Approda nel pomeriggio del 4 febbraio in Piazza del Gesù la vigilia della più importante festività tradizionale della Cina (per certi versi paragonabile al nostro Natale): è la Festa di Primavera, altresì conosciuta in Occidente come il Capodanno Cinese. Stando al ciclo astrale asiatico, ad ogni anno del calendario lunare corrisponde un segno zodiacale, rappresentato da un animale. Il 2019 sarà l’anno del maiale, simbolo di opulenza e stabilità. Un tripudio di colori, danze popolari, concerti, arti marziali e performance artistiche hanno inaugurato i festeggiamenti, dopo il tradizionale conto alla rovescia che si è svolto in contemporanea con la Cina (7 ore di fuso). L’evento, inoltre, ha visto coinvolti, insieme ad alcune associazioni locali, l’Istituto Confucio de L’Orientale e i suoi studenti. “Da diversi anni la festa giunge a Napoli, come in altre città d’Italia, simbolo dell’apertura alla vasta comunità cinese presente sul territorio”, afferma Anna Trapani, 24 anni, iscritta al Corso di Laurea Magistrale in Lingue e Civiltà Orientali, appassionata di storia e cultura cinesi e quest’anno coinvolta direttamente nelle iniziative, insieme al collega Emanuele Scarpato. “A partire dal Capodanno – spiega Anna – le celebrazioni durano per quindici giorni, concludendosi con la famosa Festa delle lanterne (il prossimo 19 febbraio). Non ha una data fissa, perché i mesi del calendario cinese iniziano in concomitanza con ogni novilunio, di conseguenza l’inizio d’anno può variare di circa 29 giorni rispetto al calendario gregoriano, in un arco compreso tra il 21 gennaio e il 20 febbraio”. Le origini del Capodanno risalgono a un’antica leggenda, secondo cui “in Cina viveva un mostro che ogni 12 mesi usciva dalla tana per mangiare bestie e bambini e per sfuggirgli si doveva intimorirlo con rumori forti o mostrandogli il colore rosso”. Non sono mancati, perciò, i fuochi d’artificio o la rituale sfilata del leone, la cui maschera rappresenta proprio lo spirito maligno. “Ho sempre seguito la manifestazione con interesse per via del mio amore per la cultura che studio e per la passione che i docenti mi hanno trasmesso verso questa civiltà. Da quest’anno, però, mi è stato proposto di partecipare attivamente, durante i corsi che frequento al Confucio per migliorare la capacità di ascolto e conversazione”. Imparare il cinese, si sa, richiede impegno costante. “Non tanto per lo studio della grammatica, le cui regole ritengo non particolarmente complicate, quanto nell’approccio a una lingua che non ha un alfabeto. La sfida è, dunque, imparare quanti più caratteri (gli ideogrammi) per innalzare il livello della conversazione. Se conosco tanti caratteri posso parlare senza troppa difficoltà con gli altri. La sfida di chi studia cinese è leggere i giornali. Per farlo – senza l’aiuto del dizionario, intendo – occorre conoscere, infatti, almeno 5000 caratteri”. Giorni di fermento hanno preceduto l’organizzazione delle attività. “Anche solo assistere all’evento può portare i curiosi, gli studenti alle prime armi ad esempio, ad avvicinarsi sempre di più a questo mondo. Inoltre, i cinesi sono felicissimi di coinvolgere noi occidentali. Io, ad esempio, ho indossato il vestito tradizionale, il qipao. Le docenti del Confucio l’hanno prestato a chi non lo possedeva e sfileremo con ventagli e nodi portafortuna, altro elemento costante. Partecipare alla festa ti fa sentire davvero parte di quell’universo culturale”.
Sabrina Sabatino
Sabrina Sabatino







