“Questo laboratorio è importante, secondo me, per risvegliare le coscienze e gli animi delle persone”, dice con molta convinzione Giuseppe Parisi, studente di 24 anni in Relazioni Internazionali e Analisi di Scenario. Nella Sala Dainelli del Dipartimento di Scienze Politiche, il 25 novembre, la crisi umanitaria in Sudan è diventata protagonista in un’esperienza diretta, raccontata, analizzata e simulata.
È successo durante il secondo incontro del laboratorio di Diritto Internazionale Umanitario, realizzato con Medici Senza Frontiere (MSF), che ha coinvolto un gruppo selezionato di studenti, 25, in un lavoro sul campo simulato capace di restituire l’urgenza di uno dei conflitti più sanguinosi e dimenticati del mondo.
A introdurre i lavori è stata la prof.ssa Rita Mazza, docente di Diritto Internazionale, che ha richiamato l’attenzione su un conflitto troppo spesso ai margini dell’informazione.
Ha ricordato il numero altissimo di civili uccisi, sfollati e rifugiati, e quelle immagini satellitari che mostrano “macchie rosse” sulla superficie terrestre: corpi lasciati a terra, “testimonianza feroce di una guerra che usa perfino la fame come arma”. “Oggi – ha spiegato – vogliamo accendere un faro su uno scenario parzialmente noto. Le simulazioni ci permetteranno di entrare nelle dinamiche reali del conflitto. Questo laboratorio ha un’utilità enorme per questi studenti perché ho sempre ritenuto che scendere in campo concreto, sebbene con scenari simulati, ma accaduti davvero, dia la possibilità di capire quale sia il campo di applicazione di quelle norme che si studiano in aula, e questo ne è il vero valore aggiunto”.
Il passaggio dal quadro generale alla realtà operativa è arrivato con Giuseppe De Mola, operatore MSF, che ha illustrato il lavoro dell’organizzazione in Sudan e in altri scenari di crisi. “Del Sudan si parla pochissimo, eppure è uno dei conflitti più duri in corso”, ha detto. Il suo intervento ha mostrato agli studenti ciò che a volte si fa fatica a immaginare, vale a dire che “l’azione umanitaria non è fatta solo di medici e medicine, ma di negoziati continui, analisi del territorio, capacità di muoversi tra attori legali e istituzioni fragili. La negoziazione è fondamentale. Senza accordi, nessun intervento può partire”.
De Mola sottolinea l’importanza di questo laboratorio non solo nel sensibilizzare ma anche nel “mostrare agli studenti le varie figure professionali che fanno parte di una ONG”.
Il laboratorio ha portato gli studenti al centro di questa complessità. Divisi in gruppi, si sono confrontati con dilemmi umanitari reali, tratti da episodi vissuti sul campo da MSF: decisioni difficili, spesso senza una soluzione perfetta, che richiedono valutazioni rapide e conseguenze concrete. Ogni gruppo ha lavorato come se fosse una équipe operativa, mettendo in discussione priorità, strategie e rischi.
Le simulazioni sono state poi discusse con una restituzione plenaria, nell’ultima parte del laboratorio, con Chiara Lodi, coordinatrice medica di MSF in Sudan, collegata da remoto, che ha riportato ogni scelta allo scenario reale da cui era tratta, ascoltando anche gli studenti e valutando eventuali azioni più opportune.
Per il dott. De Mola e la prof.ssa Mazza, l’obiettivo è stato pienamente centrato.
Entrambi sottolineano come il laboratorio dia agli studenti la possibilità di applicare nella vita di tutti i giorni in modo concreto le nozioni che fanno parte del loro Corso di studio, “di applicarle in contesti specifici in relazione anche all’azione umanitaria – sottolinea De Mola – Porteranno con loro anche la curiosità di capire meglio come funziona un’organizzazione umanitaria e magari, chissà, anche un desiderio che potrebbe nascere di far parte di questo tipo di interventi e quindi di un’organizzazione umanitaria come MSF”.
L’iniziativa rientra nell’Open Badge “Negoziare la pace”, un percorso formativo interdisciplinare con lo scopo di costruire le competenze trasversali per comunicare, mediare e gestire le complessità attraverso il lavoro di gruppo, e “potrebbe essere riproposta nei prossimi anni, data la forte richiesta e il numero limitato di posti disponibili”, racconta la prof.ssa Mazza. Per molti degli studenti che vi hanno preso parte, resterà un passaggio significativo del loro percorso, un’esperienza capace di mostrare che dietro ogni notizia di guerra ci sono scelte, volti, responsabilità.
“Gli operatori ci mostrano anche le difficoltà che le ONG incontrano in questi scenari di negoziazione con le autorità locali per l’accesso dei civili in determinate zone. Gli studenti quindi ne escono con un bagaglio personale rafforzato”, conclude la prof.ssa Mazza.
Annamaria Biancardi
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Ateneapoli – n.19-20 – 2025 – Pagina 26







