Simona e Daniela, due archeologhe atipiche spiegano il lavoro in équipe

In aula s’impara tanto, ma fuori anche di più. Lo sanno bene due studentesse attualmente iscritte presso la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici, nonché volontarie del servizio civile a Roscigno, Simona Passaro e Daniela Capece, veterane da circa 10 anni delle campagne di scavo promosse dal Dipartimento di Studi Umanistici. Dal loro punto di vista, quello del cosiddetto capo saggio, ‘lo scavo è uno stile di vita’: non solo un’occasione per approfondire sul campo ciò che si è appreso dai libri, e rinforzare con la prassi la teoria manualistica, ma per esperire in prima persona completamente la vita dell’archeologo da cantiere. Dal Comune di Roscigno, il cuore del Parco nazionale del Cilento, sono appena riprese le attività, che dureranno fino agli inizi di giugno. E, ovviamente, nuove leve sono state accolte nel gruppo. “Il nostro compito è dare loro gli strumenti per essere in grado di condurre autonomamente ciascuna fase dello scavo: rilievo archeologico e grafico, documentazione fotografica, registrazione delle quote altimetriche, schedatura dei reperti e catalogazione”, afferma Simona. Un buon archeologo deve, anzitutto, rendere chiaro in cosa consiste uno scavo. “Non è scontato, ma è un’azione distruttiva: noi togliamo terra, perché è da essa che rileviamo informazioni necessarie a ricostruire i percorsi storici, dalla preistoria al medioevo. Ciò significa che non si può sbagliare: rimuovendo terreno, non si può più recuperare una certa informazione. Quindi, la cautela è necessaria, per il resto ci vuole pratica”. Al di là della conoscenza del territorio, occorre prevedere e organizzare un programma delle attività: “in un primo momento, spieghiamo la storia di quei luoghi, dei popoli che vi hanno abitato o delle dominazioni che si sono succedute nel corso del tempo per iniziare a immaginare cosa potremmo trovare scavando”.  
Ricerca sul campo
e convivenza forzata
Solide basi teoriche, abilità manuale e predisposizione allo sforzo fisico sono step imprescindibili: “seguiamo corsi sulla sicurezza personale e siamo forniti di tutta l’attrezzatura adeguata. Se uno non è disposto a stare sullo scavo sotto il sole cocente e tra gli insetti, o a rimanere in piedi per quasi dieci ore quando ci sono 40°, direi di ponderare bene la propria scelta”. Ma la maggior parte delle perplessità dei giovani studenti riguarda le prospettive professionali. “Ci chiedono spesso: ma si lavora? È difficile, ma non impossibile. Va ulteriormente specificato che l’archeologia è una branca molto vasta a cui afferiscono molteplici specializzazioni. Ma è un lavoro assai gratificante, un po’ romantico, ricco di emozioni”. Rispetto al passato, inoltre, le possibilità di ricerca sul campo si espandono a dismisura, anche perché da un po’ di tempo aprire uno scavo è più semplice dal punto di vista burocratico.  La ricerca sul campo è, inoltre, un aspetto inscindibile dalla vita in comune h24. “Siamo una vera famiglia – riprende Simona – e a ognuno è affidata una mansione, ci sono turni per qualsiasi cosa, dalle pulizie alla spesa. Convivere vuol dire stabilire delle regole e rispettarle”. 
Il Laboratorio sui
materiali: la ceramica
Costituisce senza dubbio un ambito importante della ricerca lo studio della ceramica, il fossile guida per eccellenza, di cui parla Daniela, una ceramologa, altro punto di riferimento del gruppo, impegnata nel primo giorno in visite di accoglienza per presentare ai nuovi studenti il borgo di Roscigno Vecchia. Anche Daniela è un capo saggio. “Saggio è sinonimo di scavo archeologico, si chiamano saggi le porzioni di terreno che si vanno a indagare”. Non tutti sanno che “la figura dell’archeologo consta di due aspetti complementari: lo studioso, cioè il topo da biblioteca, e quello attivo, che fa indagini sul campo e lavora in gruppo perché sullo scavo servono competenze interdisciplinari”. Man mano che la tecnologia avanza, l’analisi scientifica insegue il progresso avvicinando l’archeologia alle altre discipline: “la chimica dei materiali, la geofisica, la botanica, l’architettura”. Molti sono proprio i falsi miti da sfatare su questo lavoro: “l’archeologia è sempre circondata da una nube misteriosa, un po’ oscura. Ma noi siamo scienziati a tutti gli effetti. Diversamente da chi è in laboratorio a fare esperimenti, noi lavoriamo nel cantiere dove attraverso le azioni di scavo ci occupiamo di ricostruire la storia legata alle evidenze archeologiche di un sito, che sia in particolare un insediamento, un abitato o gli utensili in esso rinvenuti”. Proprio ai materiali sono dedicate le ore bonus del Laboratorio, con un’impronta classica: “lo studio della ceramica aiuta a datare le azioni nel tempo. Io, nello specifico, mi occupo di ceramica comune, cioè tutto ciò che rientra nel set di mensa e dispensa con oggetti finalizzati al consumo e la cottura dei cibi”. Rigore scientifico, metodologia di studio, ma anche tanta divulgazione. “A Roscigno il nostro obiettivo è contribuire alla ripresa delle attività culturali del luogo”. La soddisfazione più grande per Daniela: “insegnare, accendere un faro di attenzione negli altri e una speranza per il futuro delle nostre ricchezze storiche, archeologiche, artistiche”.
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