Il 15 dicembre gli studenti di Scienze Naturali e più in generale del Dipartimento di Biologia potranno vedere in tempo reale come lavorano e come vivono le persone che sono impegnate nei progetti di ricerca in Antartide.
“Ci collegheremo alle 9 di mattina, al Polo Sud saranno le nove di sera, con la base scientifica che è nella Baia di Terranova dalla Sala del Consiglio. Lì è impegnata, tra gli altri, Emanuela Serino, dottoranda in Biologia. La sta per raggiungere Lorenza Maria Campoli che sta frequentando il dottorato di ricerca Scienze Polari, cofinanziato dall’Università Federico II, a Cà Foscari”, dice la prof.ssa Olga Mangoni, Coordinatrice dei Corsi di Laurea in Scienze Naturali.
La missione delle due giovani ricercatrici è quella di partecipare ad un progetto coordinato dall’Ateneo federiciano – Principal Investigator è proprio la prof.ssa Mangoni – ed al quale collaborano anche l’Università Parthenope, il Cnr e la Stazione Zoologica Dohrn. “Si chiama PACE, che sta per Plankton production and carbon flux in Antartic Coastal Ecosystems. L’obiettivo è studiare il plancton e il flusso di carbonio nelle acque costiere di Baia di Terranova.
I ricercatori hanno iniziato a campionare a metà novembre e proseguiranno fino a febbraio. Prelevano carote di ghiaccio marino, analizzano sedimenti e monitoreranno la fioritura planctonica”. Specifica: “Il plancton ha una funzione essenziale per la catena trofica e svolge anche un ruolo molto significativo nel sequestro della CO2 perché la utilizza nei suoi processi metabolici. Il progetto intende acquisire dati su tutto ciò, anche per verificare se e come i mutamenti climatici stanno modificando questi processi”.
“Un’esperienza magica e indimenticabile”
Serino, la dottoranda federiciana, ha raggiunto la base nella Baia di Terranova a bordo di un aereo militare, la sua collega Campoli arriverà in Antartide tra poco a bordo della rompighiaccio Laura Bassi, da alcuni anni impegnata nella missione italiana al Polo Sud, che è finanziata dal Ministero dell’Università su fondi del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide. L’imbarcazione ha levato le ancore dalla Nuova Zelanda.
“Ogni mattina e ogni sera – racconta la prof.ssa Mangoni – mi metto in contatto con le due ricercatrici che sono lì nell’ambito del progetto che coordino. Avverto il peso e la responsabilità di questo viaggio che per due giovani come loro è tanto stimolante e entusiasmante quanto impegnativo. Situazione che conosco bene: andai per la prima volta in Antartide nel 1994, quando mi ero da pochissimo laureata. Whatsapp non esisteva, era davvero complicatissimo parlare con i familiari in Italia. Provavo la sensazione di stare fuori dal mondo, in un tempo quasi sospeso. Sono poi tornata lì in altre dieci missioni.
L’ultima nel 2017”. Prosegue: “Si lavora molto laggiù, si vola in elicottero e ci si sposta sulle slitte. Le pause sono pochissime. Il freddo complica tutto, per quanto gli equipaggiamenti siano di prim’ordine, e a volte i venti catabatici impediscono perfino di rimanere all’aperto. Non è una missione di tutto riposo, insomma. Ciononostante ancora oggi quando si parla di Antartico mi viene il vuoto nella pancia.
La luce che c’è lì in estate dà una vitalità diversa. L’immensità del bianco senza rumori, il vento, il lavoro di squadra in collaborazione tra ricercatori e tecnici, l’immagine del vulcano Melbourne, che dista circa 50 chilometri dalla base ma appare vicino perché l’aria lì è molto tersa: tutti questi elementi rendono l’esperienza della missione in Antartico magica e indimenticabile per chi l’abbia vissuta almeno una volta”.
Fa.Ge.
Scarica gratis il nuovo numero di Ateneapoli
Ateneapoli – n.19-20 – 2025 – Pagina 16







