità della didattica offerta agli studenti. 
Luigina De Santis (RNRP – Napoli)
Lella Napolitano (Coordinamento Docenti a Contratto Federico II)
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