Seguire attivamente per acquisire “un patrimonio conoscitivo che si dimentica difficilmente”

Diritto processuale penale con la prof.ssa Barbara Nacar

Per molti studenti di Giurisprudenza è una delle ragioni che li ha spinti ad iscriversi. Per altri, l’ultimo grande Everest da scalare prima della laurea. Il 7 marzo iniziano i corsi del secondo semestre, e tra questi c’è Diritto processuale penale: un vero totem del piano di studio del quarto anno. Ad Ateneapoli, la prof.ssa Barbara Nacar, ricercatrice nel medesimo settore e da un anno titolare della V Cattedra, parla della struttura delle lezioni, di manuali; offre consigli sul metodo e accenna alla riforma del processo penale. E, soprattutto, racconta lo scopo intimo del corso che, certo, “riguarda le regole di svolgimento del processo, ma non è solo questo”, spiega. Un aneddoto lo chiarisce. “Agli studenti faccio sempre un esempio. Aprendo un qualsiasi quotidiano si può trovare un articolo di cronaca giudiziaria. Ecco, ci sono due modi per leggerlo. Passivamente, facendo propria l’interpretazione proposta dal giornalista, oppure farsene un’idea autonoma calandosi pienamente nella vicenda. Come? Seguendo il corso attivamente e non come meri spettatori, cercando di comprendere, tramite il ragionamento, le chiavi di lettura”. Secondo la docente, infatti, il risultato sarebbe l’acquisizione di “un patrimonio conoscitivo che si dimentica difficilmente e soprattutto che consente di fare una valutazione autonoma dell’articolo di turno”. E dunque, se la parola d’ordine sembra essere “ragionamento”, si comprende bene perché studiare a memoria non è affatto una scelta saggia. “Innanzitutto il programma è troppo vasto. In secondo luogo, anche se uno studente mi recitasse per intero un articolo del Codice Penale, gli chiederei comunque di esprimersi sul significato di quanto detto. Solo così si possono comprendere veramente i principi fondativi e il funzionamento del processo”. E per questo, la scelta del manuale di riferimento decide l’approccio all’esame. “Io consiglio quello a cura di Giovanni Conso e Vittorio Grevi. Tuttavia, l’utilizzo di altri manuali non sarebbe per me un problema. La differenza, però, sta nel fatto che alcuni testi portano con sé spiegazioni più semplici, altri accompagnano maggiormente nel ragionamento”. Sulla struttura del corso, la docente non ha dubbi. Tolte le prime lezioni – di natura introduttiva “con riferimenti a modelli processuali e a principi costituzionali rilevanti nel processo penale” – il vero focus sarà tutto “sulla parte dinamica, che io amo molto. Perché è lì che si comprende bene come funzionano le indagini, chi sono i protagonisti, come operano, quali poteri hanno”. Non mancheranno, ovviamente, lezioni dedicate alla riforma del processo penale dello scorso settembre. Una questione già affrontata dalla prof.ssa Nacar e dal prof. Dario Grosso (I Cattedra) in un seminario di ottobre. “Quello che abbiamo detto allora, lo ripeteremo anche al corso. Gran parte della legge del 2021 è una legge delega, non immediatamente precettiva. Solo l’improcedibilità è operativa, anche se fino a un certo punto. Ad ogni modo tratteremo entrambe le cose, soprattutto quando le leggi delega verranno trasformate in norme”. Chiariti gli aspetti didattici del proprio corso, la docente chiude il suo intervento ridestando la centralità della sostanza viva degli Atenei: gli studenti. Ai quali, da un lato, fornisce due suggerimenti di natura tecnica: “In primis, studiare in gruppo per stimolarsi a vicenda. E poi, tornando al mio corso, Diritto processuale penale termina con il passaggio in giudicato della sentenza, dunque i ragazzi non sanno come si darà esecuzione alla stessa. Per quanti nutrissero interesse nei confronti della materia, sarebbe utile proseguire con Diritto dell’esecuzione penale, esame a scelta”. Dall’altro, Nacar invita alla presenza, alla partecipazione, per andare oltre le ansie. “Non abbiate paura di porre domande che possano sembrare stupide, nessuna lo è. Anzi, ognuna può diventare occasione di confronto e ragionamento. Dico questo perché l’anno scorso, in dad, ho notato una certa passività. Stare in aula consente di avere dialogo, che è il vero momento di crescita anche per noi professori che viviamo per gli studenti. Se loro non ci sono, la lezione diventa meno piacevole. Siamo qui per aiutarvi e sostenervi”. 


Claudio Tranchino 

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