Secondo anno di attivazione per l’insegnamento di Psicologia dello sport

“Fare sport modifica i nostri circuiti cerebrali

Calciare un pallone, fare una finta per disorientare l’avversario. Correre e decidere di accelerare; osservare il gesto tecnico di un tennista mentre fa un punto. Praticare sport sembra implicare soltanto l’utilizzo dei propri muscoli, ma è davvero così? Cosa fa il cervello nel mentre di una bracciata in piscina? Ancora: come si può gestire la pressione quando si raggiungono traguardi importanti? Dall’anno accademico 2020/21 i Corsi di Laurea Triennale e Magistrale in Psicologia, a Studi Umanistici, hanno implementato nel proprio piano un insegnamento che via via sta riscuotendo sempre più successo tra gli studenti. Si tratta di Psicologia dello Sport – che diventa un corso ‘avanzato’ nel caso del biennio conclusivo ed è inserito nel circuito Aurora con l’erogazione di 2 crediti formativi in inglese – le cui lezioni hanno preso il via al secondo semestre. A raccontarne gli scopi, i metodi e le applicazioni, la prof.ssa Laura Mandolesi, arrivata alla Federico II alla fine del 2018, dopo aver insegnato alla Parthenope Psicologia generale, Psicologia dello Sport e Neuroscienze dell’Attività motoria: “ambiti – dice – a me molto cari, sui quali ho deciso di investire anche perché in Campania manca un po’ di formazione in tal senso”. 

Posto che la Psicologia non ha sotto-discipline, quanto un’estrema duttilità nel potersi adattare a diversi contesti, come quello ricreativo e sportivo, la branca relativa a quest’ultimo, con il suo approccio neuroscientifico, “si occupa non solo di migliorare la prestazione, un’abilità motoria di un atleta o di una persona qualsiasi che fa attività – continua la docente – ma anche della promozione del benessere attraverso l’esercizio fisico. Ci sono evidenze scientifiche, messe nero su bianco, le quali dimostrano che fare sport modifica i nostri circuiti cerebrali. L’attività è un fattore ambientale che provoca cambiamenti strutturali e funzionali sul cervello. Quello che cerco di far capire ai ragazzi è che con l’esercizio fisico noi facciamo esperienza, e, come tale, essa ingloba anche le sfere cognitive ed emozionali. Ogni azione che compiamo è innanzitutto programmata, pensata dal cervello. Solo dopo subentra il corpo”. Attenzione ai luoghi comuni, quindi. Additare gli sportivi come un coacervo di muscoli sprovvisti di una materia grigia allenata è fuori dalla realtà. Un’immagine senza fondamento, certo, che tuttavia viene smentita anche nella cosiddetta teoria dei neuroni a specchio. “Noi attiviamo i circuiti neuronali anche quando osserviamo qualcuno compiere un movimento. I programmi di allenamento ideomotorio – cioè quelli applicati allo sport – prevedono di allenare il gesto anche stando fermi a guardare e a immaginare”. Verrebbe da chiedersi, per quelli meno avvezzi all’attività fisica e stanchi ancora prima di cominciare, se con l’immaginazione si possano anche scolpire gli addominali. Al momento pare di no, ma alla provvidenza scientifica conviene non mettere limiti. 

Ad ogni modo, il corso si sviluppa in vari moduli, ognuno dei quali chiede “alla classe di essere più interattiva possibile, con domande poste agli studenti a fine lezione per stimolare un approccio logico dello studio”. Ad una prima parte introduttiva, durante la quale si mettono sul piatto i concetti generali della Psicologia dello Sport e della professione, ne segue una seconda dedicata alle “basi biologiche del comportamento motorio, così che si possano immaginare anche programmi di allenamento mentale”. Spazio poi alle “funzioni cognitive applicate all’ambito sportivo. Non bisogna dimenticarlo, lo sport è anche percezione. Serve sapere come allenare le funzioni cognitive per renderle adeguate al contesto. Solo così, ad esempio, un calciatore sarà in grado di non abboccare ad una finta dell’avversario”. 

La exercise addiction

Ad un qualsiasi tifoso di calcio, conviene sperare che i difensori della propria squadra del cuore abbiano concentrato tante energie su questo fronte. Anche perché nei contesti agonistici si fa sempre più affidamento sui professionisti della Psicologia dello Sport, che aiutano a curare le relazioni tra allenatore, squadra e singolo atleta; a capire quale possa essere il giusto stile di vita, perché l’esercizio fa bene, sia da un punto di vista psicologico che fisico; l’atleta stesso, grazie a questa figura, può imparare quali sostanze aumentano nel nostro corpo dopo uno sforzo, come controllarle. E ultima, non per importanza, viene l’analisi dei disturbi del comportamento alimentare, con la possibilità di imbastire strategie terapeutiche per risolvere eventuali problemi. Lo psicologo, quindi, in contesti di questo tipo, serve a tutelare la salute dell’atleta a tutto tondo, perché lo sport ha anche i suoi lati oscuri, come la exercise addiction, ovvero la dipendenza dall’esercizio fisico. L’esperto interviene per insegnare l’importanza dell’equilibrio”. Gli studenti che avranno preso parte al corso, quindi, non si ritroveranno ad avere un fisico scultoreo, ma di sicuro “avranno gli strumenti per comprendere appieno il ruolo del professionista che va a lavorare in questi contesti e soprattutto come fare ricerca”. 

Claudio Tranchino

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