“C’è qualcuno?”. “Esiste davvero?”. Ebbene sì, dall’altra parte dello schermo c’è qualcuno, la psicologa del Counseling telematico esiste davvero. La dott.ssa Monica Fronzoni, che per il Centro Orientamento e Tutorato della Parthenope offre supporto psicologico agli studenti in difficoltà attraverso internet, dice che alcune mail sono così, contengono un’unica, scettica domanda. “E quando capiscono che il servizio funziona sul serio, i ragazzi si mostrano sempre un po’ meravigliati”, afferma. Dallo scorso aprile, mese in cui è partita l’iniziativa, sono arrivate circa una cinquantina di mail, scritte da studenti con problemi di varia natura, tutti però culminanti nella difficoltà ad affrontare studio ed esami. C’è chi pur avendo studiato tanto non riesce ad affrontare la prova d’esame perché bloccato dall’ansia o addirittura dal panico, chi non riesce a concentrarsi durante lo studio e quindi a preparare gli esami nel modo giusto, chi è fuori corso da tempo e ha paura di non riuscire a portare a termine l’università. “In un quarto dei casi siamo riusciti a risolvere il problema – dice la psicologa – molto spesso dietro un insuccesso all’università si nascondono altri malesseri che nel momento topico dell’esame trovano il loro sfogo. I ragazzi non lo sanno neppure, e io cerco di aiutarli a scovare il problema, che in genere affonda le sue radici in un territorio lontano, non di rado in situazioni familiari particolarmente delicate. La psiche erige delle barriere di difesa allo stesso modo in cui il corpo si costruisce gli anticorpi per proteggersi. Tutti noi tendiamo ad abbassare le barriere psicologiche nei momenti in cui abbassare la guardia è socialmente accettato. L’esame è uno di quei momenti, è una prova in cui le dèfaillances si percepiscono come giustificate”. Secondo la dottoressa gli studenti da soli non ce la fanno ad entrare in contatto né con la sofferenza né con la sua reale causa. Solitamente non sanno neppure di “soffrire” e l’unico dato a loro conoscenza è il fatto di non andare bene all’università. Il Counseling telematico può essere un supporto molto valido ed usufruirne è semplicissimo, basta scrivere all’indirizzo di posta elettronica aiuto.individuale@uniparthenope.it. Il passo successivo alla comunicazione via e-mail consiste, per chi lo desidera, nel contatto diretto con la psicologa, che ormai segue direttamente circa il 70% di coloro che hanno scritto. “Gli incontri di persona, che si tengono al Centro Orientamento, sono periodici e rigorosamente individuali – spiega – anche se sarebbe bello poter un domani organizzare colloqui di gruppo in cui intervengano come testimonial i ragazzi che ce l’hanno fatta a risolvere i loro conflitti. Incontrarsi di persona significa velocizzare molto la soluzione del caso, ma il primo approccio è sempre telematico. Internet facilita il contatto iniziale perché consente di esporsi senza imbarazzi o timori. Rispondo entro due giorni, dopodiché se lo studente ne ha voglia può venire a trovarmi”. Vedersi è diventato un piacere reciproco: “chi scrive mi fa anche domande personali per sapere chi sono e capire se può fidarsi di me. Così viene fuori che ho 46 anni, che ho una figlia universitaria, che amo correre. Si instaura con i ragazzi un rapporto umano intenso, molto arricchente per me che finora avevo lavorato per le aziende nella selezione del personale”. La sorpresa più grande è stata “trovarsi di fronte a giovani intelligenti e profondi, estremamente maturi”. L’episodio più inaspettato quello che ha avuto come protagonisti alcuni studenti di una scuola media superiore: “avevano saputo del Counseling telematico attraverso le pagine di Ateneapoli e hanno scritto per chiarirsi le idee sulla scelta da intraprendere”.
I consigli pratici
Appena si siede davanti alla commissione d’esame, il nostro studente comincia a balbettare. Dice che ha studiato tanto e che è colpa dell’emozione se non riesce a spiccicare parola. Bugia o verità? “Il blocco da esame è estremamente frequente – risponde la dott.ssa Fronzoni- dipende dall’ansia, che in questi casi noi psicologi definiamo situazionale o legata, cioè collegata ad un determinato evento. Essa si genera in persone che normalmente non ne soffrono, proprio come avviene per lo studente che solitamente sta bene ma al momento dell’esame incomincia ad agitarsi e non riesce ad esprimere quello che sa”. Cosa fare in questo caso? “Consiglierei di verbalizzare le proprie sensazioni per cacciarle fuori da sé. E’ importante non isolarsi ma entrare in comunicazione con gli altri: un amico, un genitore, anche un estraneo”. E se si è già di fronte al professore? “Si deve parlare lo stesso, dire che c’è qualcosa che non va. I professori sono esseri umani come noi e non dobbiamo pensare che non siano in grado di comprendere certe situazioni. Quando ero all’università mi capitò un episodio del genere. Volli partire dalla provincia di Grosseto, dove vivevo, per andare a sostenere un esame a Roma, nonostante la mia bimba, allora piccola, non mi avesse fatto dormire tutta la notte perché non stava bene. All’esame il professore capì che ero in uno stato d’ansia e mi suggerì di interrompere l’interrogazione”.
Si siede alla scrivania, libro aperto e appunti sparsi ovunque, ma concentrazione zero. Stavolta lo studente sente di non farcela a seguire il filo logico di un discorso per più di un quarto d’ora, mezz’ora. Legge ma le parole gli scorrono davanti agli occhi senza che lui riesca a coglierne il significato. Cosa succede? “In questo caso, come pure in quello dello studente colto dall’ansia durante l’esame, si deve comunque indagare su quelle che possono essere le ragioni profonde dello scarso profitto”, dice la psicologa, “e sono ragioni che spesso non hanno nulla a che fare con l’università. Come pronto intervento però direi che è utile fermarsi quando ci si rende conto che si legge e si legge ma non si trova niente. Meglio staccare per un po’ facendo altro, in maniera tale da riprendere con la mente più pronta. Inoltre suggerisco sempre di trovare un po’ di tempo da dedicare al proprio corpo. L’attività fisica è di grande aiuto anche per lo studio poiché impone organizzazione e dà la carica. Correre, ad esempio, fa sì che il nostro organismo produca le betaendorfine, che regolano l’umore e danno una sensazione di benessere. Alla fine di una corsa ci si sente stanchi, sì, ma si ha voglia di spaccare il mondo. Così poi si studia anche meglio”.
Lo studente è abbondantemente fuori corso, sta dietro agli esami a fatica, a volte pensa “chimelohafattofare”, però ha sostenuto più della metà degli esami e non può tornare indietro perché non se la sente di gettare al vento tutta la fatica fatta. Come ritrovare delle motivazioni? “I problemi vocazionali si verificano più spesso di quanto non si creda. In questi casi sono anche più evidenti le microanomalie della didattica poiché è verso il ragazzo che non ha particolare propensione per determinate materie che l’università dovrebbe gettare più ami”. Cosa dire a chi non può tornare sui suoi passi? “Io cerco sempre di convincere a fare tutto il possibile per cambiare e trovare qualcosa di più congeniale alle proprie attitudini. Può bastare anche soltanto modificare il proprio piano di studi, orientarsi verso un indirizzo piuttosto che un altro. Agli studenti in questa situazione dico sempre che il problema non è tanto finire l’università, quanto convivere con quelle materie che non piacciono per quarant’anni e passa. E da esperta di selezione del personale gli dico anche che ai colloqui di lavoro il selezionatore non ci casca, se un settore non ti piace se ne accorge”.
Sara Pepe
Si siede alla scrivania, libro aperto e appunti sparsi ovunque, ma concentrazione zero. Stavolta lo studente sente di non farcela a seguire il filo logico di un discorso per più di un quarto d’ora, mezz’ora. Legge ma le parole gli scorrono davanti agli occhi senza che lui riesca a coglierne il significato. Cosa succede? “In questo caso, come pure in quello dello studente colto dall’ansia durante l’esame, si deve comunque indagare su quelle che possono essere le ragioni profonde dello scarso profitto”, dice la psicologa, “e sono ragioni che spesso non hanno nulla a che fare con l’università. Come pronto intervento però direi che è utile fermarsi quando ci si rende conto che si legge e si legge ma non si trova niente. Meglio staccare per un po’ facendo altro, in maniera tale da riprendere con la mente più pronta. Inoltre suggerisco sempre di trovare un po’ di tempo da dedicare al proprio corpo. L’attività fisica è di grande aiuto anche per lo studio poiché impone organizzazione e dà la carica. Correre, ad esempio, fa sì che il nostro organismo produca le betaendorfine, che regolano l’umore e danno una sensazione di benessere. Alla fine di una corsa ci si sente stanchi, sì, ma si ha voglia di spaccare il mondo. Così poi si studia anche meglio”.
Lo studente è abbondantemente fuori corso, sta dietro agli esami a fatica, a volte pensa “chimelohafattofare”, però ha sostenuto più della metà degli esami e non può tornare indietro perché non se la sente di gettare al vento tutta la fatica fatta. Come ritrovare delle motivazioni? “I problemi vocazionali si verificano più spesso di quanto non si creda. In questi casi sono anche più evidenti le microanomalie della didattica poiché è verso il ragazzo che non ha particolare propensione per determinate materie che l’università dovrebbe gettare più ami”. Cosa dire a chi non può tornare sui suoi passi? “Io cerco sempre di convincere a fare tutto il possibile per cambiare e trovare qualcosa di più congeniale alle proprie attitudini. Può bastare anche soltanto modificare il proprio piano di studi, orientarsi verso un indirizzo piuttosto che un altro. Agli studenti in questa situazione dico sempre che il problema non è tanto finire l’università, quanto convivere con quelle materie che non piacciono per quarant’anni e passa. E da esperta di selezione del personale gli dico anche che ai colloqui di lavoro il selezionatore non ci casca, se un settore non ti piace se ne accorge”.
Sara Pepe