Il medico di Lampedusa e le lacrime di sale sul volto dei migranti

“Un uomo è sempre qualcosa di molto più complesso della sua malattia. Un buon medico lo sa e non lo dimentica mai. L’empatia è la prima cura per chi soffre e sta male”. Parole di Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, l’uomo che dal 1992 ha visitato e curato migliaia e migliaia di migranti approdati sull’isola dopo traversate spesso infernali, il professionista che in Italia ha anche il triste primato del numero di ispezioni cadaveriche effettuate, perché a lui tocca il compito di provare a dare una prima identità a chi approda sulla terraferma da morto. Bartolo è venuto a Napoli il primo dicembre ed ha raccontato la sua vicenda al Policlinico della Federico II, nell’Aula Magna Gaetano Salvatore, nell’ambito del ciclo di eventi #NONSOLOMEDICINA, promosso e organizzato dalla Scuola di Medicina e dall’Azienda Ospedaliera. Un ciclo che prevede appuntamenti periodici con personaggi del mondo dell’arte, della cultura, dello sport e dello spettacolo, invitati a portare la loro esperienza nelle aule universitarie con l’obiettivo di favorire l’integrazione dei saperi. Ateneapoli ha intervistato il dott. Bartolo la mattina del primo dicembre.
Dove si è laureato e quando?
“A Catania nel 1983. Ricordo i miei anni universitari come un periodo tanto duro ed impegnativo quanto bello. Fu faticoso perché studiavo molto e trascorrevo l’intera giornata tra i corsi e l’ospedale. Volevo laurearmi presto perché non è che a casa ci fossero tanti soldi da spendere per mantenermi a studiare lontano. Eravamo sette tra…
 
L'articolo continua sul nuovo numero di Ateneapoli in edicola dall'8 dicembre (n. 20/2017)
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