A distanza di quasi un anno dal diffondersi rapido dell’epidemia, l’inizio del 2021 è stato segnato da un evento senza precedenti che ha scosso la comunità internazionale. Interpretare la storia degli Stati Uniti d’America e problematizzarla in un’ottica critica è certamente uno degli obiettivi alla base del percorso di molti studenti che, interessati ad approfondire l’approccio multiculturale alle questioni sociopolitiche, decidono di formarsi in un Ateneo a vocazione cosmopolita quale L’Orientale. Con l’intervista al prof. Matteo Pretelli, storico dell’America del Nord, si è cercato di comprendere alcuni dei nodi caratterizzanti i più recenti fenomeni storici sullo sfondo di una vicenda che, archiviata la presidenza di Donald J. Trump, continuerà a incidere per un lungo periodo sul futuro di questa nazione e delle sue interazioni nel contesto globale. Ecco alcune delle riflessioni sulle quali il docente ritornerà nel secondo semestre nel corso delle lezioni di ‘Storia dell’America del Nord’ (Triennale) e ‘Gli Stati Uniti e il mondo nel XX e XXI secolo’ (Magistrale), programmate a partire da marzo.
Volendo provare a decodificare l’eccezionalità di questo momento storico, quali sono i tratti peculiari delle violenze accadute qualche giorno fa a Capitol Hill?
“Ci troviamo in uno scenario inedito. Attacchi di questo genere non si erano mai verificati prima d’ora. Nel 1814 l’edificio fu messo a ferro e fuoco dalle truppe britanniche nella guerra angloamericana, ma il paragone potrebbe risultare debole, perché in questo caso a fare irruzione nell’edificio simbolo della democrazia sono stati, difatti, cittadini statunitensi incalzati dal presidente in carica. Non sarebbe neanche corretto parlare di colpo di Stato perché la parola ‘golpe’ si adopera in genere quando sono i militari a rovesciare il potere. Tuttavia, sebbene non credo sia questo l’inizio di una nuova guerra civile, la situazione resta tesa. È lo specchio della polarizzazione che a partire dagli anni Settanta, all’indomani delle lotte degli afroamericani per la parificazione dei diritti civili, ha spaccato per decenni la società statunitense in due compagini, contrapposte su una fitta lista di questioni culturali: l’immigrazione, l’aborto, la sicurezza, il possesso di armi, il razzismo. Tensioni che si sono accentuate con la crisi economica del 2007 e l’elezione di Barack Obama, primo presidente afroamericano a guidare il Paese”.
Volendo provare a decodificare l’eccezionalità di questo momento storico, quali sono i tratti peculiari delle violenze accadute qualche giorno fa a Capitol Hill?
“Ci troviamo in uno scenario inedito. Attacchi di questo genere non si erano mai verificati prima d’ora. Nel 1814 l’edificio fu messo a ferro e fuoco dalle truppe britanniche nella guerra angloamericana, ma il paragone potrebbe risultare debole, perché in questo caso a fare irruzione nell’edificio simbolo della democrazia sono stati, difatti, cittadini statunitensi incalzati dal presidente in carica. Non sarebbe neanche corretto parlare di colpo di Stato perché la parola ‘golpe’ si adopera in genere quando sono i militari a rovesciare il potere. Tuttavia, sebbene non credo sia questo l’inizio di una nuova guerra civile, la situazione resta tesa. È lo specchio della polarizzazione che a partire dagli anni Settanta, all’indomani delle lotte degli afroamericani per la parificazione dei diritti civili, ha spaccato per decenni la società statunitense in due compagini, contrapposte su una fitta lista di questioni culturali: l’immigrazione, l’aborto, la sicurezza, il possesso di armi, il razzismo. Tensioni che si sono accentuate con la crisi economica del 2007 e l’elezione di Barack Obama, primo presidente afroamericano a guidare il Paese”.
Consiglio agli studenti “Leggere la stampa americana”
I media nel mondo hanno più volte messo in evidenza una comparazione tra gli eventi del Campidoglio e le proteste condotte dal movimento ‘Black Lives Matter’, contrassegnate però dall’intervento di una forza militare più massiccia. Vi sono margini per una reale analogia?
“Molti hanno effettivamente sottolineato la differenza fra l’esiguo dispiegamento di forze al Campidoglio con le proteste dei sostenitori di Trump e quello assai più ingente a una manifestazione del movimento Black Lives Matter di alcuni mesi fa al Lincoln Memorial. Ma le rivendicazioni erano molto diverse: da un lato, la giustizia sociale a cui fanno appello le minoranze afroamericane, dall’altro, la denuncia della destra estremista contro le ‘elezioni fraudolente’. Trump si è posto all’attenzione mondiale come il campione dell’identità bianca, facendo presa sulla paura di parte della classe media e della working class che teme la perdita del proprio potere e stile di vita. Colpito dalla recessione economica e temendo la globalizzazione, questo elettorato ha votato Trump anche in opposizione a quelle che vengono percepite come le élite progressiste lontane dal popolo. Sempre, nel corso della sua presidenza, Trump ha delegittimato invece la natura del movimento di protesta afroamericano facendo della violenza verbale, della retorica machista della ‘legge e ordine’, nonché dell’incitamento all’odio i pilastri portanti della propria prassi politica. Pilastri che, però, potrebbero crollare di fronte a una mozione di impeachment che la Camera dei deputati ha giusto adesso approvato”.
Il diritto alla libertà di espressione e di pensiero chiama oggi in causa la responsabilità delle grandi compagnie che detengono il monopolio della comunicazione grazie ai social network. Quali sono le sue considerazioni in merito alla decisione di Twitter, e da lì di Facebook e Instagram, di oscurare i profili di Trump?
“A fronte di un atto insurrezionale, mi pare davvero l’ultimo problema di cui preoccuparsi adesso. In molti si domandano perché questa decisione sia arrivata soltanto oggi. Forse per non rinunciare ai milioni di follower di Trump. In questi quattro anni di presidenza Trump ha sfruttato i social come strumento di contatto diretto con i suoi sostenitori, utilizzando un linguaggio rozzo e violento inaspritosi in seguito alla ratifica dei voti del collegio elettorale all’insegna del motto ‘Stop the steal’ (fermate il furto). È una questione su cui continueremo a interrogarci per capire se la censura dei social, di contro alla libertà di espressione, sia necessaria per intervenire sui problemi di sicurezza nazionale di fronte a chi incoraggia atti di violenza”.
Come consiglierebbe agli studenti di continuare a informarsi su questi temi?
“Privilegiando la lettura della stampa americana per uscire dalla visione provinciale ed edulcorata da cui è purtroppo condizionato il giornalismo nostrano. Accedere a giornali come il New York Times, Washington Post, The Atlantic attraverso le banche dati dell’Università o, ancor meglio, predisporsi all’ascolto dei notiziari della CNN e trarne dei benefici anche per le proprie competenze linguistiche”.
Sullo sfondo della pandemia che, malgrado le previsioni più ottimistiche dei vaccini, continuerà a far parte del nostro presente, quali sfide dovrà cogliere l’agenda dell’amministrazione Biden?
“In primo luogo, limitare i danni del collasso economico intervenendo in aiuto dei cittadini in difficoltà e delle minoranze più colpite. Compito primario sarà quello di riunificare il Paese in una prospettiva di tutela della salute pubblica accelerando la campagna vaccinale. Sarà poi senza dubbio preminente il tema della giustizia sociale. All’indomani della cerimonia di insediamento, il 20 gennaio, bisognerà accogliere le richieste avanzate da cittadini che reclamano la riconoscibilità dei propri diritti e una riforma del sistema dell’immigrazione. Non poche anche quelle che si potrebbero definire ‘patate bollenti’ nell’ambito della politica estera americana. Mi riferisco in particolare alle relazioni con l’Iran, la Cina e la Russia. Biden dovrà poi confrontarsi con quello che per alcuni è ormai un declino dell’impero americano. Staremo a vedere”.
“Molti hanno effettivamente sottolineato la differenza fra l’esiguo dispiegamento di forze al Campidoglio con le proteste dei sostenitori di Trump e quello assai più ingente a una manifestazione del movimento Black Lives Matter di alcuni mesi fa al Lincoln Memorial. Ma le rivendicazioni erano molto diverse: da un lato, la giustizia sociale a cui fanno appello le minoranze afroamericane, dall’altro, la denuncia della destra estremista contro le ‘elezioni fraudolente’. Trump si è posto all’attenzione mondiale come il campione dell’identità bianca, facendo presa sulla paura di parte della classe media e della working class che teme la perdita del proprio potere e stile di vita. Colpito dalla recessione economica e temendo la globalizzazione, questo elettorato ha votato Trump anche in opposizione a quelle che vengono percepite come le élite progressiste lontane dal popolo. Sempre, nel corso della sua presidenza, Trump ha delegittimato invece la natura del movimento di protesta afroamericano facendo della violenza verbale, della retorica machista della ‘legge e ordine’, nonché dell’incitamento all’odio i pilastri portanti della propria prassi politica. Pilastri che, però, potrebbero crollare di fronte a una mozione di impeachment che la Camera dei deputati ha giusto adesso approvato”.
Il diritto alla libertà di espressione e di pensiero chiama oggi in causa la responsabilità delle grandi compagnie che detengono il monopolio della comunicazione grazie ai social network. Quali sono le sue considerazioni in merito alla decisione di Twitter, e da lì di Facebook e Instagram, di oscurare i profili di Trump?
“A fronte di un atto insurrezionale, mi pare davvero l’ultimo problema di cui preoccuparsi adesso. In molti si domandano perché questa decisione sia arrivata soltanto oggi. Forse per non rinunciare ai milioni di follower di Trump. In questi quattro anni di presidenza Trump ha sfruttato i social come strumento di contatto diretto con i suoi sostenitori, utilizzando un linguaggio rozzo e violento inaspritosi in seguito alla ratifica dei voti del collegio elettorale all’insegna del motto ‘Stop the steal’ (fermate il furto). È una questione su cui continueremo a interrogarci per capire se la censura dei social, di contro alla libertà di espressione, sia necessaria per intervenire sui problemi di sicurezza nazionale di fronte a chi incoraggia atti di violenza”.
Come consiglierebbe agli studenti di continuare a informarsi su questi temi?
“Privilegiando la lettura della stampa americana per uscire dalla visione provinciale ed edulcorata da cui è purtroppo condizionato il giornalismo nostrano. Accedere a giornali come il New York Times, Washington Post, The Atlantic attraverso le banche dati dell’Università o, ancor meglio, predisporsi all’ascolto dei notiziari della CNN e trarne dei benefici anche per le proprie competenze linguistiche”.
Sullo sfondo della pandemia che, malgrado le previsioni più ottimistiche dei vaccini, continuerà a far parte del nostro presente, quali sfide dovrà cogliere l’agenda dell’amministrazione Biden?
“In primo luogo, limitare i danni del collasso economico intervenendo in aiuto dei cittadini in difficoltà e delle minoranze più colpite. Compito primario sarà quello di riunificare il Paese in una prospettiva di tutela della salute pubblica accelerando la campagna vaccinale. Sarà poi senza dubbio preminente il tema della giustizia sociale. All’indomani della cerimonia di insediamento, il 20 gennaio, bisognerà accogliere le richieste avanzate da cittadini che reclamano la riconoscibilità dei propri diritti e una riforma del sistema dell’immigrazione. Non poche anche quelle che si potrebbero definire ‘patate bollenti’ nell’ambito della politica estera americana. Mi riferisco in particolare alle relazioni con l’Iran, la Cina e la Russia. Biden dovrà poi confrontarsi con quello che per alcuni è ormai un declino dell’impero americano. Staremo a vedere”.
Sabrina Sabatino
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