‘Le aziende centenarie si raccontano: approcci narrativi e heritage marketing’, un evento che ha unito il mondo accademico e quello imprenditoriale per riflettere su come le parole, le immagini e le storie costruiscono il valore del Made in Italy. L’incontro si è tenuto il 10 novembre nell’Aula Magna di Economia.
Dopo i saluti della Direttrice del Dipartimento, prof.ssa Maria Antonia Ciocia, che ha ricordato “la necessità di formare figure capaci di leggere i linguaggi della comunicazione economica”, sono intervenuti Enrico Bonetti, ordinario di Marketing e Comunicazione, Maurizio Marinella, amministratore della storica Maison ‘E. Marinella’ nonché Cavaliere del lavoro e Presidente onorario di Fideritaly, Stefania D’Avanzo, associata di Linguistica inglese, Giuseppe Balirano, presidente dell’AIA (Associazione Italiana di Anglistica), e Antonella Garofano, associata di Marketing.
È stato Maurizio Marinella, simbolo dell’eccellenza napoletana, a incantare il pubblico con un racconto che ha attraversato oltre un secolo di storia familiare. “La mia azienda nasce nel 1914, fondata da mio nonno Eugenio – ha raccontato – Allora le donne si vestivano alla francese, ma mio nonno volle dedicarsi all’uomo, proponendo uno stile inglese: cravatte, camicie e accessori per il corredo dello sposo”.
Il negozio è ancora oggi nella stessa sede in Riviera di Chiaia, di fronte alla Villa Reale: “All’epoca il negozio apriva all’alba, alle 6.30, quando le famiglie nobili uscivano a cavallo e si fermavano al bar di fronte per la colazione. Era il modo per intercettare quella Napoli elegante, fatta di gesti e rituali”, afferma Marinella. Le due Guerre mondiali, poi, in particolare la seconda, segnata dalle sanzioni, misero a dura prova l’attività: “Non si potevano importare tessuti dall’estero, ma mio nonno trovava sempre un modo per reinventarsi e di custodire l’identità nel tempo. Tanto che ha portato la maison a raggiungere traguardi unici: nel 2018, Marinella è stata l’unica azienda italiana a essere esposta al MoMA di New York, simbolo internazionale di design e cultura contemporanea.
Un riconoscimento che, ancora una volta, testimonia come la tradizione possa dialogare con il mondo”. Marinella, poi, ricorda anche i suoi inizi: “Avevo otto anni e mezzo – racconta – quando iniziai a osservare il negozio, fino alla laurea. Mio padre, Luigi, mi faceva studiare i clienti, i gesti, le parole. A 14 anni, quando morì mio nonno consegnavo cravatte a clienti illustri, senza dire che ero il figlio di Marinella, per guadagnarmi la mancia”.
La svolta a 19 anni: “presi la patente e iniziai così a portare io stesso le cravatte a casa dei clienti che non potevano venire a Napoli. Da Gianni Agnelli a Pietro Barilla. Così la Marinella entrò nelle case e nei cuori”. Negli anni, le sue creazioni hanno vestito Presidenti italiani e americani da Kennedy in poi, oltre a Carlo d’Inghilterra e ai Principi di Monaco. Una storia di eleganza e orgoglio. “Mi proposero di comprare l’azienda a Parigi – ha confidato – ma ho rifiutato.
Marinella resta napoletana. Tengo a sottolineare che l’heritage non è un ricordo, ma un impegno quotidiano. Il segreto? Accogliere chi entra, rispettare il lavoro artigiano e continuare a creare con il cuore e con le mani, una qualità che oggi purtroppo scarseggia”.
Persino durante il Covid, Marinella ha saputo trasformare la crisi in opportunità, coinvolgendo venti giovani artigiani e avviando nuove collaborazioni: con ‘Orange Fiber’, impresa siciliana che produce tessuti sostenibili dagli scarti d’arancia, e con Nintendo, per una collezione ispirata a ‘Super Mario Bros’, simbolo di gioco e colore. Accanto al successo, non manca l’impegno solidale: “Con il libro ‘52 nodi d’amore’ abbiamo raccolto 135 mila euro per l’Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII di Bari. È bello pensare che un nodo possa legare anche la solidarietà”.
Le immagini e le parole sono “atti performativi”
Dopo l’intervento dell’imprenditore, la parola è passata alla prof.ssa Stefania D’Avanzo, che ha presentato il suo volume ‘Narrative and Multimodal Approaches to Corporate Discourse. Promoting Made in Italy Abroad’. Un libro che unisce linguistica cognitiva, semiotica visiva e storytelling aziendale, analizzando come i brand storici italiani costruiscono la propria identità attraverso linguaggi verbali e non verbali.
“Le immagini e le parole – ha spiegato la docente – non sono semplici strumenti descrittivi, ma atti performativi: creano relazione, identità, potere simbolico”. Attraverso le teorie di Kress e van Leeuwen, continua D’Avanzo, “ho voluto mostrare come lo sguardo dei protagonisti nelle immagini crei un contatto diretto con chi guarda, generando un effetto di demand, ovvero di coinvolgimento emotivo”.
Le fotografie dei fondatori o dei discendenti, come quella di Maurizio Marinella “tra le tende di cravatte come sipario”, diventano “metafore visive del ruolo dell’imprenditore come attore e custode di una tradizione reinterpretata con ironia e creatività”. La D’Avanzo ha mostrato inoltre come le aziende aderenti all’associazione ‘I Centenari’ e all’Unione Imprese Centenarie Italiane utilizzino strategie visive e linguistiche che fondono memoria, arte e territorio: “il corallo e l’oro di Ascione, la calligrafia antica e lo stemma araldico di Antinori, il linguaggio dell’accoglienza di Sacco.
Ogni brand traduce la propria storia familiare in un racconto collettivo, connesso a valori condivisi come autenticità, eleganza, trasparenza e rispetto del cliente. Dall’analisi linguistica emerge che le aziende centenarie condividono un posizionamento positivo e stabile nel tempo, dove le radici storiche non sono nostalgia ma valore dinamico”. Il passato, ha concluso la docente, non è un museo, ma un movimento che proietta verso il futuro: “La linguistica cognitiva ci mostra come le aziende costruiscano, attraverso le parole, il modo stesso di pensarsi e di agire”.
A chiudere i lavori, le riflessioni dei professori Giuseppe Balirano che ha ampliato la riflessione: “Il Made in Italy si regge su una competenza linguistica profonda, capace di comunicare emozioni, qualità e appartenenza culturale in ogni dettaglio visivo o testuale. La lingua dell’impresa è, prima di tutto, una lingua della cultura”.
Infine, D’Avanzo ha poi sottolineato il valore strategico dell’heritage marketing: “l’archivio, il museo d’impresa, il racconto digitale non sono solo memoria, ma strumenti per generare nuova economia e consolidare la reputazione aziendale. Le imprese centenarie ci insegnano che il passato è una leva di futuro”. Poi aggiunge: “il caso Marinella può fare scuola. Ritengo opportuno riprendere la frase che afferma che ‘il futuro è di chi ha un grande passato’, ma aggiungo che il futuro è, soprattutto, di chi sa valorizzare quel passato”.
E, come ha ricordato la prof.ssa D’Avanzo, “la preziosità che deriva dal proprio passato e dal legame con il territorio è uno dei legami più forti. Queste imprese, nel raccontarsi, invitano lo spettatore a far parte della loro storia: una storia che da oltre un secolo continua a parlare al mondo”.
Una lezione, dunque, in cui accademia e impresa si incontrano per mostrare come la narrazione – fatta di parole, immagini e gesti – sia la chiave del successo duraturo del Made in Italy.
Elisabetta Del Prete
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Ateneapoli – n.18 – 2025 – Pagina 38







