Mocassino, décolleté, ballerina, carlo IX, chanel, sandalo, stivale, tronchetto, stivaletto. Sono solo alcuni dei modelli menzionati da Bianca Valentino, per una collezione che avrebbe fatto invidia a Meryl Streep nel ‘Diavolo veste Prada’. Erede del

“Non bisogna avere solo dell’altruismo e della generosità per pensare di andare a portare l’aiuto dove i bisogni sono molti, ma occorre essere dei professionisti. Medici Senza Frontiere non comprende solo la parte medicale, ma anche quella relativa ad architetti, ingegneri, sanificatori dell’acqua. È un team che lavora assieme per raggiungere lo stesso obiettivo”. Questa la premessa di Ettore Mazzanti, infermiere e operatore umanitario MSF, nell’introdurre l’incontro “Medici Senza Frontiere: il significato di esserci”, svoltosi lo scorso 12 maggio al Dipartimento della Donna, del Bambino e di Chirurgia generale e specialistica della Seconda Università. Presenti il Direttore del Dipartimento Laura Perrone, il Presidente e la Coordinatrice Didattica del Corso di Laurea in Infermieristica Pediatrica Emanuele Miraglia del Giudice e Clelia Esposito, la ricercatrice Anna Grandone. 
ll seminario ha portato alla luce una realtà fatta di persone normali che, al di là di qualunque eroismo o retorica, cercano di svolgere la propria professione al meglio. L’incontro è stato dedicato, in particolare, agli studenti di Infermieristica Pediatrica, con riferimento al focus sulle campagne vaccinali pediatriche, in modo da fornire una riflessione su quanto possa essere difficile svolgere la professione in circostanze estreme, totalmente diverse da quelle delle abituali corsie ospedaliere. Rilevanza è stata data anche al tema stesso della vaccinazione pediatrica, finito più volte sotto accusa qui in Italia, ma che si rivela invece di vitale importanza in altri Paesi, soprattutto quelli del Terzo Mondo.
Essere professionali e scegliere di dare aiuto a chi ha bisogno attraverso una propria competenza è sicuramente fondamentale, ma alla base di questa scelta c’è sempre un fortissimo amore verso il prossimo. Di questo sono convinti gli studenti di Infermieristica Pediatrica, che, pur tra mille difficoltà organizzative, portano avanti il loro percorso di studi spinti dall’amore verso i bambini e dal carattere assistenziale del loro mestiere. “L’amore per i bambini mi ha spinto verso questo Corso di Laurea, che però si è rivelato più duro di quanto pensassi. Tra gli aspetti positivi c’è quello di un immediato impegno pratico: subito ti mandano in corsia a contatto con i pazienti, ma poi non c’è il tempo di conciliare il tirocinio, le lezioni teoriche e lo studio per gli esami”, spiega Rosa Zippo, studentessa del primo anno. Un altro vantaggio di questo Corso di studi, sostiene invece Giovanni Aronne, studente del terzo anno, è quello di non avere una sede fissa: “Per quanto riguarda il tirocinio giriamo un po’ tutte le cliniche di Napoli, avendo l’opportunità di confrontare situazioni diverse, anche se di base c’è una forte disorganizzazione relativa agli orari e ai corsi” e, in merito al tema dell’approccio verso la sofferenza del malato, dichiara: “non bisogna andare incontro alla desensibilizzazione, ma bisogna agire con consapevolezza e capire che, come esiste il bambino sano, esiste anche quello malato, che richiede determinati trattamenti”. Alla sofferenza del paziente non ci si fa mai l’abitudine, questo è quanto emerso dalle risposte degli studenti, che cercano invece di elaborare modi diversi di vedere la malattia, in modo da proteggersi emotivamente. “Invece di guardare la sofferenza in sé, posso vederla come possibilità di aiutare l’altro. Invece di vedere che il bambino sta soffrendo, posso pensare che io lo sto aiutando. Magari posso rimanerci male di alcune gravi situazioni ma, invece di soffrirci, posso rimboccarmi le maniche e fare qualcosa di reale per lui”, sostiene Marco Trani, studente del primo anno. Anche Ettore Mazzanti, infermiere e operatore umanitario MSF, ha trovato il suo modo per affrontare l’approccio quotidiano verso il dolore: “non ci si abitua alla sofferenza, ci sono solo degli ammortizzatori. Vero è che il segreto, per riuscire ad ammortizzare quelle che sono fatiche grandi sotto il profilo psicologico, è la condivisione con la squadra. Questo è il valore aggiunto per poter sopportare e supportare quelli che sono momenti di difficoltà molto alta, quali gli scenari in cui talvolta ci troviamo ad operare”.
Arianna Piccolo
- Advertisement -




Articoli Correlati