Istituzioni di diritto romano, in pensione il prof. Melillo

“Pieno impegno universitario”. E’ la formula con cui il prof. Generoso Melillo, giusromanista di fama, riassume il modo in cui ha vissuto 54 anni all’interno dell’università. Senza dedicarsi ad altro che allo studio e agli allievi, da quando, dopo la laurea nel 1959, a 23 anni e mezzo, ha iniziato la carriera accademica. Assistente presso la cattedra di Istituzioni di diritto romano dell’Università di Napoli dal ’59 al ’75; libera docenza in Diritto romano nel ‘66; docente di Esegesi delle fonti del diritto romano dal ’69 al ’73; docente di Istituzioni di diritto romano presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Salerno dal ’72 al ’79, anno in cui fu chiamato a coprire il medesimo insegnamento nella Facoltà di Giurisprudenza di Napoli. 
All’età di 72 anni, il prof. Melillo va fuori ruolo. A partire da quest’anno (1 novembre), non terrà più il suo corso di insegnamento. Lo abbiamo incontrato nel suo studio al Dipartimento di Diritto romano F. De Martino, per la classica chiacchierata su ricordi, affetti e bilanci. Un tributo che ci piace fare ai docenti che hanno lasciato un’impronta incisiva nell’università. Ma lui non si dimostra molto entusiasta all’idea: “va bene, però evitiamo i toni commoventi”. Niente discorsi lacrimosi o romantici: qui si parla di università. Dal curriculum del professore (“un curriculum breve, essenziale. Il mio curriculum sono i libri che ho scritto”), al rapporto con gli studenti, alla fama di grande studioso ma anche di docente severo e intransigente, perfino un po’ stravagante. “La fama vola”, dice Melillo con atteggiamento distaccato, come a sottolineare che contano i fatti e le persone, non ciò che intorno ad esse si dice. Allora, partiamo da un altro studioso famoso, Antonio Guarino, di cui il prof. Melillo è stato allievo. Ha un ringraziamento da fargli, professore? “Il prof. Guarino è un maestro di cui è riconosciuta la virtù di aver comunque lasciato agli allievi piena libertà di ricerca, sia nei contenuti che nelle metodologie di studio. Ha per lunghi anni esercitato un fascino particolare, come dimostra la floridezza numerica e qualitativa dei suoi allievi”. Dagli anni al fianco di Guarino ad oggi, ha speso una vita intera nell’università. Attualmente lei non è un docente in pensione, ma un docente fuori ruolo. Cosa significa? “Significa perdere la titolarità del corso ma non altre significative capacità legate alla figura del docente ordinario, come ad esempio far parte di commissioni di concorso a cattedra, dirigere scuole di dottorato e di ricerca, avere contratti di insegnamento nella propria o in altre sedi. Tutto ciò è possibile dopo tre anni dalla cessazione della titolarità dell’insegnamento. In realtà, il problema della natura giuridica dell’andata fuori ruolo è ampiamente discusso ed ha soluzioni diverse nelle diverse università e nella stessa Federico II, dal momento che essa, allo stato della legislazione, non presuppone una presunzione di incapacità nella formazione degli allievi”. 
“Non ho mai fatto posto a indulgenze 
e privilegi”
Cosa cambierà nel suo rapporto con questa Facoltà? “Conserverò l’attaccamento alla struttura che mi ha ospitato per più di cinquant’anni, in quanto Facoltà e Ateneo. L’unico disagio per me, è probabile, sarà il distacco dall’insegnamento ai giovani”. Eppure, la sua è stata la cattedra di Istituzioni di diritto romano più temuta dagli studenti. Cosa risponde a coloro che la accusano di essere terribile? “Mi aspettavo questa domanda. Per rispondere bisogna tornare indietro a vent’anni fa, quando l’università era frequentata prevalentemente da studenti provenienti da famiglie agiate, talora assuefatti a trattamenti di stile paterno. La mia opinione è che la fama di terribile, considerato che la fama vola, possa essere stata costruita da una percentuale significativamente bassa di studenti. Appena la Facoltà di Giurisprudenza ha incominciato a raccogliere studenti provenienti anche da famiglie di media consistenza economica e di scarso potere sociale, questa fama è andata gradualmente sfumando, anche perché il trattamento didattico, di cui l’esame è solo la parte finale, non ha mai fatto posto a indulgenze o privilegi”. Chi ha orecchi per intendere intenda, ma nel frattempo riassumiamo quello che abbiamo capito noi: a coloro che erano abituati a percorre strade in discesa e scorciatoie (vedi la voce: raccomandazioni), volgarmente detti figli di papà, un professore che indicava la retta via non poteva che apparire tremendo, cattivo. E quando certe voci incominciano a diffondersi, si sa, è difficile frenarle. Nell’università di massa, però, il prof. Melillo smette di essere cattivo e diviene semplicemente un docente rigoroso ed esigente. Gli studenti, invece, come sono diventati? “Negli ultimi anni si è potuto notare una maggiore tensione degli studenti verso un apprendimento produttivo ai fini del loro avvenire lavorativo, purtroppo l’impegno di frequenza e di studio degli studenti di Giurisprudenza da un lato è divenuto più faticoso a causa delle evoluzioni intervenute nella formazione scolastica precedente, dall’altro si è scontrato con un processo socio-economico di privatizzazione che ha lasciato credere che l’esperienza di un laureato in Giurisprudenza fosse sostituibile, con salari bassi o contratti di formazione, da esperienze lavorative saltuarie o malpagate. Tuttavia, c’è la solida speranza che il Paese, e in particolare la tradizione scientifica della Federico II, nel nostro caso la Facoltà di Giurisprudenza, colgano e portino a frutto le premesse del cosiddetto 1+4”. 
Un giudizio sulla riforma della didattica? “Quest’ultimo riordino dell’insegnamento deve ripristinare non l’università del dopoguerra, ma un’università e una Facoltà di diritto che non perdano per strada gli iscritti, molti dei quali provenienti da una delle città più disagiate del Mezzogiorno d’Italia. A ciò si collega la speranza che si abbassi il tasso di mortalità infrannuale e che la complessità dei saperi giuridici continui e potenzi, quando e se occorra, il prestigio che la Facoltà giuridica napoletana si è guadagnata da secoli”. 
Sara Pepe
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