Aree interne: gli Atenei fanno rete

Manlio Rossi Doria le definì le zone dell’osso, in contrapposizione a quelle della polpa. Sono le aree dell’Italia interna, lontane dalle coste, dalle metropoli e dai flussi turistici, spesso abbarbicate sugli Appennini o sulle Alpi. Territori che hanno subito nel corso dei decenni una emorragia di popolazione determinata dall’emigrazione, sia verso l’estero, sia verso le grandi città. Sono gli scenari e le fonti di ispirazione della poetica di Franco Arminio il paesologo e dei libri di Vito Teti, antropologo e docente universitario. Non da ora è in corso un dibattito relativo alle migliori strategie per arrestare il declino in questi territori e per invertire la tendenza allo spopolamento. L’Università Federico II si propone ora come capofila di una rete di Atenei i quali si ripromettono di elaborare proposte, idee e progetti e di dialogare con istituzioni, associazioni, imprese ed altre realtà del territorio per elaborare una riflessione teorica e per dare vita ad iniziative concrete capaci di restituire slancio e vitalità alle aree interne del Paese. Se ne è parlato il 26 e 27 settembre in Basilicata, nell’ambito delle iniziative di Matera 2019 Capitale Europea della Cultura, durante la quale i vari Atenei hanno firmato la Carta della Rete. L’evento è stato curato da Adelina Picone e Francesco Rispoli, docenti di Composizione Architettonica e Urbana alla Federico II. La prima è la coordinatrice, il secondo fa parte del comitato scientifico del Master di II livello “Architettura e Progetto per le Aree Interne”, per la seconda annualità del quale si sono chiuse le iscrizioni il 23 ottobre. “Il nostro scopo – dice Rispoli – è quello di mettere insieme le diverse unità di ricerca che a vario titolo in Italia lavorano su questi temi. Dal nord est alla Calabria, dalla Sicilia alla Puglia, dal Piemonte alla Toscana. Vogliamo essere una infrastruttura immateriale capace di connettere elaborazioni, esperienze, buone pratiche, visioni di futuro che alimentino sguardi, non confinati a una prospettiva di ‘turismo dell’abbandono’ o – peggio – ‘della musealizzazione di territori senza futuro’, ma che possano invece concorrere a dare corpo a infrastrutture materiali portatrici di prospettive di potenziale sviluppo, non solo nella dimensione del turismo ma in un più ampio orizzonte produttivo in linea con le tradizioni, talvolta millenarie, stratificatesi in questi territori”. Negli ultimi anni, prosegue il prof. Rispoli, non sono mancate in Italia esperienze positive di valorizzazione delle aree interne: “Penso ad Ostana, Comune occitano in Piemonte, protagonista del film ‘Il vento fa il suo giro’, dove decine di iniziative culturali promosse dal basso e recuperi edilizi adeguatamente condotti hanno creato i presupposti affinché si ricostituisse una comunità ed il borgo rifiorisse. Oppure – per citare un altro esempio – penso allo ‘Sponz Fest’ ideato e diretto da Vinicio Capossela che nella seconda metà di agosto porta per una settimana decine di migliaia di persone nei borghi irpini. Quest’anno sono state 30 mila”. Per aiutare queste ed altre iniziative, per dare sostanza al recupero delle aree interne e per creare in esse occasioni capaci di attirare in pianta stabile abitanti e residenti, secondo il docente “bisogna mettere al centro delle politiche regionali e nazionali la questione delle aree interne. Nei prossimi mesi la rete tra Atenei si intensificherà, coopererà ed avrà una piattaforma pubblica. La nostra è una strategia alla Forrest Gump. Ti metti a correre e speri che qualcuno corra con te. Poi verranno i lavori sulle singole aree”. 
Fabrizio Geremicca
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