Un docente e un politico: i protagonisti del giallo del prof. De Felice

Due uomini, due storie che si intrecciano quando il passato irrompe nelle loro vite e li costringe a fare i conti con se stessi e con le loro azioni. Con queste premesse si apre “L’ombrello dell’onorevole”, il nuovo romanzo di Maurilio De Felice, professore Emerito di Microbiologia all’Università Federico II, già autore per i tipi di Ateneapoli, de “L’ultima mossa dell’alfiere”.
“Perché l’ombrello dell’onorevole? L’ombrello è una metafora, naturalmente. Si tratta di un ombrello protettivo con cui ci si ripara dalla pioggia, ma non solo. La protezione che il mio personaggio cerca è dai rischi, dai pericoli che incombono sul suo presente e dai fantasmi del passato”, spiega il prof. De Felice. Le due vite in gioco sono quelle di Gene e Loris, docente universitario con un’illustre carriera accademica condotta tra Stati Uniti e Italia l’uno, e politico sul punto di ottenere un prestigioso incarico l’altro, di cui viene narrata la storia a cavallo tra passato e presente. “Negli anni della contestazione giovanile questi due personaggi vengono coinvolti in un grave episodio di violenza che li induce ad allontanarsi. Li ritroviamo cinquant’anni dopo, settantenni, quando questo episodio torna alla luce. Nasce così un giallo-thriller in cui ritorna anche il magistrato Paolo Miranda, personaggio già conosciuto con ‘L’ultima mossa dell’alfiere’, che è il filo conduttore del mio romanzo”. Romanzo in cui le epoche storiche rivestono un ruolo di primo piano: “Il mio racconto permette un avvicinamento tra gli anni Sessanta e i nostri tempi. Con quale obiettivo? Condurre un’analisi e capire che cosa è rimasto dell’Italia del ’68 e degli ideali di quel periodo. Io mi sono laureato proprio nel ’68, quando via Mezzocannone era nel pieno di quei fermenti. Ricordo il fervore degli studenti, i comizi sia della destra sia della sinistra. Al di là delle esagerazioni e delle aberrazioni che si sono prodotte in alcuni casi, i giovani hanno vissuto una fortissima tensione ideale. Oggi, nell’epoca dei social e dei ragazzi che smanettano continuamente con i cellulari, mi interessava capire se e quanto è rimasto dell’Italia di allora”. ‘L’ombrello dell’onorevole’ non vuole essere un’analisi storica e nemmeno un testo sociologico o filosofico. “Attraverso il racconto delle vite dei miei due personaggi cerco di rispondere ad alcune domande. Cosa ne è stato di quei giovani? Hanno fatto carriera? Hanno avuto successo? A quale prezzo? Leggendo il libro ognuno potrà ricavarne un suo pensiero. Io temo, purtroppo, che gli insegnamenti della storia non abbiano lasciato frutti concreti. Oggi sono cambiate tante cose, ma in fondo la storia è sempre la stessa. Nel ’68 i giovani hanno pensato di poter cambiare la società e il mondo, ma non è accaduto. Alcuni di loro hanno dimenticato le esperienze giovanili e hanno fatto carriera, molti altri hanno completamente ribaltato i loro ideali”. Quasi un personaggio sullo sfondo è la città di Napoli che, insieme agli Stati Uniti, è il teatro dove si snodano le vicende dei protagonisti: “Ho raccontato molto di Napoli nella parte iniziale e in quella finale. Appaiono il centro storico, Spaccanapoli, i Tribunali, la statua del Nilo, la vita napoletana com’è nei suoi vicoli e con tutti i suoi risvolti. Mi sono ispirato anche al campus di Monte Sant’Angelo. L’edificio in cui è ambientato il primo capitolo ricorda molto il Dipartimento di cui sono stato direttore e in cui ho trascorso quindici anni. Questo romanzo non è autobiografico, ma nei personaggi secondari mi sono ispirato ad alcune persone che ho conosciuto. Anche nei capitoli ambientati in America ho inserito dei ricordi personali poiché ho vissuto lì un paio d’anni”. Ma come nasce la passione per la scrittura del professore? “Ho frequentato il liceo classico Gian Battista Vico a Nocera Inferiore. Il mio professore di italiano aveva stabilito con me un rapporto di confidenza, inusuale per quell’epoca, e mi fece innamorare della scrittura. Mi ha insegnato a scrivere con cura, a leggere, rileggere e correggere. Mi ha fatto capire l’importanza di un’accurata conoscenza della grammatica e di una scrittura di qualità. Quando seppe che all’università avrei studiato Chimica fu deluso, ma a quell’epoca un giovane era indirizzato verso la chimica, la fisica e l’ingegneria. Mi sono formato anche leggendo Moravia e Sartre e da ragazzo scrivevo per Il Corriere dello Sport e per la Gazzetta dello Sport”. La scrittura è, dunque, una passione che si è concretizzata anche nella pubblicazione di studi e articoli su riviste internazionali durante la sua carriera universitaria. La ricetta per un buon libro? “Cerco di scrivere bene, essere accurato e raccontare storie che possano essere interessanti. Scrivo quello che mi piace, ma devo tener conto anche che ci sarà qualcun altro che leggerà le mie storie e che dovrà essere attratto dalla mia scrittura. Da qui l’interesse per il giallo che incuriosisce il lettore e lo induce a proseguire. C’è sempre qualcosa che deve accadere”.
Carol Simeoli
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