Dopo undici anni di lavoro, subentra al posto della prof.ssa Annamaria Lamarra nella direzione del Centro Linguistico di Ateneo della Federico II il prof. Pasquale Sabbatino. Entrambi docenti del Dipartimento di Studi Umanistici. Tanti i traguardi raggiunti e i ricordi che emergono dalle parole della docente di Letteratura Inglese, adesso in pensione. “È stata una bellissima avventura, una scommessa pienamente riuscita, per la cui realizzazione devo sicuramente ringraziare le figure istituzionali, col sostegno prima dei Rettori Guido Trombetti e Massimo Marrelli e poi Gaetano Manfredi e il Prorettore Arturo De Vivo che hanno fortemente appoggiato tutte le nostre iniziative”. Ne sia una prova evidente i riconoscimenti che hanno premiato le proposte formative e i servizi offerti dal Centro. “Ha guidato il mio lavoro l’obiettivo sempre presente di fornire un punto di riferimento nell’Università per l’apprendimento, la pratica e lo studio delle lingue straniere guardando, però, al lato pragmatico della faccenda con il supporto nelle esercitazioni linguistiche e il conseguimento delle certificazioni riconosciute a livello internazionale. Sono stata direttrice, ma soprattutto una manager, perché i risultati ottenuti sono frutto di un enorme sforzo di gestione”. Gli attestati di lingua sono, infatti, “un must have in uno scenario lavorativo che si fa sempre più internazionalizzato”. Una sfida lanciata anni fa dalla docente su due livelli: “offrire agli studenti la possibilità di usufruire dei corsi di lingua (inglese, francese, spagnolo, tedesco e italiano L2), che fossero però completamente gratuiti (eccetto per le tasse d’esame)”. La programmazione scrupolosa delle iniziative è avvenuta anche in virtù della collaborazione con altre strutture. “Abbiamo lavorato in sinergia con il Centro per la Qualità nell’ottica di perfezionare al meglio la nostra offerta e stabilire delle linee guida di cooperazione. È importante fare rete con le altre strutture dell’Ateneo e ricercare insieme l’efficienza”. Effetto della costante attenzione rivolta alla riorganizzazione didattica è stata “l’espansione che ci ha consentito di offrire anche corsi di preparazione al TOEFL, accogliendo l’ingente richiesta di formazione linguistica anche su un livello avanzato”. Una gestione possibile solo in virtù di un rodato lavoro di squadra col personale. “È stato un percorso di formazione comune: per me, per i miei collaboratori e per coloro che hanno usufruito dei nostri servizi”. Quando il CLA è nato, nel 2002, “poteva sembrare un po’ qualcosa di estraneo alla struttura accademica e col tempo invece è diventato un collante, un vero e proprio ‘Centro’ intorno al quale gravitano studenti di ogni Dipartimento, iscritti alle Scuole di Specializzazione, Master e Corsi di perfezionamento, dottorandi, ricercatori, docenti e personale tecnico-amministrativo”. Questo processo progressivo dell’alfabetizzazione in lingua inglese ha determinato in seguito l’apertura al territorio. “Oggi la terza missione dell’Università trova piena corrispondenza nell’offerta del CLA, grazie a convenzioni con enti extrauniversitari. Le scuole richiedono la nostra presenza, proponiamo loro tariffe agevolate e organizziamo rassegne per coinvolgere un numero vasto di utenti”. Tra queste, appuntamento di lunga data (dal 2008) è il Cineforum del giovedì, che “per noi ha rappresentato la prima possibilità di far conoscere meglio il Centro e in occasione delle proiezioni avere l’occasione di aprire un dibattito, spesso bypassato nelle aule universitarie per via delle incombenze didattiche e burocratiche”. Altro tassello importante nell’ambito delle attività del CLA è rappresentato dalla didattica dell’italiano lingua seconda, che “costituisce una proficua possibilità di inserimento dal punto di vista occupazionale”. L’obiettivo cardine è quello di costruire sul territorio una fonte di conoscenze e metodologie nelle abilità della consulenza linguistica e della traduzione specializzata. “A Napoli non c’è una vera e propria Scuola di interpreti e traduttori. Nei nostri lavori editoriali, i quaderni del CLA, abbiamo cercato di condensare le ricerche negli specifici settori d’interesse. Altre pubblicazioni importanti sono state un libricino dei proverbi e un altro sulla cucina multietnica”. Punto di approdo di un lungo lavoro è stato anche il sito stesso del CLA, che “serve per mostrare le nostre attività a largo spettro: corsi frontali, intensivi, seminari con docenti stranieri, gruppi di conversazione. Prima non c’era una vetrina ad hoc, quindi sono contenta di aver apportato uno strumento d’informazione in più”.
40 anni di docenza
Con il nuovo
ordinamento
“tutti abbiamo capito che bisognava scendere
dalla cattedra e
accorciare le distanze”
Con il nuovo
ordinamento
“tutti abbiamo capito che bisognava scendere
dalla cattedra e
accorciare le distanze”
Il CLA è solo una delle tessere a cui la prof.ssa Lamarra ha dedicato la propria attività didattica e scientifica in circa 40 anni di docenza. “Ho iniziato come ricercatrice nel campo dell’anglistica, sono stata giornalista per l’Unità ed editorialista per il Corriere del Mezzogiorno. Nelle ricerche scientifiche mi sono occupata moltissimo anche delle questioni di genere e ho fatto un dottorato su questi argomenti. Sicuramente, l’attività politica ha segnato molto il mio modo di insegnare. Dico sempre che il docente è il primo strumento audiovisivo e ha il dovere di rendere partecipe chi lo ascolta, perché la lezione è il nutrimento dello studente”.
Quando è nato il suo amore per la letteratura inglese?
“Da giovane volevo girare il mondo, avevo un interesse per l’inglese e sapevo che la conoscenza delle lingue mi avrebbe aperto tante possibilità professionali all’estero. Viaggiare per me era una necessità impellente. Erano gli anni della contestazione giovanile. All’epoca, inoltre, l’insegnamento dell’inglese non era così centrale. A scuola la lingua principale era il francese. Una borsa di studio mi consentì di andare a vivere in Scozia. E devo dire che l’Inghilterra mi ha aiutato a trovare me stessa”.
E con quale tema ha chiuso, invece, la sua ultima lezione?
“Ho parlato del terrorismo in letteratura agli studenti della Magistrale, spiegando che ciò che viviamo oggi dal punto di vista socio-politico e mediatico in realtà è qualcosa che nasce verso la fine dell’Ottocento con l’attentato alla regina Vittoria. Dall’episodio storico si crea un filone narrativo, da Conrad a Stevenson, che intesse anche legami con le scoperte scientifiche di quegli anni. Si parla, infatti, dei romanzi della dinamite”.
Quali compiti comporta il ruolo di docente?
“In quest’epoca di grande disagio giovanile il docente deve essere anche un tutor che sappia fornire indicazioni d’orientamento a uno studente smarrito. L’Università deve aiutare il discente a trovare la propria ispirazione, diventare ciò che uno è senza saperlo. Nel passaggio dal Vecchio al Nuovo Ordinamento tutti abbiamo capito che bisognava scendere dalla cattedra e accorciare le distanze. Non deve comportarsi da amicone, ma non può sottrarsi a nulla. Ho riscontrato per esempio problemi con lo scritto nei miei studenti, così ho insegnato loro a fare i riassunti, senza mai pensare che quello non mi riguardasse”.
Quali sono le iniziative che ricorda con piacere?
“Rivisitazioni di testi teatrali, progetti sulla poesia, lavori col cinema. Ho abituato gli studenti – non solo di Lingue, ma insegnando anche in cattedre di Filosofia e Sociologia – al confronto con altre forme artistiche e linguaggi espressivi che intersecano, a più riprese, la storia dei generi letterari e con i quali è possibile creare una comparazione. L’apprendimento dello studente è facilitato quando si trova a fare un bilancio tra analogie e differenze”.
Cosa consiglierebbe a chi vuol lavorare con le discipline umanistiche?
“Di provvedere innanzitutto alla propria formazione linguistica. I cittadini della Comunità Europea dovrebbero conoscere almeno due lingue oltre alla propria lingua materna. E poi coltivare le proprie passionalità per poi indirizzarle nella realtà occupazionale di oggi”.
Cosa è cambiato rispetto a tanti anni fa?
“L’Università di oggi ha molti punti in suo favore. Si è aperta alle signore, innanzitutto. Prima in Consiglio di Facoltà c’erano pochissime donne e adesso tutto è cambiato, anche grazie anche alla lungimiranza di alcuni. All’epoca ero l’unica in Consiglio di Amministrazione ed ero rappresentante di tutti i ricercatori. In suo sfavore gioca, invece, un eccesso di burocratizzazione”.
E adesso?
“Io non mi sento veramente in pensione perché mi governa una curiosità inarrestabile. Anche se non farò più lezione, lo studio continua a suscitare in me delle emozioni. L’Università è uno stato mentale: semplicemente, a un certo punto della vita i riflettori si spengono e bisogna accenderli con altre aspirazioni. Mi sto dedicando alla scrittura di diversi saggi e poi, speriamo bene, sono un’ottimista per natura”.
Sabrina Sabatino
Quando è nato il suo amore per la letteratura inglese?
“Da giovane volevo girare il mondo, avevo un interesse per l’inglese e sapevo che la conoscenza delle lingue mi avrebbe aperto tante possibilità professionali all’estero. Viaggiare per me era una necessità impellente. Erano gli anni della contestazione giovanile. All’epoca, inoltre, l’insegnamento dell’inglese non era così centrale. A scuola la lingua principale era il francese. Una borsa di studio mi consentì di andare a vivere in Scozia. E devo dire che l’Inghilterra mi ha aiutato a trovare me stessa”.
E con quale tema ha chiuso, invece, la sua ultima lezione?
“Ho parlato del terrorismo in letteratura agli studenti della Magistrale, spiegando che ciò che viviamo oggi dal punto di vista socio-politico e mediatico in realtà è qualcosa che nasce verso la fine dell’Ottocento con l’attentato alla regina Vittoria. Dall’episodio storico si crea un filone narrativo, da Conrad a Stevenson, che intesse anche legami con le scoperte scientifiche di quegli anni. Si parla, infatti, dei romanzi della dinamite”.
Quali compiti comporta il ruolo di docente?
“In quest’epoca di grande disagio giovanile il docente deve essere anche un tutor che sappia fornire indicazioni d’orientamento a uno studente smarrito. L’Università deve aiutare il discente a trovare la propria ispirazione, diventare ciò che uno è senza saperlo. Nel passaggio dal Vecchio al Nuovo Ordinamento tutti abbiamo capito che bisognava scendere dalla cattedra e accorciare le distanze. Non deve comportarsi da amicone, ma non può sottrarsi a nulla. Ho riscontrato per esempio problemi con lo scritto nei miei studenti, così ho insegnato loro a fare i riassunti, senza mai pensare che quello non mi riguardasse”.
Quali sono le iniziative che ricorda con piacere?
“Rivisitazioni di testi teatrali, progetti sulla poesia, lavori col cinema. Ho abituato gli studenti – non solo di Lingue, ma insegnando anche in cattedre di Filosofia e Sociologia – al confronto con altre forme artistiche e linguaggi espressivi che intersecano, a più riprese, la storia dei generi letterari e con i quali è possibile creare una comparazione. L’apprendimento dello studente è facilitato quando si trova a fare un bilancio tra analogie e differenze”.
Cosa consiglierebbe a chi vuol lavorare con le discipline umanistiche?
“Di provvedere innanzitutto alla propria formazione linguistica. I cittadini della Comunità Europea dovrebbero conoscere almeno due lingue oltre alla propria lingua materna. E poi coltivare le proprie passionalità per poi indirizzarle nella realtà occupazionale di oggi”.
Cosa è cambiato rispetto a tanti anni fa?
“L’Università di oggi ha molti punti in suo favore. Si è aperta alle signore, innanzitutto. Prima in Consiglio di Facoltà c’erano pochissime donne e adesso tutto è cambiato, anche grazie anche alla lungimiranza di alcuni. All’epoca ero l’unica in Consiglio di Amministrazione ed ero rappresentante di tutti i ricercatori. In suo sfavore gioca, invece, un eccesso di burocratizzazione”.
E adesso?
“Io non mi sento veramente in pensione perché mi governa una curiosità inarrestabile. Anche se non farò più lezione, lo studio continua a suscitare in me delle emozioni. L’Università è uno stato mentale: semplicemente, a un certo punto della vita i riflettori si spengono e bisogna accenderli con altre aspirazioni. Mi sto dedicando alla scrittura di diversi saggi e poi, speriamo bene, sono un’ottimista per natura”.
Sabrina Sabatino







