Architettura del paesaggio, una disciplina da valorizzare

Quando cade un albero, soprattutto se questo evento provoca danni a cose o persone, riprende slancio il dibattito sulla manutenzione del verde urbano, che non di rado è carente, complici la mancanza di fondi e di agronomi negli uffici del verde di molte città.

Questi eventi, però, nascono, oltre che dalla manutenzione non adeguata e dalla sempre maggiore frequenza di eventi meteorologici estremi (venti fino a 100 chilometri orari, per esempio), anche da una progettazione che spesso manca e che potrebbe individuare le migliori soluzioni per la scelta delle piante, la messa a dimora e la valorizzazione del paesaggio. Compiti questi degli architetti del paesaggio in collaborazione con altri professionisti, dagli agronomi agli urbanisti.

Il 4 dicembre a Palazzo Gravina, mentre andiamo in stampa, si svolge un convegno promosso proprio dai docenti del settore dell’Architettura del paesaggio. Il titolo: ABC alberi, bosco e città. Evento a cura di Daniela Colafranceschi, Ludovica Marinaro, Giulia Marino e Manuel Orabona, tutti in forza al Dipartimento di Architettura.

Diversi gli interventi, durante i quali sono presentati casi di progettazione particolarmente significativi, discussi problemi e criticità. “Un incontro pluridisciplinare e aperto a varie competenze – racconta la prof.ssa Daniela Colafranceschi, che insegna Architettura del paesaggio nel Corso di Laurea quinquennale in Architettura e nell’ambito del Laboratorio di Progettazione architettonica e del paesaggio – dedicato, oltre che agli studenti, ai colleghi della scuola di architettura del paesaggio ed ai professionisti che operano nel settore”.

L’architettura del paesaggio “è una disciplina autonoma e specifica che però ancora oggi troppo spesso è messa insieme alla progettazione oppure all’urbanistica. È chiaro che il progetto di paesaggio è sempre culturalmente trasversale, si avvantaggia di discipline diverse. Servono l’agronomo, il botanico, l’urbanista, ma l’architettura del paesaggio ha una sua identità”.

In prospettiva: “mi piacerebbe molto che fossero incrementate l’offerta formativa e l’applicazione disciplinare dell’architettura del paesaggio. Ho insegnato 32 anni a Reggio Calabria in una scuola di docenti molto importante e abbiamo portato avanti diversi progetti con le amministrazioni pubbliche. Sarebbe bello se si riuscisse a realizzare qualcosa di simile a Napoli”. Purtroppo, sottolinea la docente, “gli Ordini degli architetti e paesaggisti nazionali non ci permettono di fare granché. Piste ciclabili, marciapiedi, giardini.

Se mettiamo a confronto il ruolo dell’architetto del paesaggio in Italia con quello che ha in Francia, la differenza è abissale. Lì è il regista delle grandi progettazioni in ambito urbano”. Tra tanti architetti, qualche agronomo e qualche urbanista, al convegno è stata invitata anche una scrittrice: Antonella Cilento.

“Le ho chiesto di partecipare – racconta la prof.ssa Colafranceschi – perché tempo fa, mentre ero a casa a fare cose varie e orecchiavo un programma su Radio 3, ho ascoltato Cilento che parlava della foresta di Cuma. Ricordava che durante la pandemia da Covid era l’unico posto dove poteva andare, non so perché, e ne ha parlato come nessun architetto paesaggista avrebbe potuto fare. Il racconto della foresta di Cuma è contenuto nel suo libro ‘Solo di uomini il bosco può morire’, che mi ha colpito anche per un altro motivo, molto personale.

Sulla copertina c’è il disegno di un albero che è stato tratto dal libro di un architetto paesaggista francese molto noto. Si chiamava Jacques Simon, è morto una decina di anni fa ed è stato il mio maestro”. Sul ruolo che gli alberi hanno svolto e su quello che potranno svolgere nella costruzione della città del XXI secolo interviene la ricercatrice Ludovica Marinaro: “Oggi che la foresta urbana ha cessato di essere un ossimoro ed ha iniziato a ri-abitare le agende di trasformazione di molte città, anche in Italia, è necessario e urgente riflettere sul suo significato profondo e sul potenziale di innovazione estetica, ambientale e del sistema di valori su cui fondare il progetto dello spazio urbano e le sue politiche di gestione”.

Tutto ciò nella consapevolezza che “sono stati gli alberi a creare l’atmosfera, le condizioni necessarie allo sviluppo della vita terrestre e che dal loro comportamento possiamo apprendere ancora molto. Soprattutto oggi, mentre cerchiamo nuove forme di equilibrio. Immersi come siamo in una condizione di grandi cambiamenti globali”.
Fabrizio Geremicca

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Ateneapoli – n.19-20 – 2025 – Pagina 15

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