“La sicurezza negli stadi è prima di tutto un problema sociale che deve essere fronteggiato attraverso la collaborazione dei diversi attori politico–istituzionali. Il Dipartimento di Sociologia fa di tutto per essere sul campo. Questa iniziativa, in particolare, nasce sulla base dello studio condotto dai due ricercatori Luca Bifulco e Francesco Pirone. Studio che ha portato sicuramente alla luce la certezza che la repressione del tifo calcistico non basta, ma bisogna conoscere per migliorare”, ha detto la prof.ssa Enrica Amaturo, Direttrice del Dipartimento di Scienze Sociali, nell’aprire, il 28 ottobre scorso, l’incontro promosso con il supporto dell’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive. Un mondo, quello calcistico, il cui aspetto sociale, come evidenzia il prof. Gianfranco Pecchinenda, è stato per troppo tempo trascurato. Concorda con questa opinione anche il prof. Guido Trombetti, Assessore regionale all’Università e Ricerca Scientifica: “Il calcio è stato troppo a lungo snobbato, come se fosse un fenomeno figlio di un Dio minore. Questo non deve più ripetersi. Il calcio è un tema di gran rilievo, soprattutto nella nostra città”.
Vincenzo Panico, Presidente della Task Force per la Sicurezza delle Manifestazioni Sportive, fornisce alcuni dati: “Grazie alle misure antiviolenza, ogni anno 615 operatori di polizia hanno evitato ferite”. Poi, un riferimento al caso Raciti, l’ispettore capo di polizia ucciso a Catania durante gli scontri tra tifoserie opposte: “Prima dell’omicidio Raciti (cinque anni precedenti) in media si contavano 766 poliziotti feriti ogni anno. Dopo il 2 febbraio 2007 (5 anni successivi) i poliziotti feriti ogni anno sono stati in media 151”.
A parlare di quel 2 febbraio, con una toccante testimonianza, la vedova di Raciti, Maria Grasso: “Io conosco l’ansia e il dolore che porta questa divisa. Il 2 febbraio di quasi otto anni fa si è tenuto il derby Catania – Palermo. Quel giorno, come capitava sempre ogni qualvolta prendeva servizio allo stadio, avevo la certezza che mio marito sarebbe tornato a casa con la divisa sporca o strappata. Quella divisa, invece, non è mai tornata. Da quel momento in poi la mia richiesta di giustizia è sempre stata ‘educazione’. È solo educando che si può sconfiggere una violenza la cui unica caratteristica è la distruzione diretta, ma anche indiretta”.
Due le emergenze più gravi per Roberto Massucci, Vice Presidente operativo dell’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive: “Bisogna essere capaci di dire no. No alle strutture degradate, in cui la polizia non è in grado di lavorare in sicurezza. No ai rapporti ricattatori tra associazioni calcistiche e gruppi ultras”.
Di ultras parla Enzo Esposito, zio di Ciro, il tifoso napoletano morto per gli scontri a Roma nel maggio scorso “Mi sono interessato agli ultras in seguito agli avvenimenti luttuosi della mia famiglia ed ho capito che il calcio è una forma di identità sociale che si sviluppa tramite una serie di rituali che bisogna studiare. Nei gruppi ultras si mira alla ‘morte simbolica dell’avversario’. Non si comprende che l’identità non è ‘contro l’altro’, ma è l’affermazione di se stesso. La violenza non è da reprimere, ma da incanalare. Dobbiamo garantire ai tifosi il diritto di tifare, ma anche quello di tornare a casa. A mio nipote questo diritto è stato negato”.
È tutta una questione di cambiamento. “Bisogna pensare – spiega Silvia La Selva, psicologo di Polizia – prima di tutto ad un cambiamento culturale. Non bisogna preoccuparsi di prevenire la violenza, ma si deve partire da una buona gestione del mondo calcistico. C’è un disimpegno morale che deve essere corretto”.
Fabiana Carcatella
Vincenzo Panico, Presidente della Task Force per la Sicurezza delle Manifestazioni Sportive, fornisce alcuni dati: “Grazie alle misure antiviolenza, ogni anno 615 operatori di polizia hanno evitato ferite”. Poi, un riferimento al caso Raciti, l’ispettore capo di polizia ucciso a Catania durante gli scontri tra tifoserie opposte: “Prima dell’omicidio Raciti (cinque anni precedenti) in media si contavano 766 poliziotti feriti ogni anno. Dopo il 2 febbraio 2007 (5 anni successivi) i poliziotti feriti ogni anno sono stati in media 151”.
A parlare di quel 2 febbraio, con una toccante testimonianza, la vedova di Raciti, Maria Grasso: “Io conosco l’ansia e il dolore che porta questa divisa. Il 2 febbraio di quasi otto anni fa si è tenuto il derby Catania – Palermo. Quel giorno, come capitava sempre ogni qualvolta prendeva servizio allo stadio, avevo la certezza che mio marito sarebbe tornato a casa con la divisa sporca o strappata. Quella divisa, invece, non è mai tornata. Da quel momento in poi la mia richiesta di giustizia è sempre stata ‘educazione’. È solo educando che si può sconfiggere una violenza la cui unica caratteristica è la distruzione diretta, ma anche indiretta”.
Due le emergenze più gravi per Roberto Massucci, Vice Presidente operativo dell’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive: “Bisogna essere capaci di dire no. No alle strutture degradate, in cui la polizia non è in grado di lavorare in sicurezza. No ai rapporti ricattatori tra associazioni calcistiche e gruppi ultras”.
Di ultras parla Enzo Esposito, zio di Ciro, il tifoso napoletano morto per gli scontri a Roma nel maggio scorso “Mi sono interessato agli ultras in seguito agli avvenimenti luttuosi della mia famiglia ed ho capito che il calcio è una forma di identità sociale che si sviluppa tramite una serie di rituali che bisogna studiare. Nei gruppi ultras si mira alla ‘morte simbolica dell’avversario’. Non si comprende che l’identità non è ‘contro l’altro’, ma è l’affermazione di se stesso. La violenza non è da reprimere, ma da incanalare. Dobbiamo garantire ai tifosi il diritto di tifare, ma anche quello di tornare a casa. A mio nipote questo diritto è stato negato”.
È tutta una questione di cambiamento. “Bisogna pensare – spiega Silvia La Selva, psicologo di Polizia – prima di tutto ad un cambiamento culturale. Non bisogna preoccuparsi di prevenire la violenza, ma si deve partire da una buona gestione del mondo calcistico. C’è un disimpegno morale che deve essere corretto”.
Fabiana Carcatella







