L’obiettivo della riforma universitaria era chiaro, quanto ambizioso: fare in modo che la maggior parte dei laureati triennali si inserisse rapidamente nel mercato del lavoro e non continuasse gli studi nella laurea di secondo livello. Si ragionava così: la laurea triennale deve essere in grado di fornire un’adeguata formazione di base e, al tempo stesso, una sufficiente preparazione tecnica e professionale, in maniera da spalancare le porte del mondo del lavoro ai giovani ingegneri. Purtroppo, i numeri indicano un sostanziale fallimento di questo obiettivo, a partire dai pochi laureati triennali che, una volta conseguito il titolo, non riescono a trovare adeguata collocazione. Dunque, a più di dieci anni dall’introduzione del ‘3+2’, a venti dai diplomi universitari che ne furono il prologo, c’è spazio per una riflessione.
Spiegazione
del fallimento
del fallimento
Ritengo che i motivi principali del fallimento del sistema formativo ‘3+2’ siano sostanzialmente ascrivibili a due capisaldi che passo in rapida rassegna.
Le Facoltà di Ingegneria furono chiamate dal DM 509/1999, il regolamento concernente l’autonomia didattica degli Atenei, a proporre percorsi formativi triennali che, oltre ad una solida preparazione di base, fornissero buone competenze professionali. Di fatti, i percorsi proposti non sono stati né l’una né l’altra cosa, né carne né pesce, rimanendo incerti ed ambigui tra le due opposte richieste con terribili conseguenze negative sulla preparazione finale dei laureati magistrali. Oggi tutti, gli studenti e le famiglie, percepiscono il primo livello di laurea come un percorso formativo incompleto con scarse prospettive occupazionali. Inoltre, le aziende, che più di tutti spingevano per modelli formativi professionalizzanti triennali, non hanno mai preso in seria considerazione i laureati triennali, tradendo lo spirito della riforma e creando a questi giovani neo-laureati enormi difficoltà all’ingresso nel mondo lavorativo.
Le Facoltà di Ingegneria furono chiamate dal DM 509/1999, il regolamento concernente l’autonomia didattica degli Atenei, a proporre percorsi formativi triennali che, oltre ad una solida preparazione di base, fornissero buone competenze professionali. Di fatti, i percorsi proposti non sono stati né l’una né l’altra cosa, né carne né pesce, rimanendo incerti ed ambigui tra le due opposte richieste con terribili conseguenze negative sulla preparazione finale dei laureati magistrali. Oggi tutti, gli studenti e le famiglie, percepiscono il primo livello di laurea come un percorso formativo incompleto con scarse prospettive occupazionali. Inoltre, le aziende, che più di tutti spingevano per modelli formativi professionalizzanti triennali, non hanno mai preso in seria considerazione i laureati triennali, tradendo lo spirito della riforma e creando a questi giovani neo-laureati enormi difficoltà all’ingresso nel mondo lavorativo.
Conseguenze
Il ‘3+2’ ha comportato un notevole abbassamento qualitativo del livello dei laureati di lungo corso. Nemmeno la ‘riforma della riforma’, il DM 270/2004, che contiene norme concernenti l’autonomia degli Atenei e che ha sostituito il DM 509/1999, è stata in grado di porre rimedio a questi guasti, pur consentendo alle Facoltà di proporre sia percorsi universitari professionalizzanti, sia percorsi orientati alla prosecuzione degli studi. La laurea magistrale continua ad essere privilegiata dalle aziende e dagli studenti, dato che, almeno negli intendimenti, avrebbe dovuto recuperare il livello formativo dei ‘vecchi’ laureati.
Quale futuro
La gran parte dei laureati magistrali (80% o poco più) trova rapida collocazione lavorativa. Ciò potrebbe indurre nell’errore di pensare che un ritorno al vecchio modello formativo a ciclo unico quinquennale costituisca la soluzione di tutti i mali. Non credo che sia facile, nemmeno conveniente, tornare indietro, ma sia indispensabile offrire un’offerta formativa razionale, non schizofrenica. In Europa, in forme differenziate, coesistono due tipi diversi di canali formativi in Ingegneria: quelli orientati alle applicazioni, con sbocchi professionali privilegiati nella pianificazione, nella gestione e nella produzione, e quelli orientati alla teoria, per i settori della innovazione, della ricerca e dello sviluppo. Buona parte, se non la maggior parte, dei laureati occupa posizioni lavorative del primo tipo e, per ottenere una dignitosa preparazione del secondo tipo, è indispensabile un percorso formativo di cinque anni (almeno). Da ciò si evince che, per non generare logiche di mercato in cui i laureati quinquennali siano sottoutilizzati, è necessario tenere in piedi entrambi i canali formativi:
1) un ‘3+2’ essenzialmente rivolto alle lauree professionalizzanti;
2) un ciclo unico quinquennale che privilegi le lauree a maggior impatto teorico.
Ciò vuol dire che sono favorevole al ciclo unico quinquennale per gli ingegneri, a patto che conviva con un ‘3+2’ professionalizzante. Alle Facoltà, o Scuole che dir si voglia, sia deputata la scelta del percorso da offrire in coerenza con i propri obiettivi formativi, definiti, in ultima analisi, dalle esigenze del marcato del lavoro e dal territorio in cui opera la Facoltà.
1) un ‘3+2’ essenzialmente rivolto alle lauree professionalizzanti;
2) un ciclo unico quinquennale che privilegi le lauree a maggior impatto teorico.
Ciò vuol dire che sono favorevole al ciclo unico quinquennale per gli ingegneri, a patto che conviva con un ‘3+2’ professionalizzante. Alle Facoltà, o Scuole che dir si voglia, sia deputata la scelta del percorso da offrire in coerenza con i propri obiettivi formativi, definiti, in ultima analisi, dalle esigenze del marcato del lavoro e dal territorio in cui opera la Facoltà.
La Scuola di
Ingegneria
Ingegneria
Da molti anni ormai spero che le Facoltà di Ingegneria vengano strutturate con un primo anno unificato, residuo di quello che era il vecchio biennio, durante il quale la nuova matricola studi materie di base comuni a tutti gli ingegneri. Poi, solo dopo aver riflettuto bene, aver superato questo primo anno ed aver ‘vissuto’ la Facoltà, lo studente ha la possibilità di scegliere il settore di laurea, vale a dire optare per il settore industriale, per quello dell’informazione o per quello civile-edile. È indispensabile, oltre che estremamente sensato, riordinare il primo anno di studi, renderlo identico per tutti, abbandonando ipocriti campanilismi, secondo cui la Matematica per il settore dell’Informazione è diversa da quella per il settore Industriale, o la Fisica per un settore di laurea è più profonda di quella per un altro settore. E seppur esistesse una tale differenza, avrà tutto il tempo per dispiegarsi compiutamente durante il prosieguo del corso di studi. È nata de facto la Scuola di Ingegneria.
Valore legale
del titolo di studio
del titolo di studio
Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI) difende ad oltranza il valore legale del titolo di studio, dimenticando, o fingendo di dimenticare, che è il mercato che assegna una valore diverso al titolo a seconda dell’università che lo ha rilasciato. Ritengo che l’accreditamento dei corsi di studio sia la via maestra per superare questo problema e, nel contempo, dare nuovo impulso al miglioramento dell’offerta formativa. Spero, invece, che la disciplina degli Esami di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione non venga cambiata e che resti assegnata agli Ordini, anche se questi non l’hanno mai assunta completamente. Magari, aggiungerei un praticantato quale condizione necessaria per sostenere questo esame: è una contraddizione il fatto che uno studente, laureatosi da un mese, venga a sostenere l’esame.
In definitiva, se l’adesione ad occhi bendati al ‘3+2’ è stata un errore, sarebbe un errore altrettanto grave cancellarlo con un colpo di spugna. I tempi che viviamo inducono alla prudenza, non disgiunta da una buona dose di flessibilità. La proliferazione dei Corsi di Laurea non ha certamente fatto chiarezza negli studenti e non ha arricchito l’istituzione universitaria: perché non ripensare ad un triennio generalista, magari diviso soltanto nei tre settori fondamentali, civile-edile, informazione ed industriale?
In definitiva, se l’adesione ad occhi bendati al ‘3+2’ è stata un errore, sarebbe un errore altrettanto grave cancellarlo con un colpo di spugna. I tempi che viviamo inducono alla prudenza, non disgiunta da una buona dose di flessibilità. La proliferazione dei Corsi di Laurea non ha certamente fatto chiarezza negli studenti e non ha arricchito l’istituzione universitaria: perché non ripensare ad un triennio generalista, magari diviso soltanto nei tre settori fondamentali, civile-edile, informazione ed industriale?