“Ciao caro” accompagnato dalla serenità dello sguardo, dal sorriso accogliente è per Roberto Dinacci più di un semplice intercalare.
È un gesto profondamente “Politico” che unisce grandi tensioni e passioni, civili e morali.
Un gesto di rara bellezza ed umanità che ci restituisce umilmente una profonda lezione di vita: perdere l’identità individuale per ritrovarla arricchita in una più grande, più inclusiva, più comprensiva, quella di comunità, di essere parte e partecipe.
“Ciao caro”: perché mi sei realmente caro, perché sei tu, così come sei. Perché ti riconosco come unico e importante per me. Perché insieme stiamo condividendo un percorso, un pezzo di strada.
E non importa che tu lo percorra da scienziato, da politico, da professionista, da ragazzo di strada, da barricadero.
Stiamo insieme. E dalla stessa parte con la voglia di rimboccarci le maniche e fare.
Senza la voglia di competere, di sgomitare per essere davanti, senza l’urgenza di primeggiare, ma solo quella di collaborare, per realizzare un’idea, possibilmente quella più inclusiva, quella su cui c’è maggior condivisione.
Con la tenacia e la testardaggine di dare con continuità un contributo, originale, piccolo, grande, scontato, ma pur sempre un aiuto e strappare pezzi di futuro e di speranza a questa terra, a queste mani, a queste idee.
Confrontandoci, parlando senza sbraitare, rispettando ruoli, tempi, aspettative, ma concentrati sugli obiettivi. Accomunati.
Per questo ogni momento della mattina, del pomeriggio e della sera si deve essere in comunità, in parrocchia, al ministero, al partito, in facoltà, in piazza…
E nei ritagli di tempo, nei vuoti degli spostamenti o di notte tentare di chiudere i conti con gli ultimi due esami e prendere finalmente la laurea, perché è un impegno prima che verso se stessi, per i propri genitori.
Però a patto che non ci sia un’emergenza, una telefonata, un impegno, un amico, una qualunque piccola inezia che spinga ad anteporre il bisogno dell’altro, la totalità dell’altro, reale o ideale, al proprio progetto di vita.
Un progetto, di cui si avverte responsabilmente il peso e la tristezza per i rinvii, ma che, come sempre accade a chi è animato da forti ideali, inevitabilmente viene, deve avvenire sempre dopo, con l’aggravio di essere setacciato con grande rigore e severità, senza cercare né sconti né facilitazioni.
Perché si può essere indulgenti con gli altri, non con sé stessi.
Questo è Roberto Dinacci il giovane dal grande cuore che molti hanno avuto la fortuna di incontrare e conoscere attraverso alcune delle sue molteplici attività: da rappresentante degli studenti a organizzatore della Consulta dei Saperi, da animatore di comunità a collaboratore del ministro Luigi Nicolais, da ideatore di percorsi di riscatto e crescita territoriale a indomito operatore sociale.
O meglio questa è solo una piccola parte di quel torrente di idee, di entusiasmo, di ottimismo e di speranze che l’incidente automobilistico di domenica 2 marzo ha bloccato, spezzandone il corpo.
Ci mancherà. Ma quanto da lui fatto continuerà a liberare energie, a generare impegno e partecipazione.
Lo si è colto con forza dalle migliaia di giovani, adulti, anziani presenti al funerale.
Lo si comprendeva vedendo mani e spalle accogliere dolore e lacrime pur senza conoscersi.
E questo perché Roberto ha attualizzato l’idea di comunità, di fratellanza, di speranza.
Le ha messe in circolo credendoci e spendendosi ogni giorno in prima persona, in ogni luogo, senza risparmiarsi.
Per questo ha convinto, si è fatto apprezzare e voler bene.
Impossibile da dimenticare. Ciao Robè.
Giuseppe Festinese
È un gesto profondamente “Politico” che unisce grandi tensioni e passioni, civili e morali.
Un gesto di rara bellezza ed umanità che ci restituisce umilmente una profonda lezione di vita: perdere l’identità individuale per ritrovarla arricchita in una più grande, più inclusiva, più comprensiva, quella di comunità, di essere parte e partecipe.
“Ciao caro”: perché mi sei realmente caro, perché sei tu, così come sei. Perché ti riconosco come unico e importante per me. Perché insieme stiamo condividendo un percorso, un pezzo di strada.
E non importa che tu lo percorra da scienziato, da politico, da professionista, da ragazzo di strada, da barricadero.
Stiamo insieme. E dalla stessa parte con la voglia di rimboccarci le maniche e fare.
Senza la voglia di competere, di sgomitare per essere davanti, senza l’urgenza di primeggiare, ma solo quella di collaborare, per realizzare un’idea, possibilmente quella più inclusiva, quella su cui c’è maggior condivisione.
Con la tenacia e la testardaggine di dare con continuità un contributo, originale, piccolo, grande, scontato, ma pur sempre un aiuto e strappare pezzi di futuro e di speranza a questa terra, a queste mani, a queste idee.
Confrontandoci, parlando senza sbraitare, rispettando ruoli, tempi, aspettative, ma concentrati sugli obiettivi. Accomunati.
Per questo ogni momento della mattina, del pomeriggio e della sera si deve essere in comunità, in parrocchia, al ministero, al partito, in facoltà, in piazza…
E nei ritagli di tempo, nei vuoti degli spostamenti o di notte tentare di chiudere i conti con gli ultimi due esami e prendere finalmente la laurea, perché è un impegno prima che verso se stessi, per i propri genitori.
Però a patto che non ci sia un’emergenza, una telefonata, un impegno, un amico, una qualunque piccola inezia che spinga ad anteporre il bisogno dell’altro, la totalità dell’altro, reale o ideale, al proprio progetto di vita.
Un progetto, di cui si avverte responsabilmente il peso e la tristezza per i rinvii, ma che, come sempre accade a chi è animato da forti ideali, inevitabilmente viene, deve avvenire sempre dopo, con l’aggravio di essere setacciato con grande rigore e severità, senza cercare né sconti né facilitazioni.
Perché si può essere indulgenti con gli altri, non con sé stessi.
Questo è Roberto Dinacci il giovane dal grande cuore che molti hanno avuto la fortuna di incontrare e conoscere attraverso alcune delle sue molteplici attività: da rappresentante degli studenti a organizzatore della Consulta dei Saperi, da animatore di comunità a collaboratore del ministro Luigi Nicolais, da ideatore di percorsi di riscatto e crescita territoriale a indomito operatore sociale.
O meglio questa è solo una piccola parte di quel torrente di idee, di entusiasmo, di ottimismo e di speranze che l’incidente automobilistico di domenica 2 marzo ha bloccato, spezzandone il corpo.
Ci mancherà. Ma quanto da lui fatto continuerà a liberare energie, a generare impegno e partecipazione.
Lo si è colto con forza dalle migliaia di giovani, adulti, anziani presenti al funerale.
Lo si comprendeva vedendo mani e spalle accogliere dolore e lacrime pur senza conoscersi.
E questo perché Roberto ha attualizzato l’idea di comunità, di fratellanza, di speranza.
Le ha messe in circolo credendoci e spendendosi ogni giorno in prima persona, in ogni luogo, senza risparmiarsi.
Per questo ha convinto, si è fatto apprezzare e voler bene.
Impossibile da dimenticare. Ciao Robè.
Giuseppe Festinese