Dipartimento di Scienze Sociali. Tra talento globale e barriere locali: il paradosso della Magistrale Internazionale Digisoc

“Su 205 application, 105 studenti hanno superato con successo il test d’ingresso, ma oggi abbiamo solo 25 iscritti”. Una frase secca, quasi paradossale, quella con cui il prof. Emiliano Grimaldi, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi al Dipartimento di Scienze Sociali, Coordinatore del Corso di Laurea Magistrale Internazionale Digital Society, Social Innovation and Global Citizenship (Digisoc), sintetizza una delle più evidenti contraddizioni dell’istruzione superiore europea: l’impossibilità, per decine di studenti meritevoli, di accedere al percorso di studi per motivi puramente burocratici.

Il Corso, promosso dalla Federico II insieme all’Università di Innsbruck (Austria) e alla Palacký University di Olomouc (Repubblica Ceca), è nato per formare figure professionali capaci di unire competenze digitali, spirito critico e consapevolezza globale. Un programma innovativo, multicampus, pensato per attrarre studenti da tutto il mondo. E, infatti, la risposta non si è fatta attendere: più del doppio delle candidature rispetto ai posti disponibili.

Ma la selezione, superata da oltre cento candidati, si è poi trasformata in un’esclusione silenziosa per oltre due terzi di loro. “Purtroppo, la storia non è quella che speravamo. Il Corso è a numero chiuso, ma non abbiamo raggiunto i 90 iscritti previsti. Molti studenti extra-UE non sono riusciti ad ottenere il visto per entrare in Italia, Austria o Repubblica Ceca”, spiega il prof. Grimaldi.

La maggioranza degli ammessi era composta da studenti senza cittadinanza europea, provenienti da paesi come Nigeria, Bangladesh, Pakistan, Indonesia e persino Canada. Tuttavia, le tempistiche per ottenere un visto di studio si sono rivelate incompatibili con quelle delle università europee, lasciando fuori giovani perfettamente idonei dal punto di vista accademico.

Il caso emblematico è quello di uno studente nigeriano, che – nonostante avesse presentato domanda a inizio luglio – ha ricevuto la prima data utile per l’avvio della procedura l’8 dicembre, tre mesi dopo l’inizio ufficiale del Corso. “Non sono situazioni rassicuranti”, commenta il professore. E non lo sono davvero. Perché mostrano come, al di là delle dichiarazioni sull’internazionalizzazione dell’istruzione, le barriere amministrative continuino a decidere chi può o non può accedere al sapere.

Ed è un peccato, perché il Corso è tra i progetti più innovativi del panorama universitario europeo. Finanziato nell’ambito del programma Erasmus+, è stato già riconosciuto dalla Commissione Europea come ‘flagship project’, un progetto di riferimento a livello continentale. Le attività sono iniziate ufficialmente il 29 settembre con due settimane introduttive, durante le quali sono stati presentati gli obiettivi formativi, i servizi, il piano di studi e i tre grandi pilastri teorici: società digitale, cittadinanza globale e innovazione sostenibile.

Le lezioni si tengono in aule collegate tra loro in tempo reale – da Napoli (con sede al polo di San Giovanni a Teduccio) a Innsbruck a Olomouc – attraverso tecnologie audio-video avanzate, tavoli collaborativi e piattaforme open source per l’apprendimento integrato. Gli studenti, anche se distribuiti fisicamente in tre sedi, lavorano insieme su progetti comuni, alternando momenti di lezione frontale (pochi) a task di gruppo virtuali in aule connesse.

“La nostra idea è formare profili capaci di integrare saperi tecnologici e umanistici, per leggere l’innovazione digitale non come un fenomeno solo tecnico, ma come un processo sociale, politico, economico e culturale”, racconta il prof. Grimaldi. E nonostante tutto, gli studenti che sono riusciti ad accedere al Corso stanno vivendo l’esperienza con entusiasmo. “Abbiamo già ricevuto messaggi di ringraziamento. Parole semplici, ma che ci hanno davvero toccato. È stato un riconoscimento anche per noi, per tutto il lavoro fatto”.

Ma non basta. Perché il vero punto critico resta aperto. Come garantire davvero un accesso equo all’istruzione internazionale? Come evitare che siano le ambasciate, più che le università, a decidere il futuro formativo di uno studente? Il prof. Grimaldi non si arrende: “La sfida ora è quella di superare queste barriere procedurali e disegnare un meccanismo d’iscrizione che, già dal prossimo anno, consenta di includere tutti quegli studenti che, né per loro volontà né per colpa nostra, sono rimasti fuori”.

È una sfida urgente. Perché se l’Europa vuole davvero formare una cittadinanza globale, non può lasciare che i confini amministrativi decidano chi ha diritto all’istruzione. DIGISOC ha dimostrato di funzionare. Ha creato una comunità di apprendimento interculturale, ha attirato attenzione istituzionale e ha messo in rete università, docenti e studenti in una struttura didattica all’avanguardia. Ma la sua piena realizzazione dipenderà dalla capacità del sistema di non tradire il talento, ovunque si trovi. E oggi, questo talento bussa alle porte dell’Europa. Ma non sempre riesce a entrare.
Lucia Esposito

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Ateneapoli – n.16 – 2025 – Pagina 17

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