Il triathlon è uno sport estremamente faticoso. La specialità più dura di questa disciplina si chiama Ironmen. Si tratta di un normale percorso articolato in tre frazioni – nuoto, bicicletta e corsa- ma le distanze sono superiori rispetto a quelle ordinarie. 3,3 km di nuoto, 180 km in bicicletta e la maratona. Tutti gli anni, a Francoforte, si disputa una gara europea. L’edizione di quest’anno si svolgerà il 23 luglio. “La partenza ha una grande suggestione, perché c’è tantissima gente, raccolta in un bacino fluviale, pronta a partire” racconta Angelo Fierro, ricercatore di Ecologia presso il Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale della Federico II, che quest’anno parteciperà, per la prima volta, grazie anche al contributo dell’università e di un’azienda elettronica di Pozzuoli, la CGE (Generali Costruzioni Elettroniche). “Stiamo lavorando alla messa a punto di un sistema di automazione per compiere delle misure sui flussi di gas serra dal suolo. Ho chiesto loro un sostegno per questa mia impresa ed hanno accettato” dice ancora il ricercatore che parteciperà alla gara insieme al tecnico Giacomo Vinci. Accanto al logo dell’azienda, sulla divisa, ci sarà anche quello dell’Ateneo Federico II. L’iniziativa, infatti, ha anche un valore scientifico. Fa parte di un progetto di ricerca condotto dalla dott.ssa Virginia Ruggiero che lavora alla Torre Biologica del Policlinico. La ricercatrice si occupa di studiare il rapporto tra nutrimento, nutrizione e attività sportiva. “Da un paio d’anni seguo una serie di principi alimentari definiti principi della zona” prosegue Fierro. Questa dieta prevede di assumere, quotidianamente, una quantità di nutrienti stabilita in base a precisi rapporti: un 40% di carboidrati provenienti da frutta e verdure, un 30% di proteine provenienti da pesce e carni bianche e il restante 30 % da grassi vegetali come l’olio d’oliva. “Virginia segue quello che facciamo. Non ci dà delle regole. Noi seguiamo le nostre abitudini alimentari e facciamo i nostri allenamenti, lei trae le conclusioni”.
Per preparare una gara così dura, bisogna allenarsi molto, circa 18-20 ore a settimana e, conciliare mesi di allenamento con tutto il resto, non è semplice. “Ho iniziato a gennaio. A fine preparazione, dovrei contare 250 km di nuoto, 7000 km in bicicletta e 700 km di corsa, l’80% circa di quello che avrei dovuto fare. Ho scoperto di avere una artrosi ai femori che mi da un po’ di fastidio e sto correndo poco”. Per non togliere tempo al lavoro si è costretti a ridurre le ore di sonno. “Negli ultimi mesi ho dormito 4-5 ore a notte. Adesso che la didattica è terminata, mi sento un po’ più rilassato e cercherò di recuperare”. Alla competizione non sono ammesse più di 2500 persone, le iscrizioni si chiudono un anno prima. Il costo è di 330 euro. L’organizzazione è capillare e i concorrenti vengono assistiti in tutto. “Accorrono decine di migliaia di persone e, durante tutta la competizione, non fanno altro che incitare”. Si parte alle 5 del mattino. I più veloci terminano dopo poco più di 8 ore. Il tempo massimo consentito è 16 ore. “C’è una tradizione molto bella. Chi ha finito prima, va al traguardo ad accogliere gli atleti rimasti indietro. L’ultimo viene accolto come il primo, con i fuochi d’artificio”. Chi impiegherà intorno alle 10 ore per terminare, potrà partecipare all’Ironmen più importante di tutti che si svolge alle Hawaii, dove questo sport è nato. “Non ambisco a tanto. Spero di impiegare intorno alle 11 ore o poco più” conclude il ricercatore spiegando le motivazioni che lo spingono a partecipare a questa competizione così estrema sponsorizzato dall’università. “Universitas, significa totalità delle cose e delle esperienze. Anche lo sport è cultura. Non siamo professionisti, ci anima la voglia di essere educati ad una certa mentalità”. Per ulteriori informazioni si può consultare il sito www.ironmen.de.
Simona Pasquale
Per preparare una gara così dura, bisogna allenarsi molto, circa 18-20 ore a settimana e, conciliare mesi di allenamento con tutto il resto, non è semplice. “Ho iniziato a gennaio. A fine preparazione, dovrei contare 250 km di nuoto, 7000 km in bicicletta e 700 km di corsa, l’80% circa di quello che avrei dovuto fare. Ho scoperto di avere una artrosi ai femori che mi da un po’ di fastidio e sto correndo poco”. Per non togliere tempo al lavoro si è costretti a ridurre le ore di sonno. “Negli ultimi mesi ho dormito 4-5 ore a notte. Adesso che la didattica è terminata, mi sento un po’ più rilassato e cercherò di recuperare”. Alla competizione non sono ammesse più di 2500 persone, le iscrizioni si chiudono un anno prima. Il costo è di 330 euro. L’organizzazione è capillare e i concorrenti vengono assistiti in tutto. “Accorrono decine di migliaia di persone e, durante tutta la competizione, non fanno altro che incitare”. Si parte alle 5 del mattino. I più veloci terminano dopo poco più di 8 ore. Il tempo massimo consentito è 16 ore. “C’è una tradizione molto bella. Chi ha finito prima, va al traguardo ad accogliere gli atleti rimasti indietro. L’ultimo viene accolto come il primo, con i fuochi d’artificio”. Chi impiegherà intorno alle 10 ore per terminare, potrà partecipare all’Ironmen più importante di tutti che si svolge alle Hawaii, dove questo sport è nato. “Non ambisco a tanto. Spero di impiegare intorno alle 11 ore o poco più” conclude il ricercatore spiegando le motivazioni che lo spingono a partecipare a questa competizione così estrema sponsorizzato dall’università. “Universitas, significa totalità delle cose e delle esperienze. Anche lo sport è cultura. Non siamo professionisti, ci anima la voglia di essere educati ad una certa mentalità”. Per ulteriori informazioni si può consultare il sito www.ironmen.de.
Simona Pasquale