Sull’isola di Culuccia, nel nord della Sardegna, con altri ricercatori per monitorare la fauna. È la nuova avventura del prof. Domenico Fulgione, zoologo e naturalista al Dipartimento di Biologia. “Siamo stati lì recentemente – racconta – nell’ultima decade di novembre”.
Culuccia ha una storia particolarissima che pochi conoscono al di fuori dei sardi e che raccontano sul sito dedicato al progetto Stella e Marco Boglione (lui è tra l’altro il titolare della Robe di Kappa), proprietari dell’isolotto. È stata fino al 1996 nel patrimonio della famiglia Sanna, possidenti noti in tutta la Gallura. Dal 1923 al 1996 l’unico abitante dell’isola è stato Angelo Sanna, conosciuto da tutti come Ziu Agnuleddu. Arrivato alla Culuccia dopo aver abbandonato il suo lavoro di ufficiale postale a Santa Teresa, si ritirò, come un eremita, sulla sua isola, con un cane e una cavalla.
Viveva allevando maiali, caprette e mucche senza elettricità e acqua corrente. Per muoversi dall’isola aveva due barche: un chiattino usato prevalentemente per la pesca e un gozzo in legno che usava per andare alla Maddalena o a Santa Teresa. Ziu Agnuleddu rifiutò diversi progetti di speculazione immobiliare e morì a 94 anni. Nel suo testamento trasmise la proprietà di Culuccia all’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro. La piccola isola fu poi acquistata da due facoltose famiglie italiane e dal 2017 Marco Boglione ne è diventato l’unico proprietario.
“Boglione mi contattò a settembre di un anno fa – racconta Fulgione – Aveva letto alcune cose su di me, mi parlò dell’azienda agricola che aveva impiantato sull’isola e mi chiese se sarei stato disposto a dedicare alcuni giorni all’anno a ricerche sulla genetica e sulle caratteristiche degli animali che sono presenti a Culuccia. Io amo la natura e le novità verso le quali mi spinge il lavoro che svolgo. Ho accettato con convinzione e ho iniziato un lavoro molto interessante e stimolante.
Quell’isola è un piccolo (è lunga tre chilometri e larga due) paradiso per i naturalisti. Lì ci sono cinghiali, una specie di lepre, lucertole e capre. È accaduto anche di scorgere al largo alcune balene che attraversavano le Bocche di Bonifacio”. Due stazzi trasformati in abitazioni accolgono i ricercatori per la notte durante le campagne di monitoraggio. “Quando siamo lì – conclude Fulgione – ci portano le vettovaglie in gommone”.
Il ripopolamento della Lepre italica
Un altro progetto di cui si sta occupando il gruppo del prof. Fulgione è finalizzato al ripopolamento della Lepre italica, una specie endemica – più piccola e con colori più sgargianti rispetto alla più comune e diffusa Lepre europea – dell’Appennino centro-meridionale e della Sicilia che in Campania è estinta con la sola eccezione del territorio del Parco del Cilento, Vallo di Diano e Alburni.
Nel corso del mese di dicembre saranno immessi nel territorio del Parco del Partenio una ventina di esemplari di Lepre italica in un’area scelta per idoneità ambientale e dove sono in corso indagini sulla biodiversità da parte del Centro Ricerche e Studi del Partenio del quale l’Ente Parco si è dotato. Al progetto partecipa anche la Regione Campania che ha avviato nel 2014 un programma di riproduzione in ambiente controllato nell’area faunistica presso la Foresta Demaniale Cerreta Cognole, nel Comune di Montesano sulla Marcellana, dove sono stati immessi individui provenienti dal Parco del Cilento, Vallo di Diano e Alburni e dalla Calabria.
La reintroduzione in natura degli esemplari provenienti dalla Foresta Demaniale Cerreta Cognole è un passo importante perché più a nord, nel Molise, c’è un altro nucleo stabile di popolazione della Lepre italica. Se il ripopolamento in Irpinia avrà successo, dunque, si realizzerà un tratto di unione tra la popolazione cilentana e quella molisana di questo mammifero endemico dell’Appennino centro-meridionale, ma che negli ultimi decenni era diventato abbastanza raro.
Fabrizio Geremicca
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