Chiara Valerio: dal dottorato in Matematica alla scrittura

“La matematica è stata il mio apprendistato alla rivoluzione, perché mi ha insegnato a diffidare di verità assolute e autorità indiscutibili”. È il primo passo che si legge sulla copertina di “La matematica è politica”, ultima pubblicazione di Chiara Valerio. Famosa scrittrice, responsabile della narrativa italiana per l’editore Marsilio, voce per Rai Radio3, è stata anche Dottore di ricerca in Calcolo delle probabilità alla Federico II. E il 3 dicembre è tornata, virtualmente, al suo Dipartimento di Matematica e Applicazioni “Renato Caccioppoli”, diretto dalla prof.ssa Cristina Trombetti, per intavolare una discussione con studenti e docenti e con gli insegnanti di scuola che sono intervenuti al seminario in Didattica della Matematica “Chiara Valerio – La matematica è politica”.
L’incontro è stato organizzato dai professori Tiziana Pacelli, Maria Mellone, Ulderico Dardano e Luigi Frunzo. Pensato inizialmente per gli studenti del Corso di Matematica, indirizzo didattico, “si è deciso poi di coinvolgere anche gli insegnanti di matematica delle scuole, alcuni dei quali fanno già parte di progetti del nostro Dipartimento – precisa la prof.ssa Pacelli, ricercatrice di Matematiche complementari – Gli insegnanti, inoltre, ci hanno chiesto di inserire anche i loro studenti potendo essere questa un’occasione di riflessione sul ruolo dell’educazione civica, non solo in ambito matematico”. Un pubblico, dunque, molto misto di circa 250 persone “per incontrare Chiara che, nel suo libro, parla di matematica collegandosi alla politica, riflettendo sulla democrazia e sulla situazione attuale”. La matematica educa “al ruolo di cittadino, ci guida all’interpretazione di quella marea di informazioni da cui siamo inondati, e questo anche prima della pandemia, e ci aiuta a capire determinate regole che ci vengono imposte dal governo e dallo Stato”. Il seminario rientra nelle attività di Terza Missione, “il cui obiettivo è creare rapporti con il territorio. Il contatto con le scuole, in questo senso, è centrale. Abbiamo già organizzato altri seminari con studenti e insegnanti. Questo, forse, è uno dei più trasversali poiché Chiara Valerio, oltre che dottore di ricerca in Matematica, i professori Dardano e Mellone ad esempio l’hanno conosciuta in quel periodo, è una scrittrice ed è stata anche insegnante”. Uno degli scopi dell’educazione matematica, “a maggior ragione in questo momento, è sviluppare non solo delle conoscenze, ma soprattutto delle competenze e di educare i giovani alla cittadinanza e all’utilizzo degli strumenti matematici non come semplici strumenti di calcolo, ma per interpretare la realtà in cui viviamo”.
La matematica “è memoriale e immaginativa”, insegna anche “a non sentirsi cretino”
È da insider e allo stesso tempo da outsider che Chiara Valerio si presenta al  pubblico, condividendo il suo sguardo inedito sulla Matematica e sul ruolo che questa ha nella società. “Il Dipartimento mi manca – comincia – Mi manca la comunità di matematici all’interno della quale sono cresciuta. Avevo da tempo l’idea di scrivere qualcosa sulla relazione tra democrazia e matematica e su quello che è la matematica come non mi è stata mai presentata, neanche all’università. Forse perché, per i grandi matematici con cui ho studiato, era evidente”. Non lo era “per me, nemmeno quando l’ho insegnata a scuola, dire che la matematica non è la disciplina degli enti geometrici e dei numeri ma è una disciplina delle relazioni tra enti geometrici e numeri”. Cita Scienze and Hypothesis del matematico Poincaré che “avevo letto, ma non avevo abbastanza capito. Ma, forse, le cose si comprendono quando è necessario. A tanta distanza dai miei studi specifici mi è servito capire quale fosse il cascame che mi avevano lasciato gli anni di matematica. Che sono stati tanti, nonostante io sia stata veloce”. Una classe brillante, la sua, così la ricorda: “Mi sono iscritta nel 1996, ci siamo laureati in 13 in quella sessione. È stata un’annata abbastanza formidabile. Quando sei bravo non sei solo tu, c’è altra gente brava che spinge intorno a te. E, adesso, qualcuno è anche al di là di questo schermo”. Essere capitata in una buona annata per capacità di studi ha significato tanto: “I concetti e le persone con cui ho studiato sono le cose rimaste dopo tanti anni. Io so ancora che ci serve un integrale generale per risolvere un’equazione differenziale. Ecco, sono rimaste le dotazioni brute e non è poco”. A non perdersi è stato anche un concetto profondamente matematico, cioè “che le cose non nascono assolute, ma contestualizzate. Ogni volta, dimenticare il contesto significa fare un gesto da umanisti deleterio. Come ha scritto Camus, l’umanista è quello che non si sa rapportare con le catastrofi e quindi è il primo a perire. Il matematico, lo scienziato, è quello che, le catastrofi, le nomina, cerca di valutarle con approssimazione, capisce che la valutazione può essere rozza, ma è quella che serve, e va avanti”. La matematica “non è tanto una questione di merito quanto di metodo perché ha a che fare con il ragionamento. E può essere applicata ad ambiti in cui sembra che non c’entri nulla. Essendo questa una grammatica precipuamente relazionale, ci dice che noi impariamo un metodo e che il metodo è più interessante del merito”. Se consideriamo il concetto di comunità, “sono cresciuta in un ambito in cui, quando avevi un risultato, che fosse anche già noto dal 1800, comunque dovevi confrontarlo con le persone con cui stavi studiando. Ecco perché ho dato per scontato il concetto di comunità. Noi ci confrontiamo con i vivi che a quel risultato sono già arrivati, ma anche con i morti”. Ecco perché la matematica insegna anche “che non sei solo quello che sei al presente, utilizzi le parole e le strutture dei morti e le dai ai vivi. È memoriale e immaginativa. Mi è rimasto anche questo: che le cose non sono stabili, ma sono processi, e i processi possono essere seguiti, contraddetti, variati e dipende dal contesto”. Poi parla di Stefano Pisani, inventore di Lercio, il sito delle fake news: “era con noi nel 1996 e poi al dottorato. Solamente un matematico poteva inventare le notizie in maniera coerente con un apparato che fosse menzognero, ma appunto coerente. Perché la matematica non si occupa nemmeno di menzogna e verità, ma di coerenza”. Proporre la matematica come una questione di metodo è un lavoro che va fatto, “perché andiamo a studiare per imparare un metodo per stare nella vita e un linguaggio che abbia a che fare con una comunità, che la definisca, la ratifichi, che ti faccia non sentire solo”. Perché le cose siano giuste non è detto che debbano essere simmetriche “e questo un matematico lo sa. Ci può essere un’uguaglianza senza simmetria, te lo insegna l’esame di Algebra al primo anno. L’idea della simmetria non va sempre bene, forse è correlata ad un’idea di equità, ma non legata, non c’è un’implicazione causa-effetto”. La matematica è una questione di metodo, lo ripete ancora, e va studiata per questo e, “vorrei tanto, se ci fosse una riforma sensata della scuola e dell’università, che tutti facessero almeno un esame di Algebra, Geometria e Analisi I prima di studiare qualsiasi altra cosa, perché ti formano e ti inseriscono in una comunità di persone che vogliono capire le cose tramite un linguaggio deduttivo”. Simmetria/uguaglianza e coerenza/verità “sono due questioni che la matematica pone da subito quando hai diciotto anni. E, o ti fai le canne o pensi a prendere tredici caffè al giorno o pensi di andare all’università per corteggiare, ti insegna anche queste cose vitali che in matematica non hanno connotazioni morali”.
Si apre il dibattito e, sulla scia di una domanda sul merito, il prof. Dardano lancia una provocazione citando la frase di Bertrand Russell: “Le matematiche sono quella scienza in cui non si sa di cosa si parla, in cui non si sa se ciò che si dice sia vero. In tale incertezza si capisce che, per raggiungere qualche risultato, bisogna mettere a punto un metodo”. Delle trasformazioni del cervello ci si avvede non con gli occhi, ma con il ragionamento: “La matematica ti lascia un approccio di metodo rispetto all’analisi delle questioni – riprende Chiara Valerio – A me l’ha lasciata anche nel lavoro editoriale. Per me è abbastanza evidente, quando vedo un testo, capire cosa è coerente o cosa non lo è con quello che chi ha scritto vuole raccontare. Questo perché mi è rimasto quel metodo lì e, rispetto al manoscritto, non si può fare una questione di merito”. Ma sei un matematico “se fai Matematica attivamente e io a questo punto sono una persona che l’ha studiata per un terzo della vita e che a questo punto scrive romanzi. Nell’università, come l’ho fatta io, ti sedevi di fronte ad una persona che aveva in mente una moltitudine di dimostrazioni del teorema e, insieme a me, ne trovava ancora un’altra nuova. Quella cosa lì è la matematica che ha a che fare con il merito. Io parlo di un’altra cosa”. Rigore matematico come quid in più, ma spesso considerato come aspetto limitativo. “I matematici tutti godono di cattiva stampa nel senso che non esiste un racconto realistico sul matematico. O siamo dei poveri pazzi, isolati, geni, nerd, lasciati dalle fidanzate al liceo oppure non siamo niente. La comunità di riferimento è una cosa fondamentale per noi, ma nessun matematico lo spiega, proprio perché la trova tautologica. Ragazzi, la matematica è una disciplina che non prescinde mai dalla comunità”. È una disciplina innervata di passioni. E se il matematico è percepito come noioso perché lascia il pc sempre nello stesso posto, “perché questo comportamento non lo vediamo piuttosto come un gesto di sintesi? Per poter impiegare il tempo per fare un’altra cosa, per guardare fuori dalla finestra o, dieci minuti in più, la persona che vive con te perché la ami”. Ma un’altra cosa importante che insegna è anche “a non sentirsi cretino. Molte persone hanno paura quando non capiscono le cose, mentre il matematico è abituato al fatto che certi concetti non li si capisce finché non li si usa. E che ci vuole tempo”. 
 
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