Ad un anno dalla scadenza del mandato rettorale del prof. Matteo Lorito al vertice dell’Università Federico II, c’è già fermento per la successione. Il primo passo è stato fatto il 23 settembre, quando il prof. Santolo Meo, ordinario ad Ingegneria, ha ufficializzato la sua candidatura con una lettera trasmessa a docenti, studenti ed al personale tecnico-amministrativo dell’Ateneo, e con un’intervista pubblicata sullo scorso numero di Ateneapoli. A poco più di una settimana, con le stesse modalità avanza la candidatura anche il prof. Andrea Mazzucchi, Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici, che abbiamo intervistato per meglio conoscere motivazioni ed obiettivi.
Prof. Mazzucchi, cosa l’ha spinta a presentare la sua candidatura a Rettore?
“La mia candidatura nasce come un progetto condiviso, un’idea che sto costruendo insieme a molti colleghi. È un percorso che mira a creare una visione comune e partecipata, un vero piano di sviluppo per l’Ateneo. Per guidare un’università grande e complessa come la nostra serve tempo, confronto e programmazione: per questo ho ritenuto importante avviare per tempo un dibattito, così come hanno fatto altri colleghi prima di me”.
Quali sfide ritiene più urgenti per il prossimo futuro dell’Ateneo?
“Stiamo entrando in un periodo complesso. Le risorse economiche saranno probabilmente più limitate e ci troveremo a fronteggiare l’emergenza dell’‘inverno demografico’, che avrà effetti diretti sugli studenti e sull’organizzazione universitaria. È fondamentale essere preparati, condividere le scelte strategiche – anche quelle più difficili – e affrontare insieme le conseguenze per il futuro dell’Ateneo”.
Come immagina la governance dell’Università sotto la sua guida?
“Mi piacerebbe istituire una consulta dei Direttori di Dipartimento, un luogo di confronto e condivisione di esperienze e competenze. Non avrebbe potere deliberativo, ma rappresenterebbe uno spazio di ascolto e proposta per armonizzare esigenze diverse e migliorare il coordinamento tra le strutture”.
Lei proviene da un ambito umanistico: come risponde a chi ritiene che gli umanisti siano meno adatti alla gestione?
“Credo che sia un pregiudizio ormai superato. L’idea dell’umanista chiuso tra i libri non ha più senso. Anche noi umanisti possediamo forti competenze gestionali: lo dimostra la mia esperienza di Direttore di uno dei Dipartimenti più grandi d’Italia, dove in cinque anni abbiamo compiuto progressi notevoli, anche sul piano delle risorse ottenute attraverso progetti competitivi. Per governare bene un’Università serve una visione intellettuale alta, unita a una solida capacità gestionale. Solo una delle due dimensioni non basta: la sola gestione ridurrebbe l’Università a un’azienda, la sola visione rischierebbe di restare un’utopia”.
Quale ruolo attribuisce all’Università nel contesto sociale, in particolare nel Mezzogiorno?
“Credo fortemente che l’Università debba riattivare l’ascensore sociale, soprattutto nel Sud e in Campania. Dobbiamo offrire a chi ha talento e impegno gli strumenti per costruire competenze e identità professionale. È un tema che mi tocca da vicino: la mia stessa storia personale nasce da un percorso formativo che mi ha dato tanto in termini di crescita, opportunità e senso di appartenenza. La mia candidatura è anche un modo per restituire qualcosa a questo luogo”.
Ha più volte parlato di servizi agli studenti come priorità. Cosa intende concretamente?
“Sì, è una priorità assoluta. La qualità della formazione resta il nostro obiettivo principale, ma non basta. Dobbiamo investire molto di più nei servizi agli studenti – mense, residenze, spazi di studio, supporto amministrativo – perché la concorrenza con altri atenei, anche telematici, è crescente. Con il calo demografico rischiamo un impoverimento dell’Ateneo: per essere attrattivi non basta l’eccellenza della ricerca, servono condizioni di vita e studio adeguate. È un tema che richiede collaborazione con le istituzioni, ma va posto con forza come cruciale per il nostro futuro”.
Come intende valorizzare le giovani generazioni di ricercatori?
“Questo è un punto centrale. Dobbiamo garantire ai giovani stabilità e prospettive. Il precariato non è solo un problema umano, ma anche scientifico: senza sicurezza non si può programmare ricerca di qualità. Serve un reclutamento serio, fondato sul merito e sull’eccellenza, ma anche un impegno a superare la precarietà. Il nostro Ateneo, il più grande del Mezzogiorno, ha la forza per porre questi temi con autorevolezza nel dibattito nazionale”.
Come vede l’evoluzione della didattica?
“La didattica in presenza è un valore irrinunciabile: l’università è un luogo vivo, di relazioni, scambio e crescita personale. Tuttavia, l’esperienza recente ci ha insegnato quanto possano essere utili le tecnologie digitali. Dobbiamo valorizzarle per integrare, non sostituire, la presenza. L’obiettivo è una didattica innovativa che sfrutti il meglio dei due mondi”.
Come pensa di rafforzare la capacità dell’Ateneo di attrarre progetti e finanziamenti?
“È indispensabile potenziare la nostra capacità di partecipare a progetti competitivi nazionali e internazionali. Per farlo serve un’organizzazione più efficiente della terza missione e una valorizzazione reale del personale tecnico-amministrativo, che svolge un ruolo essenziale nella gestione dei progetti e nella ricerca di fondi”.
Qual è la sua visione sull’accoglienza degli studenti fuorisede e internazionali?
“Voglio che uno studente che arriva a Napoli, da un’altra regione o dal Mediterraneo, trovi un ambiente accogliente, servizi adeguati e condizioni di studio serene. Non possiamo più permettere che gli studenti vadano altrove non per la qualità della didattica, ma per mancanza di servizi. Vorrei, inoltre, ampliare l’offerta formativa per studenti non italofoni, rafforzando i legami con i paesi del Mediterraneo, dai Balcani al Nord Africa”.
Che ruolo attribuisce al personale tecnico-amministrativo nel suo progetto?
“Un ruolo fondamentale. Va riconosciuto e valorizzato pienamente, garantendo formazione, aggiornamento e percorsi di premialità. Immagino un Ateneo con una maggiore interconnessione tra gli organi centrali e le strutture periferiche, favorendo anche una più ampia autonomia dei Dipartimenti. Mi piacerebbe introdurre commissioni miste tra docenti e personale tecnico-amministrativo, per creare un dialogo costruttivo e condividere competenze e bisogni”.
In sintesi, quale Università immagina per il futuro?
“Un’Università capace di coniugare visione e concretezza, dove il sapere non è solo trasmissione ma costruzione di comunità, dove studenti, ricercatori e personale crescono insieme.
Un Ateneo che torni ad essere motore di mobilità sociale, innovazione e cultura, nel segno della responsabilità e della partecipazione”.
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Ateneapoli – n.16 – 2025 – Pagina 3