La questione dei test per i Corsi di Studio a numero programmato costituisce, in generale, oggetto di acceso dibattito nella comunità accademica. E pone seri problemi di inclusione quando alle prove di ammissione si candidano studenti in condizione di disabilità, soprattutto non vedenti, o con disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) e quindi con difficoltà di letto-scrittura. “In entrambi i casi parliamo di persone che sono in linea di principio perfettamente in grado di svolgere i compiti richiesti dal profilo professionale connesso al Corso di Studio e che non hanno alcun tipo di deficit intellettivo né di comprensione della materia. I test, che servono unicamente a creare un filtro di selezione, per questi studenti finiscono per essere discriminatori perché non tengono in alcuna considerazione le loro difficoltà”, afferma il prof. Alessandro Pepino, neo Delegato del Rettore alla Disabilità e ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento della Federico II. Un esempio calzante e di stretta attualità: “i test per il Corso di Studi (CdS) in Fisioterapia e la loro accessibilità per le persone non vedenti. È un caso particolarmente significativo perché è noto che esse hanno una consolidata tradizione nella massofisioterapia. La Scuola per massofisioterapisti, per motivazioni diverse nelle quali è superfluo addentrarsi, venne soppressa anni fa, lasciando che il CdS in Fisioterapia ereditasse i contenuti e la tradizione professionale. La fisioterapia, comunque, è una professione sanitaria nella quale le persone non vedenti hanno spazi operativi di eccellenza, dati dalla capacità compensatoria tattile-sensoriale. Ma la forma dei test, per come è congegnata, prevede delle domande che costituiscono una barriera per loro insormontabile. Di conseguenza la maggior parte è stata di fatto esclusa”. Il prof. Pepino segnala alcune (sporadiche) iniziative promosse dagli Atenei: “l’Università di Firenze ha attivato un percorso riservato nel CdS in Fisioterapia, mentre l’Università di Torino ha provveduto a eliminare le domande non accessibili dai test di ammissione, asserendo così, in modo implicito, che la funzione di selezione dei test non viene lesa in alcun modo dalla mancanza dei quesiti di contenuto visuo-spaziale”. In qualità di delegato del Rettore, il professore ha chiesto formalmente alla Ripartizione studenti “che i test di accesso ai CdS in Fisioterapia per il prossimo anno siano privati di tutte le domande non accessibili alle persone non vedenti al fine di allineare la Federico II al principio sancito dalla Università di Torino”. La questione dei test, però, “rientra in una riflessione più generale su come includere le persone non vedenti in questo percorso formativo”. Occorre “operare sui mezzi messi a disposizione dalle Università nell’accessibilità del materiale didattico, fornendolo preventivamente in forma dematerializzata e compatibile all’uso dei comuni mezzi convertitori audio, al fine di consentire un’efficace frequenza in classe”. E per proseguire oltre l’aula, si pensa ai tirocini: “impatto reale con il mondo del lavoro”. Il tirocinio, come è formulato oggi, “potrebbe essere il secondo step di una prima parte rivolta a tutti i discenti, cioè di attività di simulazione, l’uso di strumenti tridimensionali, acquisizione di competenze palpatorie e valutative in modalità pratica anche con affiancamento di personale non vedente presente nelle strutture ospedaliere e soprattutto nelle strutture territoriali e di prossimità”.
Scenario ancora più complesso per gli studenti con DSA, magari quelli che aspirano ad accedere a Medicina: “le linee guida ministeriali sono estremamente restrittive nei loro confronti e non consentono di adoperare gli strumenti compensativi (mappe e formulari) ai quali i ragazzi sono abituati dalla scuola superiore, oltre a porre delle limitazioni persecutorie (si pensi alla questione dell’uso della calcolatrice non scientifica!!!!!). Si badi che la legge 170 del 2010, nata per garantire il diritto all’istruzione di studenti con DSA, riconosce gli strumenti compensativi e dispensativi quali mezzi indispensabili per compensare le debolezze funzionali derivanti dal disturbo e chiarisce che questi strumenti non aiutano lo studente dal punto di vista cognitivo, ma rappresentano solo un valido ausilio per porlo in condizioni di parità rispetto agli altri, poiché consentono lo svolgimento delle prove senza dispersione di energie. Di contro, le medesime indicazioni ministeriali permettono l’affiancamento di un tutor di ausilio alla lettura, che invece non rappresenta una garanzia di equità e trasparenza”. La contraddizione: “una legge che dichiara l’importanza degli strumenti compensativi e dispensativi e ne promuove l’utilizzo durante gli esami universitari, vieta poi gli stessi ai test di ammissione. È inutile che nelle Università si predispongano servizi specifici per i DSA, se poi se ne ostacola l’ingresso”. Si può fare qualcosa per modificare una situazione che sembra davvero paradossale? Non ha dubbi il prof. Pepino, il quale, insieme ad altri colleghi della Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati alla Disabilità, ha più volte rappresentato la necessità di rivedere le linee della legge: “basterebbe adottare test informatizzati per poter gestire in modo più efficiente e trasparente la procedura, fornendo on-line gli strumenti compensativi necessari a seconda del profilo funzionale del candidato”. Il Ministero, purtroppo, “ancora non è stato in grado di affrontare questo problema. Purtroppo, ogni anno centinaia di candidati che esibiscono la diagnosi DSA si vedono di fatto esclusi dall’accesso ai percorsi universitari desiderati”.
Scenario ancora più complesso per gli studenti con DSA, magari quelli che aspirano ad accedere a Medicina: “le linee guida ministeriali sono estremamente restrittive nei loro confronti e non consentono di adoperare gli strumenti compensativi (mappe e formulari) ai quali i ragazzi sono abituati dalla scuola superiore, oltre a porre delle limitazioni persecutorie (si pensi alla questione dell’uso della calcolatrice non scientifica!!!!!). Si badi che la legge 170 del 2010, nata per garantire il diritto all’istruzione di studenti con DSA, riconosce gli strumenti compensativi e dispensativi quali mezzi indispensabili per compensare le debolezze funzionali derivanti dal disturbo e chiarisce che questi strumenti non aiutano lo studente dal punto di vista cognitivo, ma rappresentano solo un valido ausilio per porlo in condizioni di parità rispetto agli altri, poiché consentono lo svolgimento delle prove senza dispersione di energie. Di contro, le medesime indicazioni ministeriali permettono l’affiancamento di un tutor di ausilio alla lettura, che invece non rappresenta una garanzia di equità e trasparenza”. La contraddizione: “una legge che dichiara l’importanza degli strumenti compensativi e dispensativi e ne promuove l’utilizzo durante gli esami universitari, vieta poi gli stessi ai test di ammissione. È inutile che nelle Università si predispongano servizi specifici per i DSA, se poi se ne ostacola l’ingresso”. Si può fare qualcosa per modificare una situazione che sembra davvero paradossale? Non ha dubbi il prof. Pepino, il quale, insieme ad altri colleghi della Conferenza Nazionale Universitaria dei Delegati alla Disabilità, ha più volte rappresentato la necessità di rivedere le linee della legge: “basterebbe adottare test informatizzati per poter gestire in modo più efficiente e trasparente la procedura, fornendo on-line gli strumenti compensativi necessari a seconda del profilo funzionale del candidato”. Il Ministero, purtroppo, “ancora non è stato in grado di affrontare questo problema. Purtroppo, ogni anno centinaia di candidati che esibiscono la diagnosi DSA si vedono di fatto esclusi dall’accesso ai percorsi universitari desiderati”.







