“Rimboccatevi le maniche, non credete che basti amare gli animali e siate pronti a tutto”, il Corso di Laurea in Medicina Veterinaria non è una passeggiata, ma se affrontato nel modo giusto regala grandi soddisfazioni. Ne parlano gli studenti che lo vivono quotidianamente, a 360 gradi. Le difficoltà iniziano con il test d’ingresso. “Mi sono diplomato al Liceo Classico, poi ho seguito per un anno a Biologia, perché non sono entrato subito. Ho convalidato alcuni esami e passato l’estate sugli alphatest. L’unica materia che mi è riuscita facile è stata Cultura generale, perché su Biologia, Chimica e Matematica è avvantaggiato chi proviene dal Liceo Scientifico”, spiega Giulio Grossi, al terzo anno. Immediato, ma accompagnato da palpitazioni, l’ingresso di Cecilia Di Matteo, oggi al secondo anno: “sono passata al primo tentativo. Ricordo che la fase di preparazione è stata pesante, avevo una continua ansia di non riuscire, che ho affrontato grazie ad un corso di preparazione ai test d’ingresso. Sono entrata con lo scorrimento della graduatoria, alternando crisi di panico a momenti di lucidità”, racconta. Una volta dentro, il percorso non è affatto facile. “Il futuro professionista dev’essere pronto ad entrare in campi di letame, all’eutanasia e all’esperienza del macello, dove assisti allo stordimento ed al dissanguamento degli animali”, afferma Giulio. Il 90 per cento dei neo-iscritti purtroppo non sa a cosa va incontro. “Il nostro mestiere non è solo clinica e laboratorio, è bene saperlo, ci sono professioni interessanti da coltivare, come quella dell’ispettore veterinario, che si occupa dell’igiene degli alimenti ed opera sulla prevenzione di malattie umane”, continua. La vita è sacrificata, perché “trascorri molto tempo sui libri ed in Dipartimento, oltre a fare pratica con visite cliniche, laboratori di ippiatria, buiatria e suiatria”, informa lo studente.
Il senso di
appartenenza
appartenenza
Tutto il sudore scompare davanti all’orgoglio di appartenenza. Tanti i festeggiamenti alla notizia dell’approvazione della Commissione Europea EAEVE, addetta a valutare l’idoneità delle strutture di ricovero degli animali e la qualità degli insegnamenti. “Non abbiamo solo ottenuto l’abilitazione ad esercitare la professione nel resto dell’Europa, ma ci siamo resi conto che la nostra grande famiglia ha funzionato. Anche se siamo tanti tra docenti e studenti, non c’è il distacco che ci si immagina. Sia il Direttore di Dipartimento che i professori sono sempre pronti ad ascoltarti”, aggiunge Cecilia. L’unica difficoltà incontrata dalla ragazza è stato il passaggio dal liceo all’università, “perché devi imparare ad autogestirti e ad affrontare le materie del primo anno, che sono piuttosto noiose e basilari come: Anatomia, Fisiologia, Chimica, Fisica, Matematica”. I primi due anni si soffre un po’ il decentramento: “seguiamo a via Don Bosco, a 20 minuti dal centro nevralgico di via Delpino”, conclude Cecilia. Anche Veronica Orgera, quarto anno, è d’accordo sull’importanza di non fossilizzarsi sull’immagine classica del veterinario ed aprirsi a varie branche: “in Campania ci sono diverse sedi convenzionate, come maneggi di cavalli ed aziende bufaline, non solo l’ambulatorio del Frullone, dove puoi studiare casi clinici. Abbiamo poi il canile, che accoglie animali abbandonati, e la clinica aperta 24 ore su 24 per le emergenze, dove ho trascorso diverse notti sveglia”. Nonostante le difficoltà, Veronica sarebbe pronta a riscriversi in qualunque momento: “amo quello che faccio e dal terzo anno il peso si sente meno, perché iniziano le materie professionalizzanti, come: Biotecnica, Clinica, Zootecnica”. Affrontare la pratica tutti i giorni agevola la competenza nel mondo del lavoro e nello studio: “seguiamo lezioni frontali per i primi due-tre giorni della settimana, accompagnate da laboratori nei giorni successivi. Durante il laboratorio devi mettere in pratica quello che hai compreso a lezione, perciò è indispensabile studiare volta per volta”, fa presente la collega Giusi Paone. I laboratori si trovano in diverse strutture sparse sul territorio, come il centro CReMoPAR di Eboli o il maneggio. “Ci spostiamo in gruppi con mezzi di trasporto a spese dell’Ateneo. Proprio ora sono tornata dal maneggio, dove mi sono occupata di riproduzione e problemi ortopedici di cavalli trottatori”, asserisce la ragazza. Giusi sta vivendo la sua esperienza da fuorisede e “mi trovo praticamente sempre in Dipartimento, tra corsi, esercitazioni ed internati. La struttura è un punto di riferimento per docenti, dottorandi, studenti, e il fatto che possa continuare ad esistere è una vittoria”. Il consiglio che i ragazzi danno alle future matricole all’unisono è: “preparatevi a ciò che vi attende e capite bene a cosa andate incontro. Affrontate il vostro demone, se la strada è quella giusta”.