Placido Illiano, ex studente in CTF, oggi ricercatore a Miami

Ha vinto il premio come autore del Miglior Poster ‘Giovani Ricercatori’ nel campo della ricerca sulla Sclerosi Multipla. Placido Illiano, ex studente di Chimica e Tecnologia Farmaceutiche (CTF) alla Federico II, oggi ricercatore all’Università di Miami, si è aggiudicato il riconoscimento con il progetto ‘The Miami project to cure paralysis’ coadiuvato dalla dott.ssa Roberta Brambilla. Un verdetto inaspettato: “il lavoro di ricerca pre-clinico  che ho svolto è molto tecnico e complesso, da laboratorio. Pensavo, invece, potesse vincere qualche lavoro sui pazienti, ma mi sbagliavo”, commenta. La ricerca consiste nello studio “dei processi infiammatori della sclerosi multipla, in particolare studiamo lo stato infiammatorio del sistema nervoso centrale”. 
L’amore per la ricerca di Illiano viene da lontano: “da quando avevo dieci anni, il mio obiettivo è sempre stato quello di andare a fare ricerca in America. Così, dopo il Liceo Scientifico, mi sono iscritto a CTF, un po’ perché alle superiori andavo bene in quelle materie, un po’ perché il primo biennio di studio non mi sembrava molto carico di discipline complesse”. Inoltre “avevo  voglia di seguire un percorso di durata quinquennale, come CTF”. La vera passione sboccia al secondo anno: “Quando ho scoperto di aver fatto la scelta giusta. Ho iniziato a studiare materie più specialistiche come la Chimica Organica. Più il lavoro diventava duro, più mi convincevo di dover resistere. Il carico di studi è stato notevole. Praticamente ero in Dipartimento tutti i giorni dalle 9.00 alle 17.00, ma non mi pesava”. Quando arriva il momento della tesi, la scelta cade su “quella sperimentale che prevedeva un tirocinio diverso da quello in farmacia. Sono stato all’Istituto di Cibernetica di Pozzuoli quando mi restavano ancora 6 esami da sostenere. Alla fine, nonostante l’impegno gravoso, ho vissuto un’esperienza di laboratorio completa pre-laurea”. Il traguardo arriva nel 2011 (in 5 anni e una sessione) con la discussione della tesi – la cui realizzazione è durata 16 mesi – coronata dal massimo dei voti. “Mentre lavoravo alla tesi, avevo  presentato domanda di dottorato negli Stati Uniti, conseguendo anche le due certificazioni richieste: quella per la lingua e il GRE (un test che si chiede a tutti quelli che vogliono svolgere un dottorato negli USA)”. Purtroppo: “La domanda non fu accettata, il capo laboratorio di quell’equipe vinse il Nobel per la Fisica quell’anno e venni scavalcato da centinaia di ricercatori di tutto il mondo”. Però mai perdersi d’animo: “Dopo un congresso, sono stato contattato dall’Istituto Italiano di Tecnologia a Genova (Dipartimento Neuroscienze), dove si era aperta una posizione di dottorato”. Ad aprile 2015 la conclusione del dottorato. E la partecipazione “ad un Congresso mondiale sulle Neuroscienze dove presentai 4 progetti. In quella sede conobbi quello che sarebbe diventato il mio primo capo a Miami. Qualche giorno dopo il congresso, nel settembre 2015, sono volato negli Stati Uniti”. Ancora  formazione: “Ho studiato per 16 mesi il cervello umano perché volevo avere la stessa preparazione degli americani (che hanno dottorati più lunghi dei nostri). Volevo essere competitivo. Nel 2017 ho iniziato a lavorare con il team che mi ha permesso di vincere il premio”. 
“Ho saputo stringere i 
denti ed aspettare”
Un ragazzo prodigio? “Non mi definirei così. Io di geni e scienziati ne ho visti tanti e non rientro nella categoria. Sono stato solo uno studente che si è mosso in tempo. Ai ragazzi dico che occorre autoprodursi. La mia storia non è diversa da quella di altri ricercatori, non ho fatto nulla di speciale, se non sapere con forte determinazione dove volevo arrivare”. La dott.ssa Brambilla, a capo del progetto italiano finanziato dalla Fondazione Italiana Sclerosi Multipla, “mi ha scelto perché cercava un ragazzo italiano, con i giusti requisiti, da poter finanziare. Durante la tesi avevo fatto esperienza in laboratorio e questo mi ha aiutato ad ottenere la borsa di studio di ricerca junior. Ogni anno, infatti, i ricercatori, durante la settimana dedicata alla malattia, sono invitati in Italia per portare il resoconto della ricerca svolta. Ed è lì che ho ottenuto il premio”. 
Nel raggiungimento del successo ha giocato di sicuro “la preparazione di base che mi ha fornito la Federico II. Da un punto di vista teorico siamo i migliori e ci distinguiamo da tutti, anche a livello internazionale”. Discorso diverso dal punto di vista sperimentale: “se ho avuto qualche possibilità di fare esperienza, è stato solo grazie alla tesi svolta in ambiente esterno”. Un consiglio: “è fondamentale conoscere l’inglese sia ad un livello personale che professionale. Conoscere l’inglese apre un mare di collaborazioni e conoscenze da sfruttare”. 
Da quattro anni in America, Illiano, originario di Bacoli nei Campi Flegrei, non ha ancora voglia di ritornare in Italia: “Per un ricercatore è necessario permanere per lavoro all’estero. Non dico solo negli USA, ma anche in Cina, in Canada – dove pure sono stato – È importante formarsi al di fuori del proprio contesto. Ho 32 anni e una lunga strada ancora da percorrere”. Agli studenti cosa direbbe? “Nessuno mi ha regalato nulla e non mi è venuto tutto semplice. Ho ricevuto tanti no, ci sono restato male, ho fatto tanti sacrifici ma non ho mai perso l’interesse per ciò che mi piaceva. Sotto esame studiavo anche 10 ore al giorno. Però è importante ritagliarsi uno spazio per la vita personale, altrimenti si impazzisce”. Quindi: “Ci si deve mettere d’impegno e con il tempo tutto viene. Non mi sono mai preoccupato di avere un ritorno immediato dei miei sacrifici. Nei momenti di sconforto ho saputo stringere i denti ed aspettare”. 
Susy Lubrano
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