I giochi “uno strumento attraverso il quale si raccontano storie di uomini, materiali, evoluzioni tecnologiche”

Un seminario sulla storia del giocattolo tenuto dal prof. Vincenzo Capuano

Che sia riposto in un baule o nella memoria, c’è per ogni adulto un giocattolo preferito al quale si è legata inconsapevolmente l’infanzia. Un burattino o una bambola; i mattoncini Lego o un peluche. Semplici oggetti che accompagnano le prime fasi della vita e che, poi, d’improvviso, sembrano scomparire dagli orizzonti personali in nome della cosiddetta crescita. Cosa rappresenta in una più ampia dimensione antropologica il gioco? Quando è stato creato il primo e perché? All’Università Suor Orsola Benincasa prende il via, nella seconda settimana di marzo, un seminario da 4 crediti sulla Storia del Giocattolo, condotto dal prof. Vincenzo Capuano, docente del Corso di Studi in Scienze della Formazione Primaria. Non un vero e proprio esame; nessun voto finale espresso in trentesimi ma un giudizio. Si tratta di un’attività complementare inserita al secondo anno del percorso che si esprime in forma seminariale; il perché di questa lontananza dall’ortodossia universitaria ha a che fare con l’obiettivo intrinseco, cioè “insegnare a chi insegnerà ad avere un maggior livello di consapevolezza nel rapporto con il gioco, la sua dimensione, a partire dalla storia che lo contraddistingue”, racconta proprio Capuano che è a capo pure del Museo del Giocattolo di Napoli – attualmente chiuso “per la ricerca di spazi pubblici adeguati”, ancora il docente – un’opera realizzata nel lontano 2004 con il contributo della Regione Campania. All’interno il visitatore poteva trovare “la mia collezione generalista, che conta ben 4mila giocattoli per più di 6mila pezzi, organizzati secondo un’ampia catalogazione”. E il Museo, così come il corso-seminario, nasce da una grande passione dell’allora bambino Capuano “per i giocattoli antichi, che ho sempre conservato”. Il collezionismo, però, germoglia in età adulta grazie “ad un negozietto napoletano, che si chiama Zanzibar. Era un vero e proprio cenacolo di collezionisti. Lì mi è sembrato di tornare alle origini e ho capito effettivamente che volevo dedicarmi a quello”. 

Una passione che si è fatta professione

Per ora, quindi, niente visita al Museo, ma il Laboratorio è l’occasione per andare oltre il semplice utilizzo del gioco da parte del bambino, e speculare sul racconto della dimensione storica, filosofica ed etica del giocattolo. “Come ho scritto nel mio libro ‘Giocattologia’, questa è una materia dalle forti accezioni politiche. Negli anni è riuscita a raccontare modelli sociali e comportamentali che poi ogni generazione ha trasmesso a quella successiva. I giochi diventano e sono uno strumento attraverso il quale si raccontano storie di uomini, materiali, evoluzioni tecnologiche”. A riprova dei risvolti educativi insiti nel gioco, durante il seminario si tratterà delle “differenze di genere declinate nella storia del giocattolo. Ad esempio, oggi un tema ricorrente e molto attuale è quello delle identità liquide. Non siamo più nell’Ottocento, quando i modelli erano rigidi. In passato le identità venivano volutamente violate. Basti pensare che l’orsacchiotto nasce per dare ai maschietti la possibilità di giocare con qualcosa che non fosse la bambola. Poi, però, già con Pinocchio cambia qualcosa. Grazie ai primi grandi illustratori, diventando un balocco, è stato molto apprezzato anche dalle bambine. Non era più una bambola perfetta, simbolo di un determinato comportamento e stile”. Dalla separazione tra orso e bambola per definire il retaggio – duro a morire – delle sfere maschili e femminili a un più ibrido Pinocchio, per arrivare all’oggi, contraddistinto dal “gioco elettronico, che abbatte le barriere e recapita con più facilità i messaggi. Tuttavia, società fortemente sessiste esistono ancora, quindi è bene sottolineare che questi nuovi modelli positivi non vengono assorbiti in maniera così automatica. Non è difficile trovare mamme che serbano remore nel concedere ai propri figli maschi di giocare con le bambole”. Ma la riserva più grande che regna sul mondo dei giocattoli resta comunque “l’elemento di consumo, che troppo spesso prevale su eventuali contenuti”.
Una passione – quella di Capuano per il giocattolo – che si è fatta sì professione, ma affonda pur sempre le radici nell’infanzia, quando il giocattolo preferito era – e resta tuttora – “Capitan Action, che mio padre comprò al Porto di Napoli negli anni ’60, quando arrivavano oggetti di contrabbando dall’America. È una sorta di Big Jim che ha vestiti, maschere e accessori di supereroi come Superman e Batman. Ci sono molto affezionato, anche se ne citerei tanti altri ai quali mi sento legato. L’intero settore di carte da gioco e tarocchi antichi del ’600, per esempio, sono delle vere e proprie opere d’arte”.
Claudio Tranchino 

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