Antonio Gilardi, 27 anni, ingegnere elettronico, post-doc a Berkeley

Il cellulare squilla in chiamata Whatsapp. Suona ovattato, quasi lontano. Lontano come il nostro interlocutore che alza la cornetta dall’altro capo del mondo, in America, perché in questo momento è a Berkeley in California. Antonio Gilardi, 27 anni, è un giovane laureato federiciano in Ingegneria Elettronica – Dottore di Ricerca tra il Dipartimento di Ingegneria Elettrica e delle Tecnologie dell’Informazione (DIETI) e il CERN di Ginevra – ora Post Doc al Lawrence Berkeley National Lab.
In California sono le 11.00 del mattino mentre qui da noi il sole è tramontato già da qualche ora. La giornata lavorativa di Antonio è appena cominciata: “Mi trovo in uno dei quindici Centri che, in America, conducono le ricerche più significative per il Governo – spiega – Questo laboratorio, oltretutto, è collegato all’Università di Berkeley, il più prestigioso Ateneo pubblico, in grado di competere con la rosa degli istituti privati”. Al Lawrence Berkeley National Lab, Antonio si sta occupando di combinazione laser, sviluppo software e hardware, con focus finale sull’accelerazione avanzata per applicazioni di Fisica delle particelle. “Il mio lavoro consiste nel convogliare tanti laser piccoli, di poco più potenti dei comuni laser puntatori che conoscono tutti, per ottenerne uno grande, il che sta comportando delle sfide fisiche e ingegneristiche”, chiarisce. L’obiettivo finale “è ottenere un acceleratore di particelle di dimensioni ridotte, ma pari, in termini di produzione di energia, a quelli tradizionali. Oggi, gli acceleratori di particelle hanno un’impressionante molteplicità di impieghi, dallo studio della Fisica di base, alla Fisica dei materiali, al campo medicale”. A sentirlo parlare così, lo si immagina circondato da grossi strumenti e attrezzature varie e tanti computer. Lui sorride: “Il mio è un laboratorio ottico, quindi un ambiente buio e molto pulito, dove sono sì circondato da tanti laser accesi contemporaneamente. La stanza è sotto climatizzazione e quindi è consigliabile indossare un giubbino più che il camice da laboratorio”. È in California dallo scorso luglio, “con un contratto di un anno e una proposta di rinnovo. Non so se e quanto tempo rimarrò ancora. Il futuro di un ricercatore è sempre incerto ed è improbabile arrivare subito ad una stabilità. Oggi posso condurre qui la mia ricerca; domani, probabilmente, dovrò andare altrove”. Il suo sogno è tornare in Italia: “un po’ come per tutti i compaesani all’estero, ma sappiamo quanto difficile sia essere un ricercatore nel nostro Paese. A Berkeley ho trovato una bella comunità di italiani: ci riconosciamo nel mondo e ci contraddistingue il legame con la nostra terra”. La nostalgia per la sua casa è palpabile: “Sono legato alla famiglia e agli amici. Dopo la scuola ho anche partecipato ai test d’accesso per la Normale di Pisa, ma non avrei mai lasciato la mia città”. L’idea di raccontarsi a cuore aperto lo fa sorridere, anche con un leggero imbarazzo: “All’Università mi sono impegnato tantissimo. Anche a scuola ero bravo e infatti Ingegneria mi fu consigliata dagli insegnanti”. Forte nel lavoro in team, appassionato di elettronica e informatica, la sua scelta è stata naturale.
“Ad Ingegneria ho imparato ad affrontare correttamente un problema”
Ma come si diventa così bravi? “Io non mi definisco mai bravo, solo molto fortunato. All’Università ho incontrato docenti che mi hanno educato alla curiosità per le mie discipline – e prosegue – Ad Ingegneria ho imparato ad affrontare correttamente un problema. Il punto non è la risoluzione, bensì il ragionamento con cui ci si arriva”. E, garantisce, “questo approccio non è scontato. È una peculiarità italiana”. Gli anni di Ingegneria “sono volati tra studio ed esami. Seguivo le lezioni, il pomeriggio mi collegavo in videochiamata con gli amici e studiavamo fino a sera. Dopo cena, continuavo con gli esercizi. Ho terminato la Triennale con il massimo dei voti e una sessione di anticipo e, alla Magistrale, ho accelerato lo studio per poter svolgere il tirocinio fuori”. Ed è stata dura: “A chi si iscrivesse ad Ingegneria oggi consiglierei di non comportarsi come me. Lo studio è sacrificio, ma non deve essere totalizzante, altrimenti si rischia di perdere tutte le belle occasioni che la vita offre ad un ragazzo giovane”. La scelta di svolgere il tirocinio al CERN, nell’ambito di un accordo quadro il cui responsabile scientifico federiciano è il prof. Pasquale Arpaia, Antonio l’ha maturata con un certo anticipo: “Dopo la scuola le cose cambiano, si cresce e la propria città la si sente stretta. Amavo, amo, Napoli, ma desideravo quelle opportunità che non avrebbe mai potuto offrirmi”. Il CERN “è stata un’esperienza fantastica. Per la prima volta ho smesso di essere uno studente che fa capo ad un’autorità, il docente, e sono diventato io stesso quell’autorità: avevo un problema, di cui nessuno conosceva la soluzione, da risolvere da solo”. A Ginevra, Antonio è rimasto altri tre anni nell’ambito di un Dottorato, vinto al DIETI – ancora con la supervisione del prof. Arpaia – e finanziato da una borsa del CERN, a lavorare su CLEAR, un acceleratore lineare che svolge ricerca di frontiera in numerosi campi. Di soddisfazioni non ne sono mancate: la vittoria della borsa Massimo D’Apuzzo assegnata dal Gruppo Nazionale di Misure Elettriche ed Elettroniche, la partecipazione a conferenze internazionali, le pubblicazioni su riviste scientifiche di alto profilo. Napoli, la Svizzera, l’America, ad appena 27 anni: il sogno di qualunque studioso. “Vorrei aggiungere, però, che trasferirsi ogni volta è doloroso. Si è costretti a salutare amici e colleghi e a cambiare stile di vita. Nonostante quello che ho conquistato, ritengo di essere una persona che sta ancora imparando. Più che mai ora, trovandomi in un campo di ricerca nuovo, ho bisogno di confronto”. L’Ingegneria si fa insieme: “Io ho costruito sui risultati del lavoro degli studenti che mi hanno preceduto e chi mi seguirà sfrutterà le mie conquiste per procedere ulteriormente e arrivare a nuove scoperte”. Ma com’è il caffè in America? Ride e da buon napoletano risponde: “Pessimo. Ma in laboratorio abbiamo una macchinetta con le cialde italiane!”. Con la Federico II e il prof. Arpaia, i contatti non si sono mai persi. Antonio, infatti, lo affianca nel laboratorio IMPAlab, fungendo da tutor per gli studenti che si avventurano in un percorso simile al suo. “Gli ingegneri napoletani sono bravi!”, afferma con convinzione il prof. Arpaia. Proprio nell’ambito dell’accordo quadro con il CERN, negli ultimi cinque anni, “sono partiti alla volta di Ginevra una trentina di tesisti e una ventina di dottorandi. E al CERN sono ammessi solo i migliori, i top di tutte le nazioni”. Nel mondo del resto “l’Italia rappresenta un’eccellenza per l’Ingegneria così come per la Fisica. Questi Corsi sono la garanzia di un futuro saldo ed economicamente solido”. Ma è chiaro che, alla base, debba esserci una passione “e una predisposizione per queste discipline. Antonio ne è un esempio. È un eccellente studioso, ma anche una persona dalla grande educazione e dalla squisita sensibilità”.
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