Tiziana Terranova, un “cervello” rientrato

Una giovane docente con una storia accademica particolare. La prof.ssa Tiziana Terranova, oggi associato di Sociologia delle comunicazioni e Teorie culturali e nuovi media, dopo una permanenza di quindici anni in Inghilterra, beneficiando della legge sul rientro dei cervelli, è ritornata in Italia nel 2004. 
La sua è stata un’odissea, come quella di tanti altri giovani ricercatori. 
Racconta: “dopo la laurea in Lingue e Letterature Straniere all’Orientale – la mia relatrice, la prof.ssa Iacurti, ha sempre avuto forti legami con l’estero e ci ha sempre spinto a fare esperienze fuori, tant’è che avevo già svolto un’esperienza Erasmus in Inghilterra – ho frequentato un Master di un anno a Londra. Poi con L’Orientale sono riuscita ad avere una borsa per il perfezionamento all’estero di 24 milioni annui, che mi è stata rinnovata anche per un secondo anno. A quel punto, ero inserita nel sistema universitario inglese come assistente. Sono stata 15 anni in Inghilterra, dal 1989 al 2004”.
Nonostante la grande passione per l’Università di East London e per la New York University dove ha insegnato per un anno, il desiderio di Tiziana Terranova è sempre stato quello di tornare a Napoli. “Ho voluto andare fuori ed è stata un’esperienza bellissima, che farebbe bene a tutti e che tutti dovrebbero vivere.  Ma poi arriva il momento di tornare. La legge sul rientro dei cervelli mi ha offerto una buona opportunità. Nel 2004 sono tornata all’Orientale con un contratto di ricerca di due anni, rinnovato per altri due anni nel 2006. Nel frattempo avevo presentato domanda di stabilizzazione  ma questa, dopo un anno e mezzo di procedimento, è stata bocciata dal CUN (Consiglio Universitario Nazionale, n.d.r.) che ha seguito la politica di respingere tutte le richieste dei docenti non di chiara fama”. Ne è nata una mobilitazione: “abbiamo creato una rete e fatto pressione affinché fosse fatta chiarezza sui criteri di stabilizzazione. Il Ministero ha poi stabilito che il rientro era subordinato alla chiamata da parte dell’Università italiana. Bisognava, però, dimostrare di aver ricoperto il ruolo di associato o ordinario all’estero per assumerne uno equipollente in Italia. Il problema per me è sorto in quanto in Inghilterra i ruoli di docenza non corrispondono a quelli italiani, quindi si è aperta un’altra querelle. Solo nel luglio 2007 mi è arrivata la notizia della stabilizzazione e nel marzo 2011 dovrò essere confermata in ruolo”.
Attualmente la docente insegna Sociologia delle comunicazioni e Teorie culturali e nuovi media, ma “ho come un piede in due scarpe”, spiega, perché sta lavorando ancora a dei progetti con l’Università di Londra, “con la quale spero di poter tenere sempre aperto un canale”.
Nei paesi anglofoni
le università
“sono fabbriche”
Anche se per la prof.ssa Terranova sembra tutto concludersi con un happy ending, il percorso “è stato davvero terribile. Ho vissuto dei momenti di forte incertezza quando ho dovuto lasciare il mio incarico in Inghilterra senza sapere in Italia come sarebbe andata a finire. Però c’è da dire che sono stata fortunata. Il rischio che si corre quando si va fuori è quello di essere dimenticati dal proprio Ateneo che non avanza la chiamata per il rientro. E’ come perdere il posto nella fila, sei un problema in meno. Molti miei colleghi sono stati ‘dimenticati’, anche perché quando rientra una risorsa che va a coprire degli spazi in un determinato settore disciplinare è un posto in meno per chi è rimasto in attesa in Italia”.
Ma se in Italia le cose funzionano così male e se viene dato così poco spazio ai giovani studiosi, perché tanta voglia di tornare? “Voler tornare è normale – spiega la docente – e non solo per la nostalgia, ma anche perché il nostro sistema universitario conserva ancora qualcosa che lo distingue da quelli anglofoni. L’Università inglese e quella americana sono in profonda crisi. Magari i fondi ci sono, gli stipendi sono più alti, e si dà anche più spazio ai giovani, ma le università sono fabbriche. Il lavoro del docente è sempre più meccanizzato, oppresso da una burocrazia pantagruelica, da un sistema di valutazione spersonalizzante e da una competitività estrema che ricorda un’azienda. Io mi sono sempre sentita in profondo disaccordo con questo modo di gestire il lavoro. Bisogna trasmettere ai ragazzi qualcosa in più delle semplici nozioni”.
E un encomio speciale va proprio agli studenti italiani che, nonostante le mille difficoltà, sono molto più preparati, ma soprattutto “hanno più senso critico, sono meno presuntuosi, arroganti e distaccati. Quando ero in Inghilterra mi mancava tanto il clima che si vive nelle nostre Università, il rapporto con gli studenti, in particolare quelli napoletani che ti sanno dare davvero tanto calore e sono intellettualmente vivaci”.
Valentina Orellana
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