Perché anche a Farmacia si studia Fisica?

“Questo corso deve aiutare non solo ad acquisire dei concetti, ma anche ad adeguare i propri strumenti di apprendimento alla nuova situazione, cioè all’università. Da questo punto di vista c’è anche particolare attenzione da parte mia nel procedere lentamente”. Per le matricole di Farmacia l’esame di Matematica e Fisica, come spiega il professor Vittorio Cataudella, non è solo una questione di numeri e di formule. Si tratta di un corso che, come quello di Biologia Animale e Vegetale, costituisce il primo approccio degli studenti a metodi di apprendimento completamente nuovi. Il programma di questo insegnamento prevede l’acquisizione di dieci crediti formativi. Di questi, otto sono previsti per il modulo di Fisica e due per quello di Matematica. Perché queste materie dovrebbero interessare a chi intende occuparsi di farmaci? “Sicuramente quella che insegno non è una materia caratterizzante di questo Corso, però ci sono due elementi molto importanti da tenere in considerazione. Il primo è che molta chimica e molti processi biologici hanno dei fondamenti di Fisica e di Matematica, hanno cioè un’implicazione diretta di queste discipline. Questo insegnamento serve per far capire ai ragazzi che principi di Fisica che sembrano apparentemente astrusi in realtà possono avere in questo contesto molta più importanza di quanto credono. Ad esempio, può essere fondamentale per stabilire l’altezza alla quale mettere una flebo per essere sicuri che un medicinale entri in vena. L’altro punto è più metodologico e più concettuale e dipende dal fatto che, dato che a scuola si fa poco, gli studenti si confrontano per la prima volta con una disciplina scientifica. All’università si pone l’accento su uno degli aspetti fondamentali di queste materie che, al di là della spiegazione dei contenuti specifici, è quello di insegnare il rigore e il metodo scientifico. Il corso spinge verso la direzione di dati concettuali piuttosto che verso la capacità di fare le cose, perché è chiaro che professionalmente non devono fare i fisici, però devono avere quel quadro di riferimento che gli permetta di non fare stupidaggini quando affrontano altri argomenti”.
Per costruire quel bagaglio di conoscenze, durante il corso vengono forniti elementi di Matematica come le equazioni, i sistemi lineari, la rappresentazione grafica di semplici funzioni, il concetto di derivata e il calcolo di un’area. Si articola in tre sezioni, invece, il programma di Fisica. Una prima parte, dedicata alla Cinematica e alla Meccanica, si concentra su argomenti quali i principi della dinamica, i fluidi e la conservazione della quantità di moto. Si passa quindi alla seconda parte sull’Elettromagnetismo durante la quale ci saranno lezioni su tematiche come la Legge di Coulomb, quella di Gauss e quella di Ohm. Chiude il programma un accenno alla Fisica moderna, con particolare riferimento al modello di Bohr dell’atomo di idrogeno. Due sono i libri di testo consigliati dal docente per questo esame: “Principi di Fisica” di R. A. Serway e J. W. Jewett e “Metodi matematici per un corso introduttivo di Fisica” di Davidson. Per la parte di Fisica, inoltre, allo studente viene lasciata la possibilità di adottare qualsiasi altro manuale equivalente di livello universitario.
Limitarsi a imparare la teoria serve a poco: “gli studenti vengono esposti a una serie di concetti. Riescono a padroneggiarli se hanno determinazione e voglia di impararli. Ma al di là di questo, c’è una difficoltà fondamentale: utilizzare queste nozioni in un contesto specifico. Di solito lo studente va in difficoltà quando, di fronte a un problema, gli si chiede quale dei concetti che ha imparato è rilevante per risolverlo. Invece quello che conta veramente è sapere di fronte a un quesito cosa si può fare e cosa invece è inutile ai fini di una qualsiasi soluzione”. Non ci sono solo lezioni frontali: “facciamo delle esercitazioni nelle quali si cerca, non sempre raccogliendo la disponibilità, di coinvolgere gli studenti. Gli errori che fa un ragazzo, se esposti a tutti gli altri, sono spesso molto più utili che imparare ascoltando uno che le cose le sa fare e le racconta. È chiaro che è imbarazzante, perché nessuno vorrebbe esporsi, però sbagliando si impara”. Già dopo qualche mese di lezione si può valutare la propria preparazione con “una prova intercorso a fine novembre – inizio dicembre. Serve sostanzialmente ad avvertire i ragazzi di come stanno andando le cose e se lo studio che hanno svolto fino a quel punto è sufficiente per superare l’esame. È inutile farli arrivare fino a gennaio, quando ormai è tardi per rendersi conto di aver sbagliato qualche cosa”. Un’altra prova è prevista a fine corso. “L’esito di queste due verifiche ci permette una prima valutazione. In seguito, si passa ad un esame orale. Se dalle due prove emerge che non ci sono le condizioni per proseguire, allora invito gli studenti a rivedere la propria preparazione e a colmare le lacune”.
Chi non supera la prova intercorso può comunque sostenere l’esame a gennaio: “c’è un esame scritto e un esame orale. Nella maggior parte dei casi, purtroppo, lo scritto non è sufficiente. Anche se mi accontento di un piccolo contributo. Gli studenti, cioè, devono dimostrare di avere acquisito un minimo di competenze. Una volta superato questo scoglio minimo, possono accedere al colloquio, ed è qui che si forma la valutazione finale”.
È importante studiare seguendo il metodo più adatto: “consiglio di lavorare molto sugli esercizi. Acquisiti i concetti fondamentali, bisogna avere la padronanza di stabilire quale dei tanti è rilevante in un contesto specifico. Ovviamente è consigliabile anche la frequenza”. E può avere i suoi vantaggi pure sfruttare la possibilità di incontrare il docente durante il ricevimento del martedì, dalle 13 alle 15 nell’aula docenti della sede di Farmacia: “di solito gli studenti cominciano a venire a fine corso, quando l’esame è alle porte. Ma sarebbe per loro molto utile anticiparsi”.
Ciro Baldini
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