Un progetto in sei incontri dedicato alla trasmissione della memoria critica e accademica di una ‘Scuola spezzata’, attraverso cinque figure centrali dell’italianistica del secondo Novecento. “Nel 2020 cadevano i vent’anni dalla morte di Fulco. Nel 2021, i cinquant’anni dalla morte di Battaglia. Ma in quegli anni non si è potuto fare nulla: il Covid ci ha bloccato. Così abbiamo pensato che fosse arrivato il momento di recuperare. E nel farlo ci siamo accorti che a quelle due date se ne poteva affiancare una terza: i trent’anni dalla morte di Mazzacurati. Così è nato il ciclo di seminari Arcipelago Battaglia”.
A raccontarlo è il prof. Francesco Paolo De Cristofaro, docente di Letterature Comparate, il quale, insieme al prof. Giovanni Maffei (Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea), ha dato forma e direzione ad un progetto che è, prima di tutto, una ricognizione della memoria di cinque figure che hanno lasciato un segno profondo nella storia culturale e scientifica dell’Ateneo federiciano: Salvatore Battaglia, Giancarlo Mazzacurati, Vittorio Russo, Giorgio Fulco e Franco Carmelo Greco. Ma non si tratta di un’operazione nostalgica: “L’intento non è meramente celebrativo. Volevamo che ci fossero delle relazioni scientifiche sugli autori, degli interventi vivi”, spiega il docente.
Battaglia, il centro di gravità
Battaglia si configura come il centro di gravità: “è il primo Maestro: filologo, grammatico, critico letterario di rilievo internazionale (curatore, tra le altre cose, del Grande Dizionario della Lingua Italiana). Tutto parte da lui, ed è per questo che l’intero ciclo porta il suo nome. Negli anni ’80 e ’90, in qualche modo, erano tutti suoi allievi. E poi c’è un aspetto su cui abbiamo molto riflettuto: tutti e quattro i suoi eredi sono morti in un arco di cinque anni, tra il ’95 e il 2000. Erano ancora giovani. Si tratta, in fondo, di una scuola spezzata”.
Da qui nasce l’idea dell’arcipelago: non un racconto lineare, ma una costellazione. Un paesaggio della memoria fatto di persone in carne ed ossa, ma anche di metodi, stili, visioni. Una mappa critica, dove ogni incontro porta il nome di un nodo concettuale. “Volevamo che emergessero le connessioni, le linee di forza. Ogni giornata ha un titolo, perché ogni Maestro rappresenta una tensione: filologia e letteratura, forma e ideologia, scena e storia, critica e passione, meraviglia e metodo. Insomma, si tratta di provare a trasmettere, soprattutto ai più giovani – che sono il pubblico privilegiato di questi incontri – il valore e la funzione di questi magisteri, nell’italianistica federiciana e non solo”.
Il primo appuntamento, Filologia e Letteratura, si è tenuto il 15 aprile presso la Sala Convegni della Biblioteca di Area Umanistica ‘BRAU’, sede prescelta per tutti i seminari (la prenotazione è obbligatoria tramite la piattaforma Affluences). Si è partiti, naturalmente, da Salvatore Battaglia. A tracciarne il profilo è stato Massimiliano Corrado, con un ricordo personale di Tonia Fiorino e una tavola rotonda, ‘Attorno Battaglia’, animata da Raffaele Giglio, Adriana Mauriello e Pasquale Sabbatino. “Per comprendere la sua importanza bisogna ricordare che un tempo il Dipartimento di Filologia Moderna portava il suo nome.
Poi, con la riforma, oggi si è passati ad un unico Dipartimento di Studi Umanistici, articolato in sezioni. Il nome di Battaglia è scomparso, ma restano un’aula e una biblioteca a lui dedicate. E resta, soprattutto, un’impronta. Il binomio Filologia e Letteratura non è casuale: è il titolo della rivista che fondò, ma anche la sua idea di studio”. Il secondo incontro, Forma e Ideologia, tenutosi il 28 aprile, ha visto Antonio Saccone delineare la proposta critica di Giancarlo Mazzacurati. Un titolo tratto da un suo volume emblematico, che racchiude la sua visione: “Mazzacurati pubblicò ‘Forma e Ideologia’, dove insisteva sul fatto che ogni forma è già un’ideologia.
Era una lettura marxista – ‘comunista con la k’, diceva lui stesso con ironia – ma era anche uno studioso che metteva in guardia contro gli eccessi. Diceva: attenzione, non bisogna far soccombere la visione delle cose sotto troppa ideologia, perché conta anche la forma in cui l’ideologia precipita”. L’8 maggio si è tenuto il terzo seminario, Scena e Storia, dedicato a Franco Carmelo Greco, con intervento di Matteo Palumbo. Figura centrale nella trasformazione degli studi teatrali, spesso poco ricordata: “Greco è colui che ha trasformato la cattedra storica di Letteratura teatrale italiana in Storia del Teatro. Per lui il teatro non era solo testo, ma spettacolo. Non solo parola scritta, ma scena, corpo, spazio. È stato un passaggio fondamentale: la scena come totalità, come dispositivo culturale”.
Russo: un dantista di “disperata vitalità”
A questa prima triade seguiranno altri tre appuntamenti, costruiti con la stessa cura. “Abbiamo affidato gli interventi a studiosi che avessero un legame – diretto o indiretto – con questi Maestri. Ma abbiamo voluto evitare un’eccessiva ‘endogamia’. Per esempio: l’evento su Vittorio Russo, il 25 maggio, sarà curato da Giancarlo Alfano, non da Andrea Mazzucchi, che pure è stato suo allievo”. ‘Critica e Passione’ è un titolo perfetto per Russo: “era un dantista, ma parlava anche di Pavese, di Pasolini, con un’intensità politica e affettiva che i ragazzi amavano. Era, potremmo dire, di una ‘disperata vitalità’, per usare una citazione pasoliniana”. Il quinto seminario, ‘Meraviglia e Metodo’, si terrà il 22 maggio: Andrea Mazzucchi racconterà la figura di Giorgio Fulco.
“Fulco era un filologo iper-metodico, iper-preciso – anche troppo, secondo alcuni – ma anche un fine studioso del Barocco, e il Barocco è la poetica della meraviglia. Era molto sensibile al bello, anche alle arti figurative. Nei suoi studi c’era spesso un rapporto inter-artistico, simile a quello di padre Giovanni Pozzi”. Il ciclo si chiuderà il 27 maggio con ‘Formazione e Destino’, una tavola rotonda introdotta da Nicola De Blasi, che vedrà protagonisti quattro giovani studiosi: Elena Bilancia, Cristiana Di Bonito, Giuseppe Andrea Liberti, Carlotta Mazzoncini. “Parleranno di quello che abbiamo chiamato ‘effetto Battaglia’: ciò che Battaglia ha trasmesso, insieme alla sua scuola, anche a persone nate molto dopo la sua morte”.
Cosa resta, dunque? Che tipo di insegnamento riesce a propagarsi, anche oltre la presenza fisica di un Maestro, e come si trasmette qualcosa a chi non li ha mai conosciuti, quei Maestri? “È un modo per dire – sottolinea De Cristofaro – che le radici non sono un lusso del passato, ma un’urgenza del presente”.
Per spiegare questo concetto, riprende Primo Levi che nella Prefazione a ‘La ricerca delle radici (1981)’, scrive: “A un certo punto del percorso viene naturale fare i conti, tutti. Quanto si è ricevuto e quanto dato; quanto è entrato, quanto è uscito e quanto resta. Un bisogno, e soddisfarlo può essere piacevole, ma provarlo è un segnale. Vuol dire che potranno avvenire ancora alcune cose, cadere rami e spuntarne di nuovi, ma le radici si sono consolidate”.
“L’immagine dell’albero è potentissima – continua il docente – Se io non faccio questa auto-ricognizione delle mie radici, non potrò seminare a mia volta. Non potrò propagare sapere, far crescere altri rami”. E per contrasto, si concede un’altra incursione, questa volta proustiana: “Proust scriveva che ciascuno trae da sé la linfa per andare avanti, lo fa nella Recherche, ne ‘L’ombra delle fanciulle in fiore’. Ma io – noi – non siamo d’accordo. La linfa viene da fuori. Viene dalle radici, che appartengono ad altri.
E viene dall’aria, che sono gli studenti, i giovani. Un albero cresce solo se ha entrambe: il nutrimento profondo della memoria e l’apporto vivo del presente”. Non si può crescere, sembra suggerire l’intero progetto, senza prima riconoscere ciò da cui si viene. E se un’università può essere davvero ancora un luogo di crescita, lo è solo se non dimentica i suoi Maestri. Se continua a farli parlare.
Giovanna Forino
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Ateneapoli – n. 8 – 2025 – Pagina 21-22