Un giorno da detective

Passare un giorno davanti Palazzo Melzi, sede di Giurisprudenza a Santa Maria Capua Vetere, e trovarsi davanti un Borsalino indossato con l’elegante fascino di Humphrey Bogart. Possibile, se il giorno in questione è da collocarsi nel passato, precisamente il 27 ottobre di quest’anno, quando il Dipartimento di Giurisprudenza ha chiamato a raccolta i possibili neoiscritti per una presentazione dimostrativa del nuovo percorso “Scienze delle investigazioni e della sicurezza”, indirizzo del Corso di Laurea Triennale in Scienze dei Servizi Giuridici. 
“Ragazzi, vi presento il gotha dell’investigazione privata campana”. Con queste parole ha accolto i primi arrivati Michele Giannone, anche egli della professione, Presidente dell’Assoinvestigatori e prossimo docente del Corso di Laurea. Fuor di cliché da film noir, il colpo d’occhio è allo stesso tempo singolare e minaccioso: oltre al già citato cappello, ci sono giubbotti di pelle, folti baffi ed espressioni torve. La categoria sa giocare con l’immaginario collettivo insomma, e del resto è innegabile che la figura del detective porti con sé un certo fascino, in particolare sugli studenti che quel lunedì hanno raggiunto l’aula A dell’edificio per seguire l’incontro. Ma c’è giusto il tempo per far segnare qualche numero di telefono ai giovani, perché di lì a poco il team di detective viene raggiunto dai docenti e dagli altri ospiti dell’evento.
Ospiti Woodcock
e Botti
E non parliamo di certo di ospiti qualsiasi, ma di due esponenti chiave rispettivamente della Magistratura e dell’Avvocatura napoletana: il sostituto procuratore della Repubblica Henry James Woodcock e l’avvocato penalista Claudio Botti. Dopo i doverosi saluti del Direttore di Dipartimento, il prof. Gian Paolo Califano, il prof. Andrea Patroni Griffi, Presidente del Consiglio del Corso di Laurea, ha presentato la logica alla base della nuova offerta formativa: “L’idea era quella di formare dei professionisti nel campo che avessero cognizione degli strumenti giuridici necessari a portare avanti i delicati compiti che spettano agli investigatori privati, compiti che vanno ben oltre quelli in tema di indagini difensive di cui parleremo oggi”. Ha ceduto quindi la presidenza al prof. Mariano Menna, che ha introdotto gli insegnamenti del Corso e ha aperto le danze cedendo la parola agli ospiti, dando in realtà il via ad un fitto scambio di affondi a colpi di educato scetticismo. “A voi immagino interessi sapere cosa un investigatore privato può fare o non può fare”, ragiona Woodcock, e per prima cosa circoscrive l’ambito del dibattito: si parla di investigatori utilizzati nel processo penale, campo che ha le sue particolarità legislative. “In un’epoca come questa, in cui il processo si fa prima in TV e poi nelle aule di giustizia, è ad esempio fondamentale capire quali obblighi ha l’investigatore privato. È tenuto alla segretezza degli atti? La questione è squisitamente deontologica”. E in maniera più diretta: “Ben venga questo Corso di Laurea, detto da uno che nelle investigazioni private non ci crede molto. Se proprio questi investigatori devono esistere, siano almeno formati culturalmente”. E poi naturalmente c’è il problema privacy. La Costituzione dice che il diritto alla libertà personale e delle comunicazioni può essere superato solo tramite un provvedimento dell’autorità giudiziaria. “Una prerogativa – ha aggiunto Woodcock – che spero rimarrà a lungo a disposizione esclusiva dell’autorità pubblica. Non si immagini l’investigatore come nel 90% delle fiction televisive, perché la maggior parte di quei comportamenti in realtà non sono leciti”.
In maniera abbastanza singolare c’è una certa consonanza tra PM e avvocato, tra l’intervento di Woodcock e quello di Botti: “Così come gli avvocati hanno presto capito che non si poteva pensare ad una trasformazione di ruolo che avvicinasse l’avvocato italiano a una figura da telefilm americano alla Perry Mason, così gli investigatori devono capire che agiranno sotto mandato e sotto stretto controllo del difensore”. Dei piccoli affondi che portano Giannone ad essere in disaccordo con gli interventi precedenti, se non su un elemento: “La deontologia. Noi non abbiamo un codice deontologico, ma resta un aspetto fondamentale”. Tra una provocazione e una precisazione il tempo a disposizione finisce velocemente, e la parola passa al prof. Antonio Pagliano, uno dei principali fautori dell’ideazione del Corso, che ha tenuto il contatto con le associazioni di categoria durante tutta la fase di organizzazione: “Vogliamo creare qualcosa che abbia un forte riscontro pratico, ed è in questo senso che va l’incontro di oggi”. Ha quindi dato notizia del momento più atteso dagli intervenuti: “Qui giù vi aspetta un camper che gli investigatori utilizzano per fare appostamenti. Seguiteli e vi mostreranno alcuni degli strumenti che si utilizzano per questo lavoro”. 
Il camper “squalo” e
congegni da telefilm
polizieschi
Così, al termine del dibattito, Giannone, seguito da un nutrito gruppo di persone incuriosite, il prof. Menna in testa, si è spostato in piazzetta dove Sergio D’Amore, Presidente dell’associazione di categoria Federpol, mostra il suo gioiellino. “Questa è quella che nel gergo della polizia giudiziaria viene chiamata balena. Noi del campo privato lo chiamiamo squalo”. Da lì è come scoperchiare uno scrigno del tesoro, perché D’Amore e i suoi collaboratori mostrano una serie di congegni che sembrano usciti dalle migliori serie tv poliziesche: telecamere nascoste di ogni ordine e grado, macchine fotografiche anni ‘70, i dispositivi gps il cui utilizzo poco prima Woodcock aveva bollato come illecito. Del resto chi fa questo mestiere oscilla per forza di cose tra legale ed illegale, sfidando quotidianamente le leggi sulla privacy grazie a dei vuoti legislativi. Ad esempio, il prof. Menna fa notare che tutte le telecamere mostrate hanno un microfono per le registrazioni ambientali, che di norma sarebbero vietate. A un certo punto, dal camper viene tirata fuori una grossa cassetta di metallo: si chiama jammer, e serve per inibire all’istante le funzioni dei dispositivi elettronici. “Se la scorta di Falcone avesse avuto un dispositivo del genere in macchina, il telecomando non avrebbe potuto azionare la bomba e il giudice si sarebbe salvato”, spiega un collaboratore di D’Amore, raccontando la rivoluzione tecnologica che ha investito il campo della sicurezza.
Gli studenti hanno tempestato di domande gli investigatori, rivelandosi particolarmente entusiasti del mondo che stavano scoprendo in quei minuti. Nicola e Kevin sono tra i più attenti del gruppo. Il primo ha 21 anni, è di Casagiove, e nella tensione della mattinata ci ha visto soprattutto uno scontro tra investigazione pubblica e privata, ambiti tra loro in parte concorrenti. Per il resto: “È un Corso molto interessante. Per me che già avevo in mente questo sbocco professionale è stato uno straordinario colpo di fortuna che si sia attivato per la prima volta quest’anno alla SUN. Però sarà dura, le materie sono difficili”. Kevin ha 19 anni, è di Santa Maria Capua Vetere, valuta molto positivamente la versatilità del Corso di Laurea: “Il fatto che questo sia comunque un Corso in Scienze dei servizi giuridici mi permette di iscrivermi poi alla Magistrale integrando solo qualche esame. Probabilmente, anche avendo la qualifica di investigatore, continuerò gli studi”. Il tempo di scambiarsi altri contatti e l’incontro volge infine al termine. Giannone ci lascia con un concetto chiave: “Il problema è nella forma mentis. Noi combattiamo per avere la dicitura inv. priv. davanti al nostro nome, come succede per le altre professioni. Da questo punto di vista, il Corso di Laurea per investigatori della SUN, il primo nell’Università pubblica italiana, è un progetto per noi fondamentale”.
Valerio Casanova
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